Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La ‘macchia mediterranea’ vittima di decespugliatori. Un resoconto di strada


Sono in azione i decespugliatori sia sulla strada S.S.Aurelia che in parte sulle strade Provinciali e Comunali. Ma chi taglia l’erba, molte volte non ha alcuna cultura di ciò che taglia, fa di ogni erba è un fascio eppure sono presenti tra “l’erba” essenze protette della macchia mediterranea. Se lo sfascio fosse praticato da un privato le casse dello Stato, Provincia e Comune si arricherebbero di freschi quattrini.

di Alesben B.

Con il termine macchia mediterranea si intende una fitocenosi di fisionomia definita ma di composizione eterogenea, [Il termine biocenosi deriva dalle parole di lingua greca βίος e κοινός ed indica la comunità delle specie di un ecosistema che vive in un determinato ambiente, o, meglio, in un determinato biotopo, cioè un’area in cui le condizioni fisico-chimiche ed ambientali sono costanti] costituita da un’articolata e sovente assai fitta mescolanza di sclerofille [Con sclerofillo s’intende un tipo di vegetazione che ha foglie dure, coriacee e internodi corti. La parola viene dal greco antico: σκληρός, sklerós e φύλλον, phýllon].sempreverdi in forma di arbusti e alberelli.

Si tratta di una formazione spesso molto densa, quasi impenetrabile, che tipicamente è di altezza compresa tra i 2 e i 6 metri, mentre nella forma di macchia bassa si presenta inferiore ai 2 metri.

Le specie che si intrecciano nella macchia sono diverse in funzione delle condizioni stazionali e della storia della fitocenosi. Le sclerofille che più frequentemente si incontrano sono il leccio in forma arbustiva, il corbezzolo [Arbutus unedo], il mirto [Myrtus communis], le filliree [Phillyrea latifolia, P. angustifolia], l’alaterno [Rhamnus alaternus – Purrolo o Ilatro, è un arbusto sempreverde, della famiglia delle Rhamnaceae.], potendosi avere il prevalere dell’una o dell’altra a seconda dei casi.

Si distingue una macchia primaria, che è tale perché si trova in situazioni climatiche o edafiche [edàfico agg. [der. del gr. ἔδαϕος «suolo»] (pl. m. –ci). – [In ecologia, che ha rapporto col suolo. Fattori e., le condizioni fisiche e chimiche del terreno, che hanno varia e complessa influenza sullo sviluppo delle piante; organismi e., gli organismi animali e vegetali che vivono negli strati superficiali del suolo.] difficili che ne impediscono ulteriori evoluzioni a bosco, da una macchia secondaria, che nella Provincia di Savona rappresenta una fase di degradazione della lecceta e che in pratica è la sola rappresentata.

La degradazione del bosco a macchia inizia con la Copertura del terreno che crea condizioni di secchezza accentuata al suolo e l’accelerazione dei processi di mineralizzazione della sostanza organica, con conseguente tendenza all’impoverimento del substrato. Le mutate condizioni microclimatiche ed edafiche sfavoriscono lo sciafilo che predilige gli ambienti poco illuminati (contrapposto a eliofilo ); anche, di pianta del sottobosco. ed esigente leccio a vantaggio delle specie tipiche della macchia.

La causa della perturbazione è il più delle volte l’uomo con i tagli sconsiderati, ma frequentemente è il fuoco. La macchia secondaria si può quindi trovare su seminativi abbandonati o in aree precedentemente pascolate. Se la causa del disturbo si ripete, come è ad esempio il caso di incendi ricorrenti, la serie di degradazione prosegue, si insediano altre specie arbustive più rustiche.

Fra queste troviamo i cisti [Cistus albidus, C. monspeliensis], le eriche [Erica arborea, E. scoparia], la ginestra comune [Spartium junceum], la ginestra spinosa [Calicotome spinosa]. Nelle forme di degradazione più spinte la densità e l’altezza delle fitocenosi diminuiscono ulteriormente e si arriva alle formazioni di gariga, con arbusti bassi e radi frammisti a vegetazione erbacea, costituiti in prevalenza da eriche, cisti e arbusti aromatici come timo [Thymus vulgaris], lavanda [Lavandula latifolia], rosmarino [Rosmarinus officinalis].

Cistus

Generalmente non supera il metro d’altezza. Il fusto è legnoso dotato di corteccia. Le foglie sono opposte e dotate di peli stellati. Le infiorescenze sono costituite da tre ad otto fiori, sorretti da peduncoli. Il frutto è costituito da una capsula pelosa avvolta da un calice contenente numerosi semi. La fioritura avviene nel periodo tra aprile e giugno.

Popola il sottobosco in zone aride, su terreni rocciosi calcarei, soprattutto nella macchia mediterranea. Si trova in Val Maira in Piemonte, in Lombardia, in Veneto, in Liguria, in Toscana, in Umbria, in Calabria, Sicilia, in Puglia e in Sardegna.

Il cisto femmina (Cistus salviifolius ) è un arbusto appartenente alla famiglia delle Cistaceae. tipico della macchia mediterranea.

Questa pianta ha un portamento arbustivo, con altezza fino a 50–60 cm. Le sue foglie sono color verde glauco, ovali o ellittiche, picciolate, tomentose e non collose al tatto, con margine intero e ricoperte da tricomi. La lamina fogliare è lunga da 1 a 3 cm.

I fiori sono solitari e lungamente peduncolati, disposti all’ascella delle foglie, hanno simmetria raggiata e diametro di 4–5 cm. La corolla è composta da 5 petali liberi, di colore bianco con sfumature gialle alla base. L’androceo è composto da numerosi stami con filamenti brevi e antere gialle. L’ovario è supero con stimma quasi sessile.

Il frutto è una capsula contenente più semi.

Al pari degli altri cisti è una pianta molto resistente in grado di tollerare prolungate condizioni di siccità e ampi range [Nel linguaggio scientifico e tecnico, intervallo di valori di una grandezza: elettroni di energia compresa in un r. di 100 MeV) e portata (il r. di un radar, il suo raggio d’azione).]di pH del terreno. Pianta eliofila, si adatta anche a condizioni di parziale ombreggiamento, pertanto può ritrovarsi anche in foreste a volta aperta. Fiorisce da aprile a maggio e fruttifica entro l’inizio dell’estate. La sopravvivenza della specie agli incendi è garantita dai semi.

Il cisto femmina è una pianta di ambiente mediterraneo ed è pertanto possibile trovarla in leccete, macchia mediterranea e gariga [Col termine di gariga, di origine provenzale, si intendono due differenti associazioni fitoclimatiche, rispettivamente denominate gariga montana e gariga costiera o gariga propriamente detta.]. La sua distribuzione interessa tutte le aree della penisola Italiana in cui è possibile trovare tali ambienti, dal Sud fino al Nord Italia, dov’è presente presso grandi laghi, sui Colli Euganei, ai piedi dell’Appennino in Emilia-Romagna e in Istria. È citata la sua presenza anche in Piemonte, nella Val di Susa e nelle Langhe.

Tipico arbusto dello strato inferiore nelle associazioni forestali o a macchia, non forma associazioni monofloristiche ma può trovarsi consociato con altre specie dello stesso genere nella macchia a cisto.

La ginestra odorosa (Spartium junceum L.) è una pianta della famiglia delle Fabaceae, tipica degli ambienti di gariga e di macchia mediterranea. È nota anche come ginestra di Spagna. È l’unica specie del genere Spartium.[1]

È una pianta a portamento arbustivo (alto da 0,5 a 3,00 m), perenne, con Indice

lunghi fusti. I fusti sono verdi cilindrici compressibili ma resistenti, eretti, ramosissimi e sono detti vermene. Le foglie sono lanceolate, i fiori sono portati in racemi terminali di colore giallo vivo. L’impollinazione è entomogama. I frutti sono dei legumi; i semi vengono lasciati cadere per gravità a poca distanza dalla pianta madre.

Specie nativa dell’area del Mediterraneo, dal sud dell’Europa, al Nord Africa al Medio Oriente.


Risulta endemica in gran parte dell’areale del bacino del Mediterraneo. Cresce in zone soleggiate da 0 a 1200 m s.l.m.
Predilige i suoli aridi, sabbiosi. Può vegetare anche su terreni argillosi, purché non siano dominati dall’umidità e da acque stagnanti.

Il metodo più utilizzato è la propagazione per seme. La semina si effettua in autunno (settembre) o anche in primavera (da marzo a metà aprile). Per favorire un’elevata percentuale di germinabilità dei semi (circa il 90%) in un tempo piuttosto ridotto, è consigliabile uno dei seguenti trattamenti:

  • cicli fisici di temperatura: acqua calda a 100 °C per 23 minuti, acqua a 60-65 °C per 30 minuti in acqua a 40 °C per 1 ora, acqua fredda per 40 ore.
  • trattamenti chimici: immersione per 24 ore in una soluzione di NaHCO3 (bicarbonato di sodio) al 2%, 15 – 30 minuti in H2SO4 (acido solforico) concentrato con successivo lavaggio abbondante.

I tagli di ringiovanimento sono di ostacolo alla fioritura e alla fruttificazione. Pertanto, se si vogliono ottenere fiori e semi, occorre lasciare inutilizzato, per alcuni anni (5 – 6), un numero adeguato di piante.

  • Essendo una pianta che sviluppa le sue radici in profondità, può essere utilizzata per consolidare terreni.
  • L’estratto assoluto dei fiori è una fragranza ricca ed opulenta che possiede una nota burrosa particolare. Viene prodotto per lo più a Grasse da fiori provenienti dalla Calabria.
  • La concreta di ginestra è una sostanza cerosa intensamente profumata, di colore giallo bruno, ricorda il miele e la cera d’api, sia nel colore che nel profumo, la concreta viene ricavata a mezzo di solventi (esano) il prodotto finale è un miscuglio di olii essenziali, acidi grassi e cere. La distillazione sottovuoto di questa sostanza fornisce una sostanza aromatica denominata genêt absolu, ossia “ginestra assoluta”
  • Dalle vermene si estrae la fibra tessile.

Erica L. è un genere della famiglia delle Ericacee, comprendente circa 850 specie sempreverdi a portamento arbustivo. La maggior parte delle specie è frutici o suffrutici alti da 20 cm a 1,5 m. Le specie più alte sono Erica arborea ed Erica scoparia che possono raggiungere anche 6–7 m. Tutte le specie sono sempreverdi con foglie piccole ed aghifoglia lunghe 2–15 mm.

La produzione di fiori è in genere abbondante e per questo le piante di Erica sono coltivate come ornamentali. I semi sono molto piccoli e in alcune specie possono rimanere sul suolo per decenni.

Sono state riconosciute ed accettate oltre 800 specie di Erica, molte delle quali sono endemiche del Sudafrica e si trovano nel fynbos, la landa tipica della Regione floristica del Capo. Le altre specie sono originarie di altre parti dell’Africa e dell’Europa (in particolar modo della regione atlantica).

Il nome generico Erica assegnato da Linneo, deriva dal latino erīcē, una pianta descritta da Plinio, a sua volta adattamento di un’antica parola greca, ἐρείκη eréikē, usata da Eschilo e Teocrito e imparentata con l’antico irlandese froech, con il lettone virši e il lituano virži.

Nonostante la similitudine, il nome Erica non deriva direttamente dalla pianta (il cui appellativo è d’origine greco-latina) bensì dal nome scandinavo Erik (antico Eirikr; femminile Erika), sebbene in Italia e nei Paesi di lingua tedesca (dov’è frequente la forma maschile Erich) sia stato promosso dall’erronea associazione con il nome della pianta.

Il genere Calluna che comprende attualmente una sola specie, ovvero il brugo (Calluna vulgaris), faceva parte del genere ma è stato separato; si distingue dal genere affine Erica perché ha foglie più piccole (inferiori a 2–3 mm) e la corolla e il calice divisi in quattro parti (tetramero e non pentamero come l’Erica). Spesso comunque le due piante vengono confuse: infatti il brugo a volte è chiamato anche falsa erica, o erica selvatica o ancora più impropriamente erica. Spesso viene confusa con l’erica carnea, che è molto simile come portamento, dimensione e colore. Tutte le specie di Erica e di Calluna sono piante mellifere, si può ottenere un buon miele monoflorale e sono bottinate dalle api..

Timo

Il nome del genere (Thymus) deriva da un antico nome greco, θύμον (pron. thýmon), il cui significato è forzacoraggio, qualità che risveglierebbe in coloro che ne odorano il profumo balsamico, ed è stato usato per primo da Teofrasto (371 a.C. – Atene, 287 a.C.) un filosofo e botanico greco antico, discepolo di Aristotele, autore di due ampi trattati botanici, per una pianta profumata utilizzata come incenso nei sacrifici. Altre etimologie fanno derivare il nome del genere da una parola greca per “profumo”.

Il nome scientifico della specie è stato definito da Linneo (1707 – 1778), conosciuto anche come Carl von Linné, biologo e scrittore svedese considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum – 2: 590 del 1753.


Thymus herba-barona

Queste piante, arbustive o subarbustive ma anche erbacee, raggiungono i 50 cm di altezza. La forma biologica prevalente è camefita fruticosa (Ch frut), ossia sono piante perenni e legnose (hanno un aspetto arbustivo e molto ramificato), con gemme svernanti poste ad un’altezza dal suolo. Sono presenti anche altre forme biologiche come camefita suffruticosa (Ch suffr), queste sono piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un’altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm (le porzioni erbacee seccano annualmente e rimangono in vita soltanto le parti legnose). All’interno di queste piante sono presenti delle ghiandole essenziali (sono piante aromatiche) disposte alternativamente in croce per punteggiature sulle foglie. Dal punto di vista riproduttivo il genere comprende usualmente piante di tipo ginodioico.

Le infiorescenze sono delle spighe formate da alcuni fiori raccolti in verticilli a forma da subsferica a allungata posizionati nella parte superiore dei rami. I verticilli crescono all’ascella delle foglie e sono distribuiti lungo il fusto più o meno spaziati. Le brattee dell’infiorescenza, a forma lanceolata, sono simili alle foglie.

Il pino mugo (Pinus mugo Turra, 1764), o anche semplicemente mugo, è un cespuglio aghiforme sempreverde, dal portamento prostrato, appartenente alla famiglia Pinaceae È stato inserito nell’elenco delle piante officinali spontanee soggette alle disposizioni della legge 6 gennaio 1931 n. 99.: dai suoi rametti verdi, non ancora lignificati, viene infatti estratto l’olio essenziale di mugolio. Un bosco di pino mugo si chiama mugheto.

Portamento generalmente arbustivo, ma molto variabile, da prostrato con rami ascendenti a cespuglioso fino ad alberello eretto a seconda delle varietà e delle condizioni ambientali. Piccolo e compatto, presenta rami caratteristici che nella parte inferiore possono crescere adagiati sul terreno nascondendo la base del tronco per non offrire resistenza al vento.

La corteccia è grigia scura a squame sottili; le foglie sono aghiformi lunghe 3–5 cm e riunite in verticilli di due, di colore verde scuro, e i fiori meglio indicati come sporofilli, maturano in aprile-maggio e presentano sessi separati.


Amante della luce e del freddo, presenta aspetti morfologici molteplici e variati, accomunati tradizionalmente nel gruppo Pinus montana, di tal che se ne distinguono alcune sottospecie che vanno dal pinus mugo, cespuglioso e prostrato, al pinus uncinata, conico-arboreo, con versioni intermedie fra i due (forma cd. frutescens erecta). Predilige suoli detritici parzialmente consolidati, ad esempio alla base di ghiaioni o di conoidi di deiezione (la forma pinus mugo in particolare è prevalentemente calcifila ed i suoi rami forniscono un’utile protezione contro valanghe e slavine, frenando lo scivolamento delle masse nevose sui fianchi più inclinati delle valli).


In Italia è presente, spontaneamente, sulle Alpi (prevalentemente centro-orientali per Pinus mugo ed esclusivamente centro-occidentali per Pinus uncinata); sulle Prealpi calcaree lombardo-venete e in alcune zone degli Appennini (Monte Cusna e Monte Falterona in Appennino settentrionale e a Monte Lieto nei Sibillini, dove è stato reintrodotto; autoctono in Monte Nero Piacentino, Majella, Parco Nazionale d’Abruzzo), nella sola forma Pinus mugo. In Europa il pinus uncinata si rinviene anche sui Pirenei; il pinus mugo sulla fascia alpina, con diffusione ingravescente procedendo verso est, sui Carpazi e sui Tatra, sulla dorsale dalmato-balcanica fino in Bosnia-Erzegovina e Bulgaria e, come detto, residualmente in Appennino. È usato come essenza ornamentale in molte zone d’Italia, anche dove il clima è molto differente da quello d’elezione, per l’aspetto aggraziato e le dimensioni ridotte che lo rendono ideale per giardini rocciosi e piccoli giardini in genere.

Pinus mugo var. pumilio è presente in alcune zone delle Alpi Occidentali (Val Ferret, Val Veny, Alpi del Cuneese). Il pino uncinato (Pinus mugo sottosp. uncinata) ha molte caratteristiche in comune con il pino mugo, ma tendenzialmente si sviluppa in forma arborea (albero con portamento piramidale alto fino a 10–12 m); inoltre, anche negli esemplari prostrati (prevalenti alle quote superiori del piano subalpino), i rami del pino uncinato si presentano eretti nella porzione terminale, le sue pigne sono infine maggiori (lunghe fino a 7 cm) e hanno base asimmetrica, gli aghi sono di colorazione più chiara, più eretti e pungenti; questa entità è diffusa solo in particolari distretti delle Alpi centro-occidentali dove Pinus mugo ssp. [sottospecie]. mugo, invece, è sporadico ed è meno calcifila della sottospecie nominale (adattandosi a vivere anche su ofioliti e perfino su substrati a debole reazione acida); la sua origine rimane incerta tant’è che taluni hanno supposto che sia un ibrido fissato tra Pinus mugo ssp. mugo (o forme analoghe già presenti sul territorio europeo occidentale durante la glaciazione Riss) e il Pinus sylvestris.

È una pianta pioniera e stabilizzatrice di terreni sterili, incoerenti e pietrosi, dove, frammentando il manto nevoso invernale, contribuisce anche a proteggere i fondovalle dalle slavine, quindi utilissima ancorché ecologicamente legata alle sole quote montane. Offre riparo e rifugio a molte specie animali, fra cui il gallo forcello e il crociere, fra gli uccelli, ed il camoscio, fra i mammiferi ungulati, che è pressoché semi-simbiotico con la specie, dei cui germogli ed aghi si nutre nelle stagioni più ingrate.

Alesben B.

 


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