La Regione Liguria dovrebbe prendere esempio dal vicino Piemonte dove “Il turismo slow si sposta in carrozza: 12 treni storici per scoprire il Piemonte”; tra le tratte interessate citiamo Novara-Varallo (con collegamenti da Torino e da Milano), Ceva-Ormea, Asti-Castagnole-Neive e Asti-Castagnole-Nizza, Torino-Bra, Cuneo-Ventimiglia, Novara-Domodossola: sono le direttrici sulle quali torneranno a circolare i treni storici, in grado di evocare suggestive atmosfere del passato e soprattutto fornire un punto di vista insolito sui paesaggi del Piemonte. Il tutto in sicurezza, senza doversi fermare e senza dovere tenere d’occhio la strada.
Un’iniziativa, due obiettivi. Il primo rimanda alla possibilità di conoscere il territorio senza dovere macinare chilometri al volante. Il secondo, conseguente, è il mantenimento in funzione di linee ferroviarie dal passato glorioso, oggi sospese, in attesa della riapertura. Parliamo di treni, treni storici, pronti a scaldare i motori – pardon, le caldaie – per sferragliare verso località di indiscutibile bellezza paesaggistica. Il Consiglio regionale ha presentato il programma della Fondazione Fs, concordato e finanziato dalla Regione Piemonte: 500 mila euro stanziati per far rivivere in 33 appuntamenti, da marzo a dicembre, le suggestioni di mezzi che conservano intatto tutto il loro fascino.
«I treni storici, oltre alla loro funzione turistica, hanno anche la funzione di mantenere in esercizio ed in efficienza linee che in passato sono state sospese al traffico passeggeri in vista della loro futura riattivazione alla quale come Regione stiamo lavorando e sulle quali Rfi, su nostra indicazione, ha investito e investirà significative risorse». Così l’assessore ai Trasporti Francesco Balocco. Mentre la collega Parigi sottolinea gli altri aspetti dell’iniziativa: «Questa forma di turismo “slow” sta riscontrando un sempre crescente successo, come hanno dimostrato anche gli ultimi appuntamenti organizzati nella nostra Regione. L’obiettivo è quello di utilizzare questa formula per rafforzare un turismo sostenibile, capace di richiamare visitatori attenti ai territori e alle loro eccellenze, e che attraverso questi viaggi sia spinto a tornare in Piemonte». Insomma: un’occasione non solo per i turisti ma anche per i piemontesi, curiosi di scoprire un territorio che in termini di paesaggi e di sapori è in grado di dare dei punti ad altre regioni italiane.
La Ceva-Ormea e la Cuneo-Ventimiglia: di queste due linee che abbracciano Liguria e Piemonte, se ne parla nell’argomento dell’ing. Stefano Sibilla pubblicato il 14 MARZO 2019 anche da trucioli.it (vedi….)oltre che Savona News, Ivg, La Stampa, Il Secolo XIX.
Un ramo secco da almeno 2000 viaggiatori al giorno, che diviso su 16 treni fanno 125 passeggeri a treno, abbastanza per riempire un Minuetto diesel a tre casse. Stagniweb, notoriamente ben informato su tutto ciò che riguarda il mondo della ferrovia, sostiene che il rallentamento in realtà rappresenta la spinta psicologica da parte della Francia nell’invitare l’Italia a rispettare quanto previsto dalla convenzione del 1970. Il rischio è però quello di mettere la linea fuori mercato con un aggravio dei tempi di percorrenza, anche perché con il rallentamento da Vievola ad Olivetta la velocità media passa da 54 chilometri orari a 38. Le quattro corse avrebbero quindi un valore simbolico e dovrebbero servire ad aumentare la pressione, anche perché Rff ed Rfi hanno già rinnovato l’armamento della linea, rispettivamente da Breil verso Nizza e da Ventimiglia fino ad Olivetta.
Nòvas d’Occitània»n.125 Lulh 2013» – giornale in lingua d’oc.: La strana storia della linea ferroviaria Ventimiglia-Cuneo di Bafurno Salvatore lavoratore presso il Reparto Movimento di Ventimiglia, dal 1995 al 2006. Il disservizio ha radici lontane, inizia nel 1860 con la politica “peregrina” di Cavour (e dei Savoia), di donare la media Valle Roya, senza tener conto della sua realtà umana, alla Francia, in cambio della Lombardia, continuata dal Rattazzi che ridisegnò i confini del Piemonte a spese della Liguria, Lombardia ed Emilia. Nel nostro caso l’Alta Val Roya, non ceduta alla Francia per motivi “di caccia”, fu assegnata alla provincia di Cuneo.Bafurno Salvatore scrive: “Ometto la valutazione sull’abilità politica degli autori di queste scelte (esiste quella ufficiale ancora insegnata nelle scuole) che sono all’origine alle difficoltà, di natura politica sulla costruzione della linea, alle polemiche sulla scelta del tracciato, contestato da Oneglia (poi Imperia) e per la realizzazione e la messa in esercizio di quella realizzata. L’idea della Cuneo – Nizza è del 1853, proposta da Cavour, per collegare Torino a Nizza, parallela alla Via Reale del 1600, via Savigliano – Cuneo, completata il 05/08/1855. Con la morte di Cavour e la cessione quasi totale della Contea di Nizza alla Francia, il progetto fu modificato per l’ovvio collegamento con Ventimiglia e non più con Nizza, ed iniziarono le problematiche. Gli studi sulla direttrice durarono fino al 1895 e fu preferito il tracciato voluto da Cavour a quello proposto via Ceva – Ormea – Oneglia, dove si immetteva nella cosiddetta “Ferrovia Ligure” verso Ventimiglia e quindi Nizza.
Intanto la linea fu attivata fino Robilante (16/07/87), Vernante (01/09/89), Limone (01/06/91) e, terminata la Galleria ferroviaria del Tenda, di mt 8.099, il 01/10/1900 la ferrovia raggiunse Vievola. Solo nel 1904, firmata la convenzione tra Italia e Francia, iniziarono i lavori in Valle Roya, che avanzarono a rilento e con molte interruzioni, fino all’inaugurazione il 31/10/1928, con l’esercizio assunto dalle Ferrovie dello Stato e dalla PLM (Paris-Lyon-Méditerranée), a trazione elettrica 4500Vca, tra Cuneo e Ventimiglia, permettendo il transito dei treni merci. La linea fu assegnata al Compartimento di Torino (Fascicolo Orario n.7), una scelta politica che fa comprendere meglio le problematiche odierne. Quando fu inaugurata nel 1928, risultò una delle più grandi opere di ingegneria realizzata e divenne il viaggio preferito, per i suoi panorami, dell’elite internazionale. La ferrovia portò immediati vantaggi al traffico tra Piemonte e mare, ma soprattutto a quello internazionale tra il Nord Europa e Nizza. Il percorso tra Berna e Sanremo, via Loetschberg, Sempione, Arona, Torino, Cuneo, ridusse la percorrenza del 40% rispetto al precedente, via Arona, Novara, Savona, e nel 1936, il viaggio tra Berna e San Remo durava solo 12 ore. La partenza da Berna, in coincidenza con treni da Londra, Bruxelles, Amsterdam, Oslo e Berlino, collegava di fatto la Costa Azzurra e la Riviera di Ponente al Nord Europa.
Il convoglio era formato da due sezioni, in testa quella per Sanremo, in coda quella per Nizza. A Breil la sezione per Sanremo proseguiva con la stessa locomotiva, via Ventimiglia, quella per Nizza proseguiva, via Sospel–Escarene, con una locomotiva a vapore della PLM. Le vicende belliche danneggiarono completamente la linea, la sua riattivazione fu lunga e laboriosa, come la nascita, i primi treni iniziarono a circolare nel 1979 a trazione termica. In base ad un laborioso trattato internazionale tra SNCF e FS.
La linea Ventimiglia – Cuneo nel 2013. Per l’esercizio della circolazione ferroviaria è praticamente divisa nei seguenti due tratti: Cuneo – Limone, a trazione elettrica, gestita in CTC dal DCO Cuneo, con armamento e impiantistica a cura di RFI Torino e servito da convogli Trenitalia D.R. Piemonte, per cui ha problemi solo legati al servizio affidato al “Compartimento di Torino”. Limone – Ventimiglia e diramazi ne su Nizza, a trazione termica (diesel), gestita in CTC dal DCO Breil (SNCF), in base all’apposita “Istruzione – Consigne S. 0. N° 1”. La circolazione treni è gestita totalmente da SNCF; mentre per SNCF il servizio è gestito senza problemi, per Trenitalia è peggiorato con la riforma che, di fatto, l’ha divisa in Passeggeri, Trasporto Regionale e Cargo, con gestioni completamente indipendenti, in più il Trasporto Regionale è a carico delle Regioni. Quindi D.R. Piemonte assicura i treni previsti in orario tra Cuneo e Ventimiglia, compresi i tratti francese e ligure, anche con personale dei treni, macchina o scorta, di D.R. Liguria.
I problemi sorgono quando è imposto un orario senza consultare la D.R. Liguria, come è avvenuto nell’orario in corso, malgrado che tra la compilazione dell’orario, in giugno, e l’entrata in vigore, inizio dicembre, vi sono almeno sei mesi utili per eventuali trattative, cosa che non avviene con SNCF che espone il nuovo orario con una conferenza tra le parti interessate. Occorre un accordo tra i responsabili dell’esercizio della linea, modificando la Consigne S.O. N° 1 e Capitolati vari del 1979, o, meglio, adattandoli alla Direttiva Europea, come è avvenuta per altri valichi internazionali.
Variante di tracciato Genova Voltri-Finale Ligure Marina e da Andora a San Lorenzo
L’attuali linee dismesse da Savona a Finale Ligure e da Andora a San Lorenzo, da parte delle FS sono state spogliate di tutto: dalle traversine, dai binari, dai segnali; sono stare riassegnate ai vari comuni nel loro tratto di attraversamento e da questi trasformati in strade sia pedonali sia ciclabili che veicolari, sia trasformate a parcheggi, sia, per alcuni tratti, cedute ai privati e trasformate in cantine, sia definivamente sbarrate ed abbandonate.
La sede ferroviaria della vecchia linea, che corre quasi sempre in vicinanza del mare, stretta tra la Via Aurelia e la scogliera a picco, è quasi sempre rintracciabile con facilità grazie alle numerose opere d’arte e alla presenza, in alcuni tratti, di resti della palificazione. Nei tratti Arenzano-Cogoleto e Cogoleto-Varazze il sedime è stato convertito in un percorso ciclo-pedonale pavimentato e illuminato. A Celle Ligure e tra Albisola e Savona è stato trasformato in passeggiata sul mare. Nei restanti tratti, la vecchia linea è generalmente abbandonata, salvo il tratto da Savona a Vado Ligure dove è ancora armata e usata come raccordo industriale. In ambito urbano l’ex-sedime è stato utilizzato in vari modi, per la creazione di giardini pubblici, parcheggi o per l’allargamento di strade preesistenti. Nei pressi della stazione di Cogoleto, alcune centinaia di metri della vecchia massicciata hanno dato posto al binario pari della nuova linea raddoppiata. I fabbricati delle ex-stazioni di Varazze, Celle Ligure, Savona, Spotorno e Noli sono stati demoliti; gli altri sono generalmente in discrete condizioni; quasi tutti i caselli sono stati venduti a privati e trasformati in abitazioni.
Nell’attesa di vedere concratizzarsi dalle parole ai fatti, i lavori di raddoppio, assistiamo a tutto quanto ci ripropone la casistica giornaliera: suicidi, investimenti, frane, passaggi a livello fautori di interminabili code veicolari, costrutti urbani divisi a metà, a Loano a causa di un guasto alla barriera protettiva del passaggio a livello che da lungomare Madonna del Loreto collega la via Aurelia in direzione Pietra Ligure, la polizia municipale presidia e dirige il traffico, con marcia “a vista” di tutti i treni.
Dai treni al “cavalér” -Secondo una delle leggende relative al baco, diffusa in Cina, la scoperta dell’utilità di questo insetto si deve a un’antica imperatrice di nome Xi Ling-Shi nel XXVIII secolo a.C. L’imperatrice stava passeggiando quando notò un bruco. Lo sfiorò con un dito e dal bruco spuntò un filo di seta. Man mano che il filo fuoriusciva dal baco, l’imperatrice lo avvolgeva attorno al dito, ricavandone una sensazione di calore. Alla fine, vide un piccolo bozzolo, e comprese improvvisamente il legame fra il baco e la seta. Insegnò quanto aveva scoperto al popolo, e la notizia si diffuse. Nell’antichità classica la seta viaggiava, insieme ad altre merci, dalla Cina fino ai paesi mediterranei lungo la famosa via della seta senza che i destinatari finali ne conoscessero l’origine.
Quando conquistarono la Sicilia, i saraceni vi introdussero l’allevamento dei bachi da seta (bachicoltura), allora sconosciuta in Europa. In seguito, questa pratica si diffuse anche altrove ma la Sicilia mantenne per diversi secoli una posizione avvantaggiata nella produzione di seta; questa attività contribuì notevolmente alla ricchezza dell’isola. La massima produzione di seta si raggiunse nel nord Italia nel XVIII secolo, cominciò a calare nel periodo tra le due guerre per scomparire totalmente negli anni cinquanta a causa della concorrenza della Cina che ne è attualmente il maggior produttore mondiale. Finalmente una bella notizia, si riapre la via della seta [], non quella del baco ma della Belt and Road Initiative, il grande sistema con cui Pechino punta a rilanciare la connettività infrastrutturale e commerciale della grande massa continentale eurasiatica e a edificare una nuova architettura economico-commerciale.
In seguito al lancio della “Politica di riforma ed apertura” di Deng Xiaoping sul finire degli Anni Settanta e, più di recente, della grande strategia con cui la leadership del Partito Comunista, oggi incarnata nel suo dominus Xi Jinping, sta programmando l’avanzamento mondiale di Pechino. Tale avanzamento si incentra su tre pietre miliari cronologiche: entro il 2021, centenario del Partito, è prevista la completa eradicazione della povertà rurale; per il 2035 il conseguimento di un livello adeguato di ricchezza per tutta la popolazione e la modernizzazione dell’apparato militare; per il 2049, centenario della Repubblica Popolare, la Cina punta a strutturarsi come “moderno e prospero Paese socialista” e a completare l’unificazione territoriale con il ritorno di Taiwan alla madrepatria.
La “Nuova via della seta”, in questo contesto, è la strada maestra che la Cina ha deciso di percorrere per raggiungere tali obiettivi. la Nuova via della seta è presentata dal governo cinese come il primo passo per “rinforzare la connettività regionale e costruire un radioso futuro condiviso”, come dichiarato nel marzo 2015 dall’agenzia di stampa Xinhua. La Nuova via della seta richiama, nel suo stesso nome, l’epoca d’oro degli scambi nei grandi spazi euroasiatici, l’era delle carovane che attraversando Siria, Iran e Asia Centrale consentivano il commercio tra il bacino del Mediterraneo e la Cina. Risulta, al tempo stesso, una strategia, un cambio di paradigma e, a suo modo, un auspicio.
Il presidente cinese Xi Jinping è atteso in Italia dal 21 al 23 marzo, per la firma di accordi bilaterali istituzionali e commerciali con il governo italiano ma anche di un memorandum d’intesa tra Italia e Cina la cosiddetta “Belt and Road Initiative“. Per il presidente della Cina, che resta (è meglio ricordarlo) uno Stato totalitario, è il progetto del secolo. L’idea contenuta nel memorandum è di avvolgere l’Europa e l’Asia con una rete di infrastrutture su cui muovere navi e treni, controllando cioè la maggioranza delle infrastrutture.
Già nella costruenda piattaforma della Maersk il 7 dicembre 2018. È arrivata nel porto di Vado Ligure dopo un viaggio di oltre due mesi, proveniente dalla Cina, la prima gru “di banchina” (STS – Ship to shore) che andrà a operare nel terminal container di APM. I numeri della STS sono imponenti: la gru è infatti alta oltre 90 metri, pesa circa 1.800 tonnellate e ha uno “sbraccio” in grado di manovrare fino a 23 file di container in senso orizzontale. La portata è di 65 tonnellate in configurazione “twin lift” e 100 in configurazione “sotto gancio”. Si tratta di equipaggiamenti di ultima generazione, tecnologicamente avanzati, che rispondono ai più elevati standard di mercato.
L’interesse italiano riguarda, in primo luogo, il versante marittimo dell’iniziativa, con i porti del nord Adriatico, e in particolare Trieste, in prima fila. Il sostegno italiano all’iniziativa è proseguito anche con l’esecutivo attuale. Il vice presidente del Consiglio, Gigino Di Mao ha già effettuato due visite in Cina. In occasione della sua presenza a Shanghai per l’inaugurazione della prima China International Import Expo, Di Mao aveva sottolineato l’importanza dell’iniziativa lanciata da Xi per l’Italia. L’adesione all’iniziativa, disse, è “un’occasione per incrementare ulteriormente i rapporti tra le nostre aziende e quelle cinesi”. Cosa sta avvenendo sul continente africano? Per le strade di Harare, capitale dello Zimbabwe, i commercianti vendono e comprano in yuan, la divisa di Pechino. I vagoni della nuova metropolitana che collega Addis Abeba sono addobbati con bandiere etiopi e cinesi. Persino tra i paradisiaci altopiani del Lesotho si scovano operai con gli occhi a mandorla intenti a costruire l’ennesima diga. La penetrazione della Cina in Africa è ormai totale. L’onorevolde Di Mao saà contento che ci sia in Italia un incremento di operai cinesi; quelli lavorano sodo, mentre i nostri, a casa loro, aspettano il reddito di cittadinanza.
Secondo la definizione recentemente fornita da Amartya Sen [economista, filosofo e accademico indiano, Premio Nobel per l’economia nel 1998, Lamont University Professor presso la Havard University] (2000), per analisi costi-benefici s’intende qualsiasi analisi che, a prescindere dalle tecniche di fatto adottate, sia basata sull’idea che sia utile intraprendere un’attività solo nel caso in cui i benefici siano superiori ai costi e che permetta di sommare costi e benefici, valutando tutte e solo le conseguenze dell’attività in esame senza il ricorso a norme o principi etici. È quello che oggi giorno sentiamo ripeterci dal governo giallo-verde sull’economia, non solo, sulla quotadianità del popolo italiano. L’ultimo esempio che è venuto alla luce è legato alla vicenda degli F35.
L’adesione dell’Italia al programma per il caccia di quinta generazione Joint strike fighter risale al 1998, con il governo Prodi. Inizialmente, era previsto l’acquisto di 131 velivoli per Aeronautica e Marina. Successivamente, nel 2012, c’è stata una ‘sforbiciata’ ed il numero è sceso a 90. Attualmente sono 11 gli F35 italiani in servizio ed il dodicesimo sarà consegnato a breve. Sono 25 i piloti qualificati e poco meno di 250 gli specialisti per la manutenzione. Il dossier messo a punto dagli esperti di governo prevede di rivedere il programma nella sua completezza. Altri posti di lavoro persi. Chiuderà Cameri dove l’Aeronautica italiana ha creato uno stabilimento, vero gioiello tecnologico, che ha convinto gli americani a concedere al nostro Paese, unico caso fuori dagli Stati Uniti, la possibilità di costruire i cassoni alari, i contenitori del motore, e assemblare gli interi velivoli F-35.
Inizialmente l’Italia aveva prenotato 131 caccia F-35 per un costo totale stimato attorno ai 12,9 miliardi di dollari. In seguito alle polemiche per la spesa elevata, si è deciso di ridurre a 90 l’acquisto degli F-35 Lightning (fulmine), un caccia di quinta generazione, concepito in modo da essere invisibile ai radar e operare in rete con altri sistemi d’arma. I 90 presi dall’Italia (60 nella versione a decollo normale e 30 a decollo verticale) serviranno a rimpiazzare i cacciabombardieri Tornado e Amx dell’Aeronautica e gli Harrier della Marina.
Poiché i costi di produzione sono aumentati in seguito alla riduzione a 90 esemplari, gli altri Paesi europei, come Olanda, Norvegia, Inghilterra e in futuro probabilmente anche Belgio, Danimarca e Polonia, non hanno più convenienza a comprare gli esemplari costruiti in Italia. Spendono meno se li acquistano direttamente negli Stati Uniti.
«Siamo l’unico Paese – dice ancora Vincenzo Camporini – ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della difesa – dove si fa calare il silenzio su un fatto che riguarda la sicurezza nazionale. Spaventati dall’opinione pubblica, siamo riusciti a oscurare perfino la notizia che il primo pilota a sorvolare l’Atlantico al comando di un F-35 è stato un italiano». L’evento risale al febbraio 2016, il maggiore Gianmarco Di Loreto volò da Cameri fino a Patuxent River, nel Maryland, dove fu accolto con grandi festeggiamenti.
Se continua così, leggeremo sui quotidiani un articolo di questo genere: “ln Italia, la sicurezza nazionale aerea è affidata a squadriglie di caccia biblano monoposto Sopwith Camel che era prodotto dalla azienda britannica Sopwith Aviation Company ed al biplano trimotore da bombardamento Caproni; tali aerei che hanno fatto ‘bene’ nella prima guerra mondiale hanno costi contenuti. Non essendoci più l’azianda britannica che li produceva, possono essere rimessi in esercizio prelevandoli dai vari musei dell’arenautica. Non hanno più ragione di esistere le varie basi aeree nazionali quali Cameri, Gioia del Colle, Aviano, ect…, che oltre a tenere occupati uomini e militari, sono fonte di spese inutili al popolo italiano”
Dagli Aerei ai Treni – Tornando all’analisi costi/benefici, l’attuale governo nel suo programma dice: “sarà valutata la possibilità di riattivare linee ferroviarie locali dismesse in favore del trasporto su gomma”.
Alesben B.