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Pandemia-politica-istituzioni: perché è un trinomio inscindibile


Come ciclicamente avvenuto per situazioni catastrofiche dentro le quali l’umanità intera è precipitata, l’attuale pandemia virale rende centrali e decisive le Istituzioni e la Politica favorendo la composizione di un trinomio dai fatti reso inscindibile: Pandemia-Politica-Istituzioni.

di Francesco Domenico Capizzi*

 

L’emergenza sanitaria, socio-sanitaria e sociale, piombata a ciel sereno sulla cittadinanza incredula, inerme e provata dalla preesistente irrisolta crisi economica, interroga pressantemente le rappresentanze elettive per ottenere risposte concrete orientate su nuove linee di progresso e sviluppo.

Dall’Esecutivo al Parlamento e ai rapporti Stato-Regioni, da Istituzioni europee ed Organizzazione Mondiale della Sanità alle filiere farmaceutiche, dai contratti per le forniture ai criteri di distribuzione dei vaccini, dall’efficienza delle Istituzioni sanitarie ai livelli essenziali di assistenza e cura, dalle attività  produttive e lavorative alla quantità e qualità dei consumi, dai rapporti sociali a qualità e scelte di vita possibili, individuali e collettive…tutto e davvero tutto traballa a causa di molteplici ed intrigate problematiche emerse, mai radicalmente affrontate e risolte, che si innalzano ben visibili davanti a tutti intrecciandosi alle pressanti richieste di salute di una cittadinanza atterrita e convinta (forse) che “nulla potrà tornare come prima…”.  Ma si è davvero sicuri che si voglia e si possa giungere a cambiamenti radicali e tanto epocali da impattare sul nostro convenzionale modo, personale e collettivo, di organizzarci e di vivere nella quotidianità e nel prossimo futuro?

In primo luogo, i riflettori puntati sul Servizio sanitario nazionale hanno illuminato tanti limiti e contraddizioni:

a – la pretesa di regionalizzare, con funzioni legislative ed organizzative pressoché autonome, il Sistema sanitario nazionale ha dimostrata notevoli iniquità per le numerose e significative differenze, squilibri e disarticolazioni che ne sono derivate fino a provocare contrasti, a volte insanabili, fra Stato e Regioni e disfunzioni che hanno addirittura richiesto l’intervento della magistratura amministrativa e un’osservazione recente della Corte costituzionale;

b – l’immissione sul mercato dell’intero Servizio sanitario, mediante aziendalizzazione, come se la protezione da una condizione patologica potesse equipararsi ad un’attività commerciale, ha portato naturalmente all’osservanza delle leggi della domanda e dell’offerta producendo squilibri strutturali-assistenziali ed insane concorrenze e contese fra aziende sanitarie pubbliche della medesima Regione e fra Regioni differenti con conseguenti forti flussi migratori alla ricerca della speranza di guarigione e provocando crescenti divaricazioni delle diseguaglianze sociali.

Da aggiungere le esigenze, come accade per ogni struttura aziendale, di ammortizzare gli investimenti strutturali e tecnologici, spesso ridondanti (significativa l’acquisizione di robot chirurgici che fa dell’Italia uno dei maggiori detentori del primato planetario), con conseguenti distorsioni culturali dell’idea di malattia e di salute affidata, in modo ormai esponenziale, pressoché esclusivamente a percorsi diagnostico-terapeutici e niente affatto ad istanze di prevenzione primaria delle grandi classi di malattie costantemente in crescita (evitabilità di malattia: 80% secondo l’OMS, 2007);

c – la inadeguatezza di un piano emergenziale regionale e nazionale che garantisse, accanto alle esigenze pandemiche, l’espletamento delle attività diagnostico-terapeutiche territoriali ed ospedaliere, almeno di quelle dotate di un forte peso specifico; al contrario, l’assistenza sanitaria complessiva in oltre un anno di emergenza pandemica ha subito riduzioni del 70-80% sotto ogni aspetto e settore;

d – l’assenza, sul piano progettuale, di una strategia vaccinale prossima-futura dell’intera popolazione nazionale e necessariamente mondiale gestita dalla condivisione di organismi internazionali riconosciuti. Vale a proposito l’esempio del Mandela act del 1997 attraverso cui il leader africano convinse l’ONU a dedicare una sessione dell’Assemblea generale al tema della lotta contro l’HIV/AIDS che si concluse con una risoluzione impegnativa per la comunità internazionale a sostenere i Paesi più colpiti dall’epidemia e rendere accessibili gli interventi di prevenzione e di cura. Oggi la situazione generale è migliorata in termini di mortalità con il crescere della copertura della terapia antiretrovirale, ma è ben lontana dall’essere risolta.  Infatti si stima che ben 37 milioni di persone siano tuttora affette da HIV/AIDS e di queste almeno la metà non si trova nelle condizioni di accedere al trattamento terapeutico mentre il numero dei contagi continua ad aumentare fino ad aver superato i 2 milioni per anno. Un esempio da evitare: l’iniziale proposito positivo da parte dell’ONU ha mostrato in seguito una inaccettabile passività, comunque da scongiurare davanti ad eventi tanto gravi quanto di dimensioni universali come le diverse pandemie esistenti fra cui la dimenticata ebola;

e – sebbene nell’era web si constati un’esplosione formidabile di raccolta, elaborazione, utilizzo e diffusione di dati statistici in tutti i settori della socialità umana, particolarmente in questo particolare frangente pandemico, non è accettabile che le Istituzioni internazionali restino passive di fronte al crescere in 4 anni del 563% dei costi di gestione (https://www.milanofinanza.it/investimenti-trading/il-covid-19-spinge-i-big-data-nella-sanita-202105061602187766).

In secondo luogo si pone fortemente la necessità di depotenziare alla radice le origini della pandemia attuale e delle possibili future (multiple?) e porre il medesimo obbiettivo preventivo primario riguardo alle grandi classi di malattie cronico-degenerative e neoplastiche che nettamente interferiscono con il decorso pandemico e clinico aggravandolo in modo significativo (www.smips.org). particolare giovanile, dalla ridotta dignità contrattuale del lavoro, alla cui progressione potrebbe

E poi a seguire, è indifferibile affrontare i problemi dati dalla accresciuta disoccupazione, in contribuire il lavoro via web, e poi ancora dal numero e la gravità degli incidenti sul lavoro (v. diarioprevenzione) e ancora dagli atti di violenza verbale e fisica in aumento di cui si ha notizia quotidianamente con il rischio che assumano il ruolo di modelli emulativi, dal dramma delle migrazioni forzate di popolazioni ridotte alla fame e, spesso, sottoposte ad una vera e propria schiavitù senza contare i soprusi e le torture e le stragi, ed è necessario risolvere i 35 focolai di guerra esistenti nel mondo contestualmente alla trasparenza nei commerci di armi, giungere all’effettiva parità di genere e fare fronte alle crescenti efferati femminicidi favoriti da una crescente ideologia maschilista, e poi ancora contrastare le discriminazioni etniche e religiose visibili in tutta la loro crudeltà…

Bisogna anche impedire la prevalenza delle ragioni economiche sul bene comune che spesso porta interi ceti dirigenti ad auspicare, come rimedio centrale, l’aumento dei consumi ponendoli tutti sul medesimo piano e senza puntare alla detassazione di quelli essenziali a discapito di quelli nocivi per la salute…

Dobbiamo chiederci, noi stessi mentre interroghiamo Politica ed Istituzioni nazionali ed internazionali, se l’attuale emergenza pandemica ha davvero collocato al centro della convivenza civile l’umanità intera, i suoi diritti fondamentali e i suoi bisogni e se ha insegnato, dopo molte battaglie perse, che il male, sotto qualsiasi forma si configuri o si ecclissi, è superabile soltanto mediante una strategia, confortata dalle Costituzioni, fondata sul bene comune che riguardi l’intera umanità senza alcuna esclusione e senza alcuna ragione.

Francesco Domenico Capizzi

* Già Direttore delle Chirurgie degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna e docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna

 

 


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