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La Shoah, i genocidi e il caso del Rwanda


La settimana della Memoria della Shoah, un evento ricorrente quanto mai importante per l’umanità, ci ricorda come il suprematismo, l’invidia, l’ottusità, l’uso anche organizzato della violenza, la guerra siano espressioni di un versante dell’animo umano superato e pericoloso, ma che è ancora ben radicato: l’ostilità infatti attende satanicamente sempre il suo momento per affiorare, e distruggere i sentimenti nobilmente coesivi, l’Amicizia, l’Amore e anche l’Arte.

di Sergio Bevilacqua 

Non vi è maggiore violenza sistemica di quella del genocidio. Esso mostra un livello di ostilità massimo, in termini di intensità anche superiore a quello della semplice guerra, poiché avviene per la specifica volontà di eliminare delle caratteristiche proprie della varietà della specie umana, sotto forma di elementi caratterizzanti una certa parte della sua popolazione, senza apparenti interessi opportunistici collegati, come accade normalmente con le guerre tra Stati, che si propongono spostamenti di valore, di potere o di facoltà da uno Stato all’altro. Alcuni poi avvengono sotto forma di guerra civile, come il genocidio del Rwanda nel recente 1994. Il caso mi è particolarmente noto anche perché, nel 2010, sono stato co-promotore del Progetto di sviluppo economico Italia – Rwanda, col patrocinio dei Ministeri degli Esteri e dello sviluppo economico dei due paesi, nonché di realtà economiche e sociali di organizzazione del commercio e delle imprese.

Il genocidio è il tentativo di sradicare dalla specie umana alcuni suoi tratti distintivi, spesso identificati in un particolare patrimonio genetico differenziato con il nome di razza, popolo, cultura. In Rwanda dal 7 aprile al 15 luglio 1994 è stato tentato lo sradicamento dell’etnia Tutsi, con omicidi di massa che sono avvenuti fino a un numero di oltre un milione di vittime.

Secondo la psicanalisi e molte filosofie o religioni, l’essere umano è caratterizzato da aspetti sociali e coesivi, ma anche da fattori distruttivi e autodistruttivi (ostilità). Il genocidio rappresenta la massima espressione di tali seconde, patologiche espressioni. Le neuroscienze hanno meglio strutturato la biologia della coesione umana con la recente scoperta dell’esistenza di micro organi del sistema nervoso centrale umano, i “neuroni specchio”, che presidiano la ripulsa della violenza verso i propri simili. Ma il cervello umano e i suoi funzionamenti sono molto più estesi e sistemici e la semplice esistenza di questi neuroni caratteristici non è condizione sufficiente a impedire la violenza, anche organizzata e di massa.

Infatti, oltre i neuroni specchio, agisce l’esperienza, che è anche esperienza del loro funzionamento. I comportamenti criminali assassini agiscono in piena consapevolezza della ripulsa indotta da tali organi e, superandoli, superano i freni che l’organismo produce tramite i segnali da essi provenienti. Accade in certi organismi sociali criminali (bande, cosche mafiose, associazioni a delinquere di varie forme, bulli, ecc.) che le persone interessate dalla protezione propria dei neuroni specchio e delle conseguenti logiche di appartenenza, siano riconosciute in certi soggetti soltanto e, causa l’infrazione del loro principio biologico generale, anche in modo meno forte che nei soggetti normali.

Il processo cognitivo relativo consiste nell’identificazione di elementi percettivi da eliminare (markers identitari) che qualificano il gruppo, società, razza da eliminare: colore della pelle, statura, fattori anagrafici, comportamenti, stili di vita, religione o altro. Raggiunta questa identificazione, la azione genocida deve strutturarsi su tre livelli prevalenti:

  1. Tecniche di identificazione, strumenti per effettuare la eliminazione, struttura operativa per la stessa, tempi e metodi della realizzazione
  2. Creazione delle condizioni psicologiche individuali che convincano all’attuazione da parte di ciascun “ostile” dell’azione genocida
  3. Creazione di motivazioni teoriche e valoriali condivise (effetto psicosociale di esaltazione di massa, imitazione, filosofie e sociologia deviata per sostenere la necessità dell’azione genocida).

In Rwanda risulta che la identificazione dei soggetti da eliminare dell’etnia Tutsi fosse basata sulle differenze fisiche rispetto agli Hutu aggressori e sulla delazione. Le numerosissime bande che hanno eseguito il massacro si sono attrezzate spesso in modo artigianale, cioè anche senza armi da fuoco, ottenendo un risultato di eccezionale efficacia mortifera. Ciò è stato spiegato attraverso un determinato fenomeno criminologico, che vede la motivazione violenta e sanguinaria invadere la mente degli omicidi e innescare una forma di psicosi di massa: il pensiero accede a strati primitivi del funzionamento neurologico del sistema nervoso centrale e uno stato parossistico, collegato alla vista del sangue e del terrore del perseguitato, s’impadronisce dell’assalitore rendendolo simile a una ingovernabile bestia feroce. Il processo genicidale è stato innescato da credenze in atti di ingiustizia e di asservimento attuate sugli Hutu dai Tutsi, poi tradotti in rivolta e vendetta ciecamente sanguinaria contro questi ultimi.

Come fronteggiare per sempre tali fenomeni disumani non solo moralmente ma anche biologicamente? Le strade da percorrere sono numerose. Ne elenco di seguito alcune:

  1. Formazione fin dall’infanzia sul processo “Differenza-tolleranza-integrazione”, basato sullo studio delle differenze di cultura, civiltà e biologia proprio dell’umanità
  2. Iniziative specifiche di controllo e repressione di manifestazioni violente come bullismo e razzismo.
  3. Addestramento all’uso di sistemi di comunicazione globale per il dialogo tra culture diverse distribuite nel mondo
  4. Attenzione all’espressione delle forme di aggressività, legate a sindromi individuali di tipo biologico come gli eccessi di testosterone e adrenalina.
  5. Formazione antropologica culturale sulle varietà delle espressioni umane in termini di arte e cultura.

L’esperienza di alcune queste forme di prevenzione è stata attuata anche in Rwanda, grazie ai governi recenti, che hanno adottato moderne istituzioni democratiche. Il Governo democratico del Rwanda è noto per essere quello che, ad esempio, ha dato più spazio a politici in ruoli apicali di sesso femminile.

I valori della democrazia, il ruolo conseguente delle istituzioni formative e quello proprio delle famiglie è centrale e fondamentale per consentire finalmente all’umanità di liberarsi da quello spettro sinistro che è la violenza di razza, genere e popolo chiamato genocidio.

Sergio Bevilacqua 


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