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Insegnare a contestare, parliamo di scuola. Testimonianza: quando ero dirigente scolastico


Spesso le scuole diventano palcoscenici di contestazioni: contro i provvedimenti del governo, contro le decisioni di un dirigente scolastico, contro la severità di qualche docente ecc. Contestazioni da reprimere o da “educare”? Perché contestare non è – nonostante quel che si crede – una cosa facile, alla portata di tutti.

di Luigi Vassallo 

Nel mio lavoro di dirigente scolastico ho incontrato diverse persone (non solo studenti, ma anche genitori, docenti, non docenti) che, non sempre apertamente, spesso con mezze parole e con i comportamenti “contestavano” le mie direttive o le mie decisioni. In realtà “credevano di contestare” perché confondevano la “contestazione” con il “rifiuto” di ciò che non gli piaceva: “O presepe nun me piace” dice il figlio scapestrato per fare dispetto al padre nella commedia di EduardoNatale in casa Cupiello” (ma alla fine, mentre il padre è sul letto di morte, ammetterà che il presepe gli piace).

Forse non sarebbe male insegnare a scuola la “contestazione”. La nostra società occidentale si fonda sul principio di “autorità” in tutti i campi: un’autorità legittimata non dalla nascita o dal diritto divino, ma dal consenso acquisito con le proprie competenze e le proprie ricerche (pensiamo all’autorità degli scienziati) o dal consenso acquisito con le competizioni elettorali (pensiamo all’autorità di un parlamento democraticamente eletto). L’autorità , dunque, si conquista. In questo senso essa è sempre a rischio di contestazione: i risultati di una ricerca scientifica possono essere smentiti da una ricerca successiva; i risultati di una competizione elettorale possono essere ribaltati da una consultazione successiva. Nella società occidentale (almeno in teoria e a parte qualche degenerazione che può sempre verificarsi) chi esercita l’autorità deve, in qualche modo, sempre meritarsela e farsela confermare con i risultati della sua azione.

Che significa questo all’interno della scuola? Che c’è un’autorità su cui si fonda il funzionamento dell’istituzione scolastica: in particolare l’autorità del dirigente scolastico e l’autorità dei docenti. L’una e l’altra sono garantite dalle leggi in materia scolastica e dagli specifici contratti di lavoro, ma l’una e l’altra devono legittimarsi con i risultati: in particolare, nell’immediato un successo scolastico vero e non truccato e in futuro un successo formativo di tutti o quasi gli studenti. Queste autorità, dunque, possono essere contestate: se contraddicono le leggi in materia scolastica o se non conseguono i risultati per i quali sono state costituite.

Contestare” però è una cosa impegnativa: la parola “contestare” (che deriva dal latino “contestari”) significa originariamente “chiamare a testimone” qualcuno. Non si può quindi contestare sulla base di un “secondo me è sbagliato” perché “secondo me” non è un testimone attendibile contro l’autorità che si contesta, semmai è parte in causa. “Testimoni” attendibili per una efficace contestazione sono le leggi (se l’autorità le ha violate), i risultati dell’azione dell’autorità (se non si rivelano buoni), gli studi di specialisti (che dimostrano che le azioni intraprese dall’autorità condurranno probabilmente non al successo formativo ma all’insuccesso degli studenti). Insomma “contestare” non è una cosa semplice: bisogna studiare, bisogna documentarsi, bisogna diventare agguerriti per mettere in discussione l’autorità . Se non ci attrae la fatica di una efficace e competente contestazione, ci resta solo la “chiacchiera da bar”.

Niente di personale contro le chiacchiere a tempo perso e contro i bar; solo che il bar è una cosa, la scuola un’altra, la chiacchiera per passare il tempo è una cosa, la contestazione per cambiare ciò che non va bene è un’altra cosa.

E allora – tra gli strumenti che un individuo deve acquisire per partecipare pienamente ai diritti e ai doveri di un cittadino in una società democratica – forse deve avere un posto anche la capacità di contestare consapevolmente e motivatamente e non solo umoralmente.

In fondo facevano qualcosa di simile le scuole di retorica del mondo antico con le suasoriae (esercitazioni per acquisire la tecnica per convincere gli altri della giustezza della propria tesi) e le controversiae (esercitazioni per acquisire la tecnica per controbattere, cioè contestare, la tesi di un altro).

Luigi Vassallo 


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