Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Savona, la Storia del Pci dal 1959
Il Comune commissariato due volte
Operazione Oltreletimbro e assalto in collina


Il tentativo di spostamento a destra dell’asse politico del Paese e di inglobamento del MSI nella maggioranza di governo, attuato dall’allora Presidente del Consiglio on.Tambroni fu respinto grazie ad una grande mobilitazione di massa che vide le sinistre protagoniste in tutte le piazze del Paese. Si pagò anche un oneroso tributo di sangue, ma l’attacco, ripeto, fu respinto. Savona operaia ed antifascista si dimostrò particolarmente reattiva: anche per la vicinanza con Genova, culla ed epicentro dei moti antifascisti, la piazza della nostra Città si mostrò in prima linea anche in quei difficili e drammatici giorni. Ho parlato, non a caso, di Savona operaia ed antifascista, perchè quegli episodi misero in luce un elemento di grande importanza al riguardo dell’analisi che sto cercando di portare avanti.

di Franco Astengo

LA GESTIONE COMMISSARIALE, IL RITORNO DELLA SINISTRA

ALLA GUIDA DEL COMUNE E L’APERTURA DI UNA NUOVA FASE DI SVILUPPO

Il Commissario straordinario nominato dal Ministero dell’Interno, dott. La Corte, rimase in carica per un lungo periodo, tra il 1959 ed il 1960; vigevano allora diverse disposizioni in materia di scioglimento dei consigli comunali ed, inoltre, venne deciso di anticipare l’intero turno amministrativo. Le elezioni scivolarono così al Novembre del 1960. La gestione commissariale fu caratterizzata da una grande dinamicità ed iniziativa, condotte ben oltre il limite della “ordinaria amministrazione”: a distanza di molti anni è il caso di ricordare come il legame tra il Ministero dell’Interno (sempre mantenuto dalla DC) ed i funzionari prefettizi risultasse molto stretto ed il tentativo di scalzare le sinistre dal governo della Città di Savona fosse considerato un fatto politico di rilievo anche “molto in alto”. Da parte, in particolare, della DC il tentativo di acquisire la guida del Comune di Savona fu valutato come a portata di mano, considerati anche i risultati delle politiche del ’58, rapportati alla dimensione cittadina ed al fatto che il “trend” elettorale dei comunisti era ritenuto, comunque, in discesa.

Si accennava alla estrema dinamicità operativa attuata dalla gestione commissariale: in quel periodo si realizzò infatti un’opera di rilevanti proporzioni come quella della integrale ripavimentazione di via Paleocapa con il rifacimento delle fognature e delle condutture per i servizi di gas ed acqua e fu aperto anche il tunnel verso Via Famagosta, un ‘opera non solo di grande portata ma anche di forte impatto sull’opinione pubblica. Ma il calcolo di investire grandi risorse in opere pubbliche non si rivelò vincente, soprattutto perchè erano andate maturando, sul piano generale, nuove condizioni sociali e si stavano verificando, sul piano politico, fatti di grande importanza tali da aprire una fase completamente nuova nel sistema politico italiano. Gli anni ’59 – ’60 videro, infatti, l’affermarsi di quello che a giusta ragione è stato definito come “boom economico”, con un evidente mutamento nelle condizioni materiali di vita per milioni di cittadini: automobile, televisore, elettrodomestici cominciarono ad entrare nella vita quotidiana degli strati intermedi, anche operai, portando, prima di condizionarne lo sviluppo in senso consumistico, elementi di liberazione e di crescita culturale. Iniziò allora una trasmigrazione quasi biblica tra il Sud ed il Nord del Paese, con milioni di braccianti agricoli che si trasformarono in mano d’opera urbana.

Savona fu relativamente investita dal fenomeno, per le sue già limitate capacità ricettive in campo occupazionale. L’ondata migratoria si rivolse, dalle nostre parti, essenzialmente verso il settore dell’edilizia che conobbe in quella fase una forte espansione ed occorre affermare che il processo di integrazione fu relativamente breve, anche se non facile. Gran parte degli immigrati di provenienza meridionale assunse presto un atteggiamento, in campo politico e sociale, “interno” alle logiche del grande proletariato industriale del Nord, che continuava comunque a rappresentare la base politica più importante delle forze di sinistra. Inoltre principiarono proprio in quel periodo, fermenti rilevanti all’interno del sindacalismo di matrice cattolica e si svolsero episodi importanti di approccio ad una iniziativa unitaria da parte delle centrali sindacali (pensiamo alla “Vertenza di Natale” degli elettromeccanici nel 1960). Questo elemento, dell’avvio di un processo teso verso l’unità sindacale, contribuì, indubbiamente a favorire il rapporto di superamento delle barriere culturali ed ideologiche presenti nel mondo del lavoro, favorendo una forte riaggregazione verso sinistra.

Ma il 1960 fu, soprattutto, l’anno del “Luglio” e dei “fatti Tambroni”. Ricordo ancora una volta: questa non è la sede adatta per rievocare minuziosamente quegli episodi, avvenuti nel corso di una calda estate di 50 anni fa. Il tentativo di spostamento a destra dell’asse politico del Paese e di inglobamento del MSI nella maggioranza di governo, attuato dall’allora Presidente del Consiglio on.Tambroni fu respinto grazie ad una grande mobilitazione di massa che vide le sinistre protagoniste in tutte le piazze del Paese. Si pagò anche un oneroso tributo di sangue, ma l’attacco, ripeto, fu respinto. Savona operaia ed antifascista si dimostrò particolarmente reattiva: anche per la vicinanza con Genova, culla ed epicentro dei moti antifascisti, la piazza della nostra Città si mostrò in prima linea anche in quei difficili e drammatici giorni. Ho parlato, non a caso, di Savona operaia ed antifascista, perchè quegli episodi misero in luce un elemento di grande importanza al riguardo dell’analisi che sto cercando di portare avanti.

I due fondamenti del radicarsi sociale della sinistra che sono stati esaminati all’inizio di questo discorso: la resistenza al nazi-fascismo e la presenze nelle fabbriche (o, comunque, nelle grandi concentrazioni del mondo del lavoro, ad esempio nelle compagnie portuali) si rivelarono ancora una volta fattori decisivi, veri e propri elementi di “collante sociale” saldandosi alla vitalità dimostrata dalle giovani generazioni, salite improvvisamente alla ribalta dell’impegno sociale e politico. Erano i giovani delle “magliette a strisce” che, unendosi con gli ormai adulti quadri operai protagonisti del biennio 43-45 e degli anni duri della difesa delle fabbriche, costituirono la nuova base sociale delle forze di sinistra. A Savona questo impatto e questa nuova aggregazione si realizzarono in una dimensione particolarmente rilevante, anche se con qualche frizione e contestazione “da sinistra”, che nel giro di qualche anno avrebbero fatto sentire anche un certo peso.

In queste condizioni il PCI vinse di stretta misura le elezioni amministrative del Novembre 1960, perdendo seggi e vedendosi costretto a considerare l’alleato PSI in una posizione oggettivamente determinante ( i comunisti portarono a Palazzo Sisto IV 14 consiglieri, i socialisti 7, per un totale di 21 consiglieri su 40: una risicata maggioranza). Ma la vittoria era importante, proprio per le condizioni in cui era stata ottenuta e perchè consentiva di aprire per davvero una nuova stagione di governo della Città, in una fase di radicale mutamento degli assetti generali della società e dell’economia. Nuovo sindaco fu eletto Angelo Carossino, nella linea di continuità e contiguità tra il livello di direzione del Partito Comunista ed il vertice dell’amministrazione comunale cittadina.

Un Sindaco che dimostrò subito grande energia e grande capacità di direzione politica. Gli elementi di particolare rilievo che emersero in quella fase di vita amministrativa furono essenzialmente due:

a) la messa in campo di una ipotesi di nuovo sviluppo urbanistico della città e del suo comprensorio. Nacque così l’idea del Piano Regolatore Intercomunale Savonese (P.R.I.S), uno strumento di programmazione urbanistica di grande qualità a cui lavorarono tecnici di primaria importanza quali l’architetto Todros ed il futuro ministro socialista Francesco Forte. L’idea del PRIS sulla cui attuazione avrò occasione di ritornare nel corso di questo lavoro suscitò momenti di intenso confronto politico – amministrativo, consentì anche di aprire un nuovo dialogo tra l’amministrazione comunale di sinistra e le principali forze economiche: Ente Porto e Camera di Commercio, in primo luogo.

Furono vissuti momenti di forte frizione, ma nell’insieme proprio l’idea di uno strumento urbanistico (pressochè originale nell’intero panorama del Paese) che si riteneva potesse mettere in moto un efficace meccanismo di regolazione dello sviluppo economico (in realtà alquanto enfatizzato nelle previsioni quantitative della crescita demografica e dell’incremento della ricchezza complessiva) costituì un elemento di particolare forza, al fine di favorire una nuova capacità di confronto sui principali temi politico – amministrativi fuori e dentro il Consiglio Comunale (mutarono anche i rapporti tra maggioranza ed opposizione, nel senso di un avvio graduale di superamento delle barriere ideologiche che abbiamo già constatato come fossero fortissime. Del resto eravamo nella stagione del “disgelo” tra le due superpotenze e nel momento di un forte rinnovamento all’interno della Chiesa Cattolica, portato avanti dal papato di Giovanni XXIII);

b) si avviò, in maniera consistente, il processo di espansione edilizia della Città nelle zone dell’Oltreletimbro. Si trattò di una operazione di vaste dimensioni, all’interno della quale emersero anche contraddizioni stridenti: la più importante fra queste fu rappresentata dalla costruzione della nuova stazione ferroviaria, inaugurata nel 1964 e resa operativa addirittura nel 1976, e dall’avvio di un processo di urbanizzazione dei quartieri di collina a ponente (Chiavella; Piazzale Moroni) che finì con l’incidere non positivamente sull’insieme della struttura urbanistica della Città. Nella sostanza non si realizzò, fin da allora, il tentativo di spostare il baricentro della Città dal tradizionale incrocio via Paleocapa – corso Italia e si avviò, sia pure in minima misura, un processo di diminuzione nelle condizioni di vivibilità del centro cittadino, che oggi appaiono sicuramente in decadenza piena: se si pensa alle migliaia di case sfitte ed ai due grandi contenitori storici, San Paolo e Palazzo Santa Chiara, non ristrutturati da decenni ed in totale abbandono.

Torniamo però al filo cronologico del nostro discorso perchè non è possibile dimenticare come l’espansione edilizia attuata nell’Oltreletimbro nel corso degli anni’60, costituì un fatto di grande respiro e rilievo tale da informare, nel concreto, l’insieme dell’assetto vitale della Città per un lunghissimo periodo. Un segno, insomma, lasciato per il futuro. In quegli anni di grande speranza ma anche di grandi contraddizioni, si verificò inoltre, un fatto di notevole importanza sul quale, al tempo, non si soffermò sufficientemente l’attenzione degli operatori politici e culturali. Si avviò, infatti, in una forma quasi “carsica” quella “fuga di cervelli” che poi esploderà in una misura particolarmente evidente negli anni’70-’80.

Il fenomeno della “fuga dei cervelli” merita un attimo di approfondimento: a Savona funzionavano allora istituti tecnici di grande prestigio ed in grado di formare forti capacità nel campo della ricerca e dell’applicazione; ebbene, gran parte dei diplomati da quegli istituti, proprio a partire dagli anni’60, dovettero cercare lavoro fuori città (in un primo tempo principalmente a Genova); successivamente anche a Milano) perchè la nostra industria (che, nel frattempo, aveva subito nuovi colpi sul piano occupazionale, con il ridimensionamento dello stabilimento “Scarpa e Magnano” passato dall’Edison, al momento della nazionalizzazione dell’energia elettrica, al gruppo Magrini di Bergamo che in quella città aveva trasferito quadri tecnici fondamentali per lo sviluppo ed il rinnovamento del “know-how” dell’azienda savonese e la partenza per Trieste del reparto fonderia dell’Italsider) aveva già mancato l’appuntamento con i punti più avanzati del processo di riconversione industriale, già in atto in altre parti del Paese: un elemento, questo, che avrà riflessi davvero decisivi sull’insieme della prospettiva economico – sociale del savonese.

Ritorno, però, alle vicende della giunta guidata da Angelo Carossino, per segnalare come la sua caduta, avvenuta nel 1966,sia stata da ascrivere a fatti di carattere nazionale, più che ad eventi di stretta pertinenza locale. Gli anni 1963-64 rappresentarono, infatti, per l’Italia un momento di fondamentale svolta politica: si avviò l’esperienza di centro-sinistra, con il passaggio del PSI ad una organica collaborazione con la DC. Anche in questo caso mi limito ad osservare gli effetti in sede locale, di un episodio di rilevantissima importanza nazionale. L’effetto più immediato e dirompente che l’esperienza di centro-sinistra ebbe sulla situazione savonese, fu rappresentato dalla scissione del PSI e dalla formazione del PSIUP: la scissione costituì un fatto importante a livello di base, sottraendo al PSI energie ed intelligenze presenti soprattutto nel movimento operaio; ma anche a livello di direzione politica e di immagine il colpo subito dal PSI fu di rilevante portata; soltanto in Consiglio Comunale l’impatto venne limitato. Attenzione! Ho voluto dedicare questo breve spazio alla scissione del PSIUP, perchè, almeno a Savona, essa costituì un fatto di importanza superiore al mero elemento di carattere politico, principalmente per un motivo: il vuoto creatosi alla direzione del PSI, fu colmato da personaggi, che vedremo negativamente all’opera negli anni immediatamente seguenti.

La collaborazione di sinistra al Comune di Savona proseguì fino al determinarsi di altri due fatti politici nazionali, egualmente importanti come quello già citato dell’avvio dell’esperienza di governo di centro – sinistra: la fusione tra PSI e PSDI, e l’emanazione del cosiddetto “preambolo Forlani”, un documento attraverso il quale la DC richiese agli alleati di governo di estendere la collaborazione anche ai livelli di governo locale. A Savona questa scelta fu attuata rompendo una collaborazione a sinistra che durava ormai da circa 20 anni, in un momento di grande impegno per l’amministrazione comunale.

L’AMMINISTRAZIONE DI CENTRO -SINISTRA,

LE ELEZIONI DEL 1970 ED IL RITORNO ALL’ALLEANZA PCI – PSI

L’esperienza di centro-sinistra rappresentò una parentesi relativamente breve ed è difficile formulare su di essa giudizi particolarmente compiuti. Buona parte del lavoro che venne svolto in quel periodo era già stato impostato dalla precedente amministrazione di sinistra che, come è già stato segnalato, aveva fornito un forte impulso allo sviluppo urbanistico verso zone della Città, fino ad allora considerate come del tutto periferiche. Dal punto di vista amministrativo e progettuale il periodo di gestione della giunta imperniata sull’alleanza tra DC e PSI, non si segnalò quindi per particolari spunti innovativi nell’esercizio della propria capacità di governo. E’ sul piano più strettamente politico, invece, che accaddero in quella fase alcuni fatti significativi:

a) la presenza della DC in giunta si segnalò come particolarmente positiva, attraverso l’operato di alcune figure di amministratori palesatisi sicuramente capaci e competenti, fra i quali fecero spicco il vice-sindaco avv.Nanni Russo, fratello del più volte ministro Carlo, il dott. Guido Trucco, per molti anni animatore della corrente di sinistra dello scudocrociato a Savona, il prof. Perelli, a lungo presidente della Pubblica Assistenza Croce Bianca;

b) nel PSI, che visse in quel periodo il travaglio della fusione e della nuova scissione con il partito socialdemocratico si aprì una dura battaglia per la leadership. E’ già stato osservato come la scissione dello PSIUP (gennaio ’64) avesse privato il PSI savonese di alcune intelligenze di particolare prestigio e di pezzi importanti del proprio radicamento di base: a questo proposito è il caso di segnalare come il PSIUP ottenesse, alle elezioni politiche del 1968, un risultato elettorale di particolare rilievo, riuscendo ad eleggere, nella nostra provincia, un deputato, l’avv. Stefano Carrara Sutour di Loano. Nel vuoto provocatosi al vertice del PSI riuscì ad affermarsi un nuovo gruppo di potere guidato da quell’Alberto Teardo, diventato proprio nel 1966 segretario provinciale del partito, che successivamente risulterà noto essenzialmente alle cronache giudiziarie e che sarà ricordato come uno tra i politici che maggiormente hanno contribuito a “sgovernare” il territorio savonese. Le forze sane del PSI savonese organizzarono una accanita resistenza ed il braccio di ferro tra i teardiani (appoggiati via, via sempre più autorevolmente dal livello regionale e anche da quello nazionale: ma la pubblicazione degli elenchi della P2 arriverà soltanto 15 anni dopo!) e le altre componenti si protrasse nel tempo, causando anche notevoli riflessi negativi sull’operato dell’amministrazione comunale di Savona. La coalizione di centro-sinistra, non appena insediata, aveva eletto sindaco l’avv.Benedetto Martinengo, stimato penalista, proveniente dalle fila socialdemocratiche.

L’avv.Martinengo, figura integerrima legata agli ideali socialisti di inizio secolo, non garantiva, però, sotto l’aspetto politico i disegni del nuovo gruppo di potere postosi alla testa del PSI savonese e si lavorò per la sua sostituzione al vertice dell’amministrazione cittadina. La sostituzione riuscì, al termine di una lunga manovra politica che portò (autunno ’68) la coalizione alle soglie della crisi: fu eletto Sindaco il dott. Carlo Zanelli, popolare figura soprattutto nel campo sportivo come atleta e dirigente, che inaugurò così un personale periodo di reggenza dell’amministrazione comunale che risulterà particolarmente prolungato nel tempo (fino al gennaio 1982);

  1. nel lasso di tempo che sto cercando di esaminare stendendo proprio questo capitolo si verificò, a livello internazionale e nazionale, un evento di grande importanza per l’insieme delle prospettive sociali, politiche, ed anche al riguardo dello stesso costume di vita quotidiana: l’esplosione del ’68-’69 studentesco ed operaio. Un moto di rivolta di grandi dimensioni, teso a reclamare, da Berkeley a Parigi, da Dakar a Praga, un nuovo modi di concepire i rapporti tra le persone, l’idea del potere, la dimensione stessa della politica.

Ovviamente non ho alcune pretesa di analizzare in questa sede un fenomeno che ha già fatto scorrere, non metaforicamente, fiumi d’inchiostro: mi limiterò dunque ad analizzarne retrospettivamente alcuni risvolti, osservati dal versante savonese.

La nostra Città non visse un 68-69 particolarmente “caldo”: l’assenza dell’Università ed il perdurare della crisi industriale, costituirono i fattori principali per cui quella stagione fu vissuta quasi, per così dire, “di riflesso”.

Purtuttavia alcuni elementi di novità provvisti di una qualche significativa importanza si affacciarono anche nella vita sociale e politica della nostra Città:

  1. Il risveglio di una capacità, da lungo tempo appannata, da parte del Sindacato di costituire un vero e proprio punto di riferimento, al di là del rivendicazionismo immediato: il Sindacato vissuto come momento “alto” del vivere sociale e politico; così si potrebbe riassumere, a distanza di tanti anni, il senso complessivo di quella stagione. Va affermato, senza tema di smentite, che Savona rappresentò una delle città industrialmente avanzate in cui più forte si sviluppò la tensione verso l’unità sindacale e gran parte del merito di ciò deve essere assegnato all’impulso fornito dal radicale rinnovamento avvenuto nella CISL, alla cui direzione provinciale si trovava allora Giovanni Burzio, intelligentemente assecondato del resto sia del segretario provinciale della CGIL, Armando Magliotto, sia del segretario provinciale della UIL, Nicola Pozzi.

  2. L’apertura di una nuova stagione di confronto politico all’interno del mondo cattolico, da troppo tempo ingessato nel “collateralismo” con la D.C, salvo gruppi di giovani attivi all’interno delle ACLI e della CISL (i lettori di “Adesso” di Don Primo Mazzolari, a Savona spesso riuniti a cenacolo da Don Nanni Ricci) che si erano anche resi promotori della fondazione di una GIOS (Gioventù Operaia Savonese) sul modello del movimento die preti- operai in Francia. Adesso però sono le ACLI come organizzazione a muoversi, con la scelta “socialista” compiuta con il convegno di Vallombrosa, rappresentarono il punto di riferimento più avanzato per quella stagione, i cui frutti si sarebbero poi visti nei primi anni’70: a Savona, con la presidenza di Mimmo Filippi, questa scelta di campo delle ACLI assunse particolare rilievo, anche grazie all’impegno di un gruppo di giovani arrivato all’esperienza associativa grazie all’impegno nel movimento studentesco. Il risveglio del mondo cattolico contribuì anche, in una misura particolarmente rilevante all’avvio di una esperienza che, nella nostra Città, mosse i primi passi addirittura in anticipo rispetto alle altre situazioni: l’esperienza dei consigli di quartiere, uno strumento che si rivelò di grande efficacia al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica (la prima esperienza in questo senso si realizzò fin dal 1970, con il consiglio del quartiere di “Savona Ponente”, una zona particolarmente “difficile” comprendente le zone di Chiavella, Piazzale Moroni, Rocca di Legino. Ed il più votato del nuovo consiglio fu proprio un ragazzo delle ACLI: Agostino Macciò);

  3. Il formarsi di consistenti nuclei politici alla sinistra del PCI. La storia di quelli che furono definiti “gruppi” a Savona rimane tutta da scrivere, ma va ricordato come sia il filone di più diretta derivazione dalla matrice marxista – leninista, che il filone spontaneista (Lotta Continua) vissero una fase di forte attivizzazione militante e di influenza sul movimento studentesco (in particolare all’interno di alcuni istituti superiori: Magistrali e Liceo Scientifico) mentre manteneva il suo ruolo Lotta Comunista. La scissione del gruppo del “Manifesto” dal PCI rappresentò un fenomeno maggiormente complesso: l’esito numerico risultò sicuramente limitato, ma l’attenzione del mondo politico costituì un fatto rilevante, come fu dimostrato,ad esempio, dal dibattito che all’interno del circolo culturale “P.Calamandrei” (in quel periodo in piena e fervente attività, anche grazie all’iniziativa del suo segretario Mirko Bottero) si sviluppò con grande articolazione e capacità di confronto ( fu memorabile la serata, eravamo nel 1969 pochi giorni prima della radiazione del gruppo originario del “Manifesto, che si svolse in Sala Rossa con la partecipazione dei due esponenti di maggior spicco a livello nazionale: Luigi Pintor e Lucio Magri). L’attività del gruppo del “Manifesto” a Savona (composto in gran parte da giovani, in quanti gli unici esponenti di rilievo lì confluiti erano l’ex-responsabile culturale Stelio Rescio e l’ex-segretario della FGCI Giovanni Battista Pesce) non incise, in questa fase, sul lavoro di amministrazione della Città anche per via di una assenza di riflessione specifica su questo terreno, ma rappresentò invece un momento di incontro particolarmente efficace tra diverse culture e diversi punti di vista, in particolare tra comunisti e cattolici, che risultò successivamente foriero di sviluppi particolarmente interessanti.

In queste condizioni, dense di novità,si giunse alle elezioni amministrative 1970: le prime nelle quali il corpo elettorale si trovò chiamato ad eleggere, oltre ai consigli comunali e provinciali, anche i consigli regionali.

L’esito di quella tornata elettorale, svoltasi il 7 Giugno 1979, fu rappresentato, per quel che riguarda il Comune di Savona, dal ritorno alla coalizione PCI-PSI.

CONTRADDIZIONI ED APERTURE DELLA GIUNTA DI SINISTRA TRA IL 1970 ED IL 1975:

INTANTO LA CITTA’ SI TRASFORMA DIMINUENDO DECISAMENTE LA PRESENZA INDUSTRIALE.

Ripensando al periodo racchiuso tra il 1970 ed il 1975, che coincise, al riguardo delle vicende dell’amministrazione comunale di Savona, con il ritorno dell’alleanza PCI-PSI ed alla conferma di Carlo Zanelli quale Sindaco ( un primo esempio di classica spartizione partitica) emergono aspetti diversi e contraddittori nell’intreccio tra fattori specificatamente collegati all’ambito locale ed elementi derivanti dalla situazione internazionale e nazionale.

Provo allora a riassumere esponendo quattro punti:

a) la situazione generale, nonostante l’avviarsi della strategia della tensione (strage di Piazza Fontana, Italicus, piazza della Loggia, ecc.) ed il manifestarsi dei primi episodi di terrorismo (attentato alla Sit-Siemens, rapimento del giudice Sossi) appare contraddistinta dall’evolversi di un intenso e tumultuoso processo di democratizzazione del Paese, che culminò nella vittoria del “NO” al referendum abrogativo della legge sul divorzio, svoltosi il 12 Maggio 1974. L’asse politico del Paese apparì allora davvero spostato in direzione di una possibile alternativa all’ormai trentennale predominio democristiano e, al di là del giudizio sugli specifici comportamenti tenuti da questo o da quel partito in quella fase si respirò sul serio l’aria del cambiamento. La stessa crisi economica, culminato nello “choc” petrolifero dell’inverno del 1973 parve rappresentare una occasione per mettere in discussione le coordinate stesse del modello di sviluppo basato sul consumismo individualistico;

b) Savona visse, proprio in quel tempo, uno dei momenti insieme più drammatici ed esaltanti della sua storia recente: mi riferisco, naturalmente, alla serie di attentati dinamitardi che si succedettero in varie parti della Città nel corso dell’autunno – inverno 1974-75. Ancor oggi il mistero regna sull’origine, le forme di attuazione, gli autori, gli scopi di quegli attentati, anche se, alla luce di successive esperienze, appare avere qualche plausibile fondamento l’ipotesi della pista neo-fascista, con il connubio di settori deviati dei servizi segreti italiani ed esteri, con lo scopo di sperimentare, proprio a Savona, un pezzo decisivo della già citata strategia della tensione. Quel che conta, in questa sede, è segnalare, ancora una volta, lo splendido comportamento mantenuto dalla popolazione della nostra Città in quel drammatico frangente: l’attacco fu respinto unitariamente con grande dignità, compostezza, senso di partecipazione popolare: una partecipazione che culminò nel grande moto della vigilanza di massa, diretta dai consigli di quartiere che ebbero una funzione determinante, purtroppo non ripetuta in seguito in una forma così incisiva. Ho già accennato allo sviluppo intenso che la vita democratica della Città aveva segnato negli anni immediatamente precedenti. Ebbene: in quell’occasione si dispiegò interamente quel potenziale di democrazia, dimostrando anche tutta l’autorevolezza e la capacità di mobilitazione delle istituzioni, dei partiti politici e del sindacato. Chi vi partecipò ha ancora negli occhi l’eccezionale manifestazione di Piazza Saffi, svoltasi alla presenza di 30.000 persone, con la partecipazione del segretario nazionale della CISL, Luigi Macario;

  1. l’alleanza PCI-PSI al Comune di Savona visse in quegli anni, un momento di duro confronto – scontro, dal quale uscì modificato nei suoi termini il rapporto politico di fondo tra i due maggiori partiti della sinistra. Ho già accennato al costituirsi di un vero e proprio centro di potere all’interno del PSI, dotato di forti collegamenti regionali e nazionali: quel centro di potere si rafforzò ulteriormente grazie all’ascesa del suo leader, Alberto Teardo, ai vertici della Regione Liguria. Paradossalmente, il primo scandalo legato a questioni edilizie che colpì, in Liguria, il PSI nella figura del “Lord protettore” dello stesso Teardo, Machiavelli, ne rafforzò la posizione. I socialisti, fra i quali si sviluppò un intenso dibattito interno che avrò occasione di riferire più avanti, forti di questo tipo di situazione posero in discussione lo stesso PRIS (lo scopo era quello, ma lo si capì in seguito, era quello di mettere definitivamente le “mani sulla Città”): i comunisti resistettero, in una occasione che si rivelò assai rara, e votarono il documento assieme alla DC (correva il 1973). Si arrivò ad un rimpasto di giunta, ma nonostante tutto il potere del PSI, che cominciava ad applicare la tattica del 50% dei posti a fronte del 10% dei voti ottenuti occupando anche gli Enti di secondo grado, rimase inalterato e la giunta di sinistra apparve strumento comunque insuperabile per il governo della Città;

  2. nel frattempo la struttura economica della Città e del comprensorio rimaneva praticamente al palo, tagliata fuori dai processi di innovazione tecnologica e di trasformazione che si verificarono in altre parti del Paese, non soltanto al Nord. E’ in questa fase inoltre, che con specifico effetto sul sistema portuale e sul sistema industriale delle PPSS, prende definitivamente corpo quel concetto di “area centrale ligure” che ho già avuto occasione di segnalare come in formazione: inoltre venne trascurato l’emergente problema del rapporto tra struttura produttiva ed ambiente. Risentiremo parlare di questo elemento, allorchè esploderanno alcuni nodi fondamentali: dalla centrale ENEL di Vado Ligure, costruita proprio in questo periodo, all’ACNA di Cengio.

Franco Astengo (continua sul prossimo numero)

 


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