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Savona: trascrizione di due donne, ma anche la Corte Costituzionale è contraria


Riceviamo da Associazione Scienza & Vita Savona.  Ritorniamo sulla lettera del sindaco di Savona a Prefetto e Procuratore della Repubblica. Dove egli afferma che la Corte Costituzionale ha sostenuto esservi «un vuoto legislativo» e «un’inerzia del legislatore non più tollerabile».

Noi qui esponiamo le non poche argomentazioni da parte della Corte Costituzionale stessa contro la trascrizione di “due mamme”.

Corte Costituzionale. Non tutte le “famiglie” sono uguali: la famiglia ad instar naturae[1] è il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato.

Legge 76/2016 (Unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).

Alla corte un ricorrente in via incidentale aveva adito sollevando un dubbio di incostituzionalità sulla l. 76/2016 (unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).

La Corte Costituzionale si è espressa dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76  e dell’art. 29, comma 2, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, censurati per violazione degli artt. 2, 3, commi 1 e 2, 30 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24, par. 3, CdfUe[2], agli artt. 8 e 14 Carta europea dei diritti dell’uomo e alla Convenzione sui diritti del fanciullo, nella parte in cui non consentono la formazione di un atto di nascita in cui vengano indicati come genitori due donne tra loro unite civilmente e che abbiano fatto ricorso (all’estero) alla procreazione medicalmente assistita. È a dire: il divieto di indicare due donne entrambe come mamme NON è incostituzionale.

La scelta operata dal legislatore, infatti, sottende l’idea, non arbitraria o irrazionale, che una famiglia ad instar naturae — due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile — rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato, e tale scelta non viola gli artt. 2 e 30 Cost., perché l’aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non assurge a livello di diritto fondamentale della persona.

A sua volta, l’art. 30 Cost. non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli e la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori non implica che possa esplicarsi senza limiti. Inoltre, la circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l’ordinamento non può tenere in considerazione, né diversamente rilevano le richiamate fonti europee, poiché sia la CdfUe sia la Cedu[3], in materia di famiglia, rinviano in modo esplicito alle singole legislazioni nazionali e al rispetto dei principi ivi affermati. (cfr.Corte Costituzionale Sentenza 4 novembre 2020, n. 230).

Legge 40/2004 (Procreazione medicalmente assistita).

È da ricordare anche un’altra sentenza della Corte Costituzionale, dove essa ha respinto la questione di incostituzionalità degli artt. 5 e 12 della l. 40/2004; e ha ribadito che tale legge prevede che alle tecniche di procreazione medicalmente assistita possano accedere soltanto coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi,non consentendo, dunque, l‘accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie omosessuali.(cfr.Corte cost., 23 ottobre 2019, n. 221).

In particolare, la Corte Costituzionale, in tale sentenza ha scritto: «stabilendo che alle tecniche di PMA possano accedere solo coppie formate da persone “di sesso diverso” (art. 5) e prevedendo sanzioni amministrative a carico di chi le applica a coppie composte da soggetti dello stesso sesso (art. 12, c. 2), la legge numero 40 del 2004 nega in modo puntuale e inequivocabile alle coppie omosessuali la fruizione delle tecniche considerate».

La Corte Costituzionale sempre in tale sentenza ha, peraltro, rilevato che: «l’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive: così come non lo è l’infertilità “fisiologica” della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata. Si tratta di fenomeni chiaramente e ontologicamente distinti. L’esclusione dalla PMA delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale».

La Corte Costituzionale dice tutto questo.

Il sindaco stesso, nella sua lettera a prefetto e procuratore della Repubblica (e una procura, settimana scorsa, ha chiesto al Comune tutti gli atti delle trascrizioni[1]) ha onestamente ammesso che la «Corte di Cassazione si è espressa più volte in senso contrario alla registrazione delle genitorialità di due donne».

Essa infatti ha trattato l’argomento più volte, sempre univocamente, in diverse sentenze: n. 7668/2020, n. 8029/2020, n. 2332/2021, n. 6383/2022, n. 7413/2022, n. 10844/2022, n 22179/2022, infine la 38162/2022.

Vediamo più nel dettaglio come la Suprema Corte motiva questa sua contrarietà: essa lo fa richiamando il Codice civile, la legge 40/2004, la legge 76/2016.

  1. L’ufficiale di stato civileè vincolato alla legge nella tenuta dei registri. L‘ordinamento dello stato civile non consente di indicare altra figura genitoriale, oltre alla madre, che non sia il padre (cfr. art. 250 c.c.), pertanto, in tali casi la Suprema Corte in materia, ha ribadito l’orientamento costante, chiarendo che l’indicazione della doppia genitorialità non è da ritenersi necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che in tali casi, l’adozione in casi particolari si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico.

E ciò anche nel caso in cui la compagna della partner sia madre “intenzionale, essendosi limitata a prestare all’estero il consenso alla procreazione (eterologa) della madre, sia nella ipotesi in cui ella abbia anche donato l’ovulo e sia dunque legata al figlio da un rapporto genetico (cfr. Cass. n. 6383/2022).

  1. la legge 40/2004 (procreazione medicalmente assistita)Non può darsi corso alla redazione di un atto di nascita che menzioni due madri, poiché la legge in materia di p. m. a. (art. 5 legge 40/2004.) impone che una sola persona abbia diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita.
  2. Le Corti vietano forme di genitorialità svincolate dal rapporto biologico. Secondo la Cassazione non è consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità, svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio oppure riconosciuto.

La Legge n. 40 del 2004 non consente un’interpretazione estensiva con riferimento ai soggetti che possono accedere alle tecniche di p.m.a., essendo escluso il ricorso alle predette tecniche alle coppie omosessuali[2]. Tale legge ha subìto negli anni, da parte della Corte costituzionale, modifiche e amputazioni ma quest’ultima (seppur espressamente richiesta di modificarlo) non ha mai voluto modificare l’art. 5.

  1. la legge 76/2016 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”).

La Cassazione ha, inoltre, precisato che la legge n. 76 del 2016, pur riconoscendo la dignità sociale giuridica delle coppie formate da persone dello stesso sesso, non consente comunque la filiazione, sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore, poiché dal rinvio alle disposizioni sul matrimonio, contenuto nell’articolo 1 comma 20 di tale legge[3], restano escluse proprio quelle che regolano la paternità, la maternità e l’adozione legittimante.

La Cassazione ha ribadito che nel nostro ordinamento una sola persona ha diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato; pertanto, il divieto di doppia maternità si applica agli atti di nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa. (cfr. Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Sentenza 3 aprile 2020 n. 7668).

Fin qui, ripetiamo, la sola Suprema Corte di Cassazione. Già questo corpus di sentenze potrebbe tranquillizzare un sindaco sul fatto che non sia urgente e neppure necessario derogare alla legge.


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