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Se bevi l’acqua della «mola», puoi criticare Giorgia Meloni?


Se bevi l’acqua della «mola», puoi criticare la Meloni?

di Antonio Rossello

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni

La Meloni si districa con peripezia di cabotaggio fra scogli come Pnrr e migranti. Ma anche i timori per la nuova ondata Covid, l’immancabile capitolo energia e le misure economiche. E meno male che era draghiana, mentre monta fisiologicamente un coro di critiche, anche da parte di intellettuali, Giorgia sta recidendo tutti i presunti fili di continuità con il suo illustre predecessore a palazzo Chigi. E non si tratta solo dei casi della mancata conferma del taglio del prezzo del carburante, delle modifiche a bonus cultura ai 18enni o al reddito di cittadinanza, del nuovo giro di spoils system, tanto per citarne alcuni, anche se il fatto rende plasticamente l’idea di una soluzione di continuità, quanto dell’atteggiamento politico completamente diverso innanzitutto nei riguardi dell’Europa, specialmente della Banca centrale europea, nonché di snodi fondamentali del governo dell’economia, dalla Banca d’Italia al Mef. E vediamo anche perché il mondo della cultura si schiera e si divide.

Guai a iosa. Ultimo degli ultimi, pure il flop della lotteria Italia: il Governo Meloni deve fare i conti con un buco nelle entrate proveniente da giochi e scommesse. Ma «Ce la farò», così Giorgia durante la conferenza stampa di fine anno, mentre beveva dell’acqua dopo qualche colpo di tosse. Nell’imminenza dei 100 giorni dalla nascita del suo governo, avvenuta il 23 Ottobre 2022, l’occasione è stata propizia per cominciare a fare il punto sull’attività sinora svolta. Ma con quale avvedutezza in termini di cultura politica e sociale si possono stilare giudizi in merito? Tralasciando le note pecche della classe politica, introduciamo un vecchio detto genovese foriero di insegnamenti riguardo a certi soloni, od opinion maker che dir si voglia, i quali vantano saperi superiori in materia…

«Bàive l’egua d’a möa», un detto genovese che tradotto in italiano è «bere l’acqua della mola», può guidarci nel valutare la consistenza dei giudizi riguardo i primi 100 giorni del governo Meloni, sul fatto che il Paese abbia o meno riguadagnato ulteriormente credibilità a livello internazionale, che al suo interno stia risalendo o meno la fiducia di cittadini e imprenditori, il tutto presi a riferimento i fondamentali della politica estera, interna ed economica.

A Genova, i saggi trassero spunto dalle officine, dove le mole hanno vaschette piene d’acqua che serve per raffreddare gli utensili e gli attrezzi, che si surriscaldano con l’attrito causato dalla molatura. Così nacque il modo di dire con cui, ancora oggi, dalle mie parti di solito ci si rivolge a chi si appropria di benefici, anche insignificanti, e apprende i segreti del mestiere o, più in generale, l’arte e le malizie del vivere.

Ebbene, tutto ciò sarà probabilmente capitato alla presidente del Consiglio, la quale, nella nuova aula dei gruppi parlamentari in via Campo Marzio,a Roma, la scorsa settimana ha partecipato alla sua prima conferenza stampa di fine anno. Nell’occasione, peraltro, c’è voluto un bicchiere d’acqua per lei, che tossiva ma ha ribadito:«Ce la farò». E’ stato il buffo intermezzo che ha ispirato questo articolo.

Sicuramente la stampa italiana le ha cortesemente offerto una vetrina. Con rare lodevoli eccezioni, le domande erano tali da poter essere assimilate a quella emblematicamente inutile posta da un’antica saggezza napoletana: «Acquaiolo, l’acqua è fresca?».

In un tour de force durato tre ore; ecco i principali punti che la nostra ha toccato: reddito di cittadinanza; Pnrr e obiettivi raggiunti; catasto e condoni fiscali; Nato e Qatargate; Iran; blocco navale e approvvigionamento di gas dal Nord Africa; invasione russa in Ucraina e viaggio a Kiev, entro fine febbraio; giustizia e intercettazioni; Festa della Liberazione e memoria del Movimento sociale italiano; presidenzialismo e riforma delle istituzioni; Mes e Bce; Patto di stabilità e Trattato del Quirinale; gli aiuti di Stato e il funzionamento della Ue; norma salva calcio; revisione del funzionamento della pubblica amministrazione; la rivendicazione del decreto rave; imprese, automotive e scostamento di Bilancio; Covid e nuove eventuali misure, in caso di recrudescenza pandemica.

Tutti argomenti ampiamente dibattuti sui media: non è qui il caso di entrare ulteriormente nel merito.

Tornando allo spirito che ci muove, non era scontato, ma la presidente del Consiglio se l’è cavata piuttosto bene davanti ai giornalisti, avendo soprattutto in tasca l’approvazione della legge di Bilancio, dopo che, nelle ore precedenti, Palazzo Madama aveva dato il suo definitivo via libera, con 107 voti a favore e 69 contrari. Sotto gli occhi di tutti, c’è ora un provvedimento oggettivamente frutto della Realpolitik, figlio della non propizia congiuntura finanziaria ed internazionale, che deve mantenere fede agli impegni e alle scadenze che obbligano il Paese in un quadro di alleanze a livello europeo e mondiale.

Nonostante lo share, suo personale e di partito, continui a tenere, se non a crescere, l’implacabile e immarcescibile coerenza di Giorgia Meloni è già segnata dalle prime crepe? Certo, alla prova dei fatti, al momento determinate promesse da campagna elettorale paiono quantomeno ridimensionate o procrastinate. Attesa l’evidente necessità di investire la gran parte delle risorse sul caro bollette, la cifra è adesso stabilire quanto finora siano stati mantenuti gli impegni presi prima del voto.

Tuttavia, la Premier ha difeso l’operato del proprio gabinetto – mi si passi il termine d’antan -, dichiarando la propria fiducia negli alleati, al di là di transitori dibattiti e divergenze, naturali all’interno di una coalizione complessivamente votata alla volontà di lavorare bene e a mantenere le scadenze, di fare ciò che c’è da fare, senza infingimenti.

Dunque, è presto per dire se Giorgia abbia già interamente bevuto o meno l’acqua della mola, almeno dal tenore di certe sue affermazioni, ad esempio, per quanto riguarda la guerra Ucraina-Russia: “l’Italia ha fatto quello che doveva fare e continuerà a fare quello che deve fare”, come pure: “Non voglio essere rieletta a ogni costo, non ho nulla da perdere”.

Non le sono comunque mancati veementi attacchi dall’opposizione; uno dei più cruenti è stato l’intervento di Giuseppe Conte nell’Aula della Camera dei deputati, durante la discussione sulle sue comunicazioni, in quanto Premier, in vista del Consiglio europeo del 15 dicembre. Il leader del Movimento 5 stelle ha ravvisato aperte contraddizioni tra la campagna elettorale di Fratelli d’Italia e le azioni dell’esecutivo in carica. Nella fattispecie, non mettendo in discussione il radicamento dell’Italia nell’Alleanza atlantica, Conte ha così criticato l’effettiva postura dell’Italia nei consessi internazionali: «In passato lei aveva parlato, in caso di vittoria, di “un’Italia libera, forte, sovrana”. Quello che notiamo oggi è però davvero incoerente rispetto a questi proclami, notiamo un’acquiescenza alla volontà di Washington e un essere supini rispetto alla strada del perenne invio di armi, in piena continuità con l’ex presidente Draghi».

Ci possono essere sfumature diverse, ma contano i fatti: in questo senso, secondo il suo predecessore a Palazzo Chigi, Giorgia si sarebbe bevuta, ed eccome, l’acqua della mola.

Ulteriormente, se guardiamo il Paese reale, per molta parte della gente comune, che chiacchiera al bar o al mercato facendo la spesa inflazionata, non è cambiato apparentemente nulla, o meglio, se è cambiato qualcosa, è addirittura cambiato in peggio. Ci possiamo ciecamente fidare della massa di ragionamenti non ragionati di questi straordinari Italiani? Ma anche no, popolo manipolabile e in parte poco incline ai veri cambiamenti. Vedremo perché, non completamente per sua colpa.

Al contrario del noto passo gattopardesco, la storia insegna che certe volte non deve cambiare nulla affinché cambi ogni cosa, forse anche perché molte volte non c’è alcun cambiamento esteriore se parimenti non sia pure interiore. Ma Giorgia lo sa? E ci fa leva sopra?Un dato di fatto è una generalizzata carenza di cultura politica, nella quale proporre soluzioni facili a problemi ingarbugliati significa essere parte del problema e non della soluzione, soprattutto se tali soluzioni sono accompagnate da slogan che sembrano fatti apposta ad eccitare l’astio e l’odio di certi settori della società.

Tralasciando la classe politica, bersaglio fin troppo facile viste le molteplici pecche, penso in generale al mondo della cultura, che insieme alle istituzioni e ai media tradizionali, potrebbe dare una spinta importante al lungo e duro lavoro di sensibilizzazione delle coscienze e della responsabilità comunitaria su temi di fondamentale importanza, nell’intento di arginare lo svilimento dei valori umani e la grande confusione evidenziati dal momento epocale che stiamo vivendo. E quale è il ruolo degli intellettuali in questo caso? Colpisce in particolare una ricorrenza: sono tutti professori. O uomini di cultura, per meglio dire: maschi, non giovani, che con la cultura ci campano. Certi soloni, od opinion maker che dir si voglia, che osano vantare saperi superiori, non danno nemmeno l’impressione di potere (o volere) capire il sentiment della gente? Inoltre, ergendosi a campioni – come nelle ordalie e nei tornei medievali – della propria fede, in particolare, nelle dispute mediatiche con interlocutori in genere supposti moralmente meno degni, i medesimi quale esempio costituiscono per la massa? Come riescono essi altresì a contribuire alla formazione di una opinione pubblica matura? Come accade sempre, gli intellettuali progressisti ci dicono chi non votare. Prima il bersaglio era Salvini ma ora fa più paura la leader di Fdi, nel dilemma tra sdoganarla o scomunicarla. Ed attenzione, se serve, sa tirare fuori artigli aguzzi, ricordate quando querelò Roberto Saviano?

Siccome la nemesi funziona così: per tutte le volte che hanno scagliato le frecce della propria indignazione cercando di colpire i comportamenti non sempre adamantini dei propri “avversari”, altrettante volte quelle stesse frecce sono tornate indietro al modo di un boomerang, il succitato detto ligure ben rappresenta la situazione.

Forse “hanno bevuto l’acqua della mola“; si sono stancati. Invece di continuare a prendere posizioni, quelli che possono pensano sia meglio intascare un bel po’ di soldi (o perlomeno appagare il proprio egocentrismo) e darsi alla vita comoda: mettersi in mostra nei salotti o nei talk-show, scrivere articoli autoreferenziali, purché compiacenti, sciorinare inutili verbosità che annientano la voglia di leggere o ascoltare, tanto a che serve continuare a predicare nel deserto?

Talora si parla di “cultura militante” e, a mio avviso, ecco in tutta sincerità come si apre un vulnus della nostro tempo. Ritengo, infatti, che il vero il problema sia l'”intellettuale militante“, e non la cultura tout court, nemmeno il meloniano “Made in Italy” sovranisticamente fatto di qualità, creatività, tradizione, cultura. Perché la vera cultura, di per sé, è sempre militante: nel senso che è sempre di parte, sostenitrice di una tesi, o di quella opposta, pronta a smascherare un errore, o dimostrare l’esistenza di una incongruenza, in ossequio alla prima esposta nobiltà di fini, senza cedere alle lusinghe dell’ omologazione, conduce lento all’ annullamento della pluralità delle identità.

Lo stesso, purtroppo, non capita sempre per gli uomini che dichiarano di professare questa o quella dottrina, o più ancora di aver partorito qualche nuovo sapere, con la possibilità di rivelarsi millantatori da mille e una notte.

E questo ci permette di affrontare di una questione assai importante, che è quella del rapporto tra teoria e prassi. Che cosa ne facciamo di una teoria, anche se fosse suffragata da mille casi sperimentali (ed il bello sarà portarne prova), se chi la sostiene esita a militare in accordo col pensiero che ha introdotto?

Dalle major mediatiche fino al sottobosco della comunicazione (perché chi non sfonda o i trombati si accontentano anche di questo pur di avere una piccola catartica ribalta), la maggior parte di costoro non sono Socrate: non bevono la cicuta in accordo a precisi precetti morali, politici e filosofici, si sono piuttosto bevuti l’acqua della mola, nonostante talora non disdegnino di additare la premier come una nazional-reazionaria che incarna una generazione cresciuta nella dissoluzione dei partiti. Non meglio di chi non si diletta a far fluire fiumi di parole, gli stessi sono contraddistinti da ogni debolezza umana, tremano dinnanzi al potere, e ne inseguono i benefici. In molti fremono per acquisire o non perdere la poltroncina, lo spoils system normato da Amato prima e da Berlusconi poi prevede che senza una riconferma entro tre mesi dal giuramento di un nuovo governo, le dirigenze decadono automaticamente.

Ecco chi si inginocchia innanzi al potente di turno, chi fa captatio benevolentiae per guadagnare nomine o denari. Talora disdegnano pubblicamente l’Accademia, ma non si offendono se, anche in assenza di titolo, qualcuno li chiama professore, per incauta ammirazione o per il noto vezzo partenopeo.

Certo, una carriera accademica può essere negata o interrotta a causa di posizioni scomode, ma spesso ancora chi getta strali sull’ambiente appartiene ad una categoria non degna d’attenzione da parte della comunità scientifica. Costoro sanno darsi un’aria seria, anzi seriosa quanto ruffiana, da scienziati anche quando non lo sono, pseudoscienziati, appunto. Molti falsi profeti, inventori dell’acqua calda, ascrivibili alla ciurma di imbonitori convinta che basti l’ostentazione di un bel curriculum, come se una mela regalata avvolta in un foglio di carta rossa lucida ed infiocchettata diventasse molto più appetibile della stessa mela avvolta in un foglio di giornale, si autoproclamano “ricercatori indipendenti”. Ma più che altro sembrano melomani che sotto la doccia azzardano arie e vocalizzi, perché sono pieni di Lambrusco. Certo lo scorso 7 dicembre non pensava a loro la Meloni, mentre insieme a Mattarella, dal palco d’onore del Teatro alla Scala, stava assistendo alla Prima di ‘Boris Godunov’, per inaugurare la stagione 22/23 con un’opera russa, perché la cultura va oltre politica e confini.

Il termine “ricercatore” in questo caso è autoreferenziale. Non vuol dire nulla, anzi vuol dire che cerchi qualcosa ma senza vero titolo per farlo, quale che sia la ragione, interesse, vanità o altro. Dunque, per l’uomo comune è pericoloso dar retta alle voci di tutti senza mai chiedere le prove, secondo Confucio : “Quando bevi l’acqua, ricordati della sorgente“. Non facciamoci confondere da neologismi o acronimi strambi coniati per darsi un tono, da chi non c’azzecca mai e si scusa definendo i propri intervento una “escursione nei territori dell’utopia”, per stabilire una apparente linea di demarcazione rispetto alla cultura asservita, assuefatta e unidirezionale del secolo.

Preso atto dell’antica saggezza cinese, dovendo ora approfondire i concetti, al netto di quanto leggo in giro, ritengo che il cambiamento non passi dal comportamento individuale, ma che piuttosto si debba intervenire sulle strutture sociali, e non contare su una fumosa (o quantomeno scontata) panacea, venduta con una facondia defatigante e priva d’arte, ma dogmaticamente impetuosa, quale visione organicista del sociale come insieme di singoli.

Ma, altrettanto, ritengo che se la rivoluzione non passa dall’individuo, comincia dall’individuo: se non riesco a cambiare me stesso, perlomeno ad essere sincero con me stesso e con il prossimo, come posso sperare di cambiare il mondo? Dunque, questa è l’essenza. E la Meloni ha recentemente dichiarato durante un convegno : “Meraki è la nostra parola d’ordine straordinaria“. La parola “meraki” viene dal greco moderno ed esprime, sostanzialmente, il senso di completezza che si raggiunge svolgendo un compito con passione.

L’ insegnamento che dobbiamo trarne è quindi il seguente: la cultura milita, se l’intellettuale non esita e non mente. In un certo senso, “Bevi dove beve il cavallo, lui non berrà mai acqua cattiva”, come esordisce un componimento di San Serafino di Sarov (1754-1833, monaco russo molto popolare, canonizzato nel 1903). Dobbiamo tenerlo presente.

Il nostro mondo, quello fatto di mutui e stipendi, è in definitiva pieno di opportunisti e narcisisti, come pure di intellettuali che possono dire A, e poi fare non A o non dimostrare di averlo fatto. Eppure, di Socrate, ne vediamo ancora qualcuno, non solo in epoche diverse, e contesti diversi. Allora cerco di spingermi ancora oltre, di osare un giudizio, e non me ne vergogno: la Meloni mi pare in buona fede e farà quel che potrà in una difficilissima congiuntura, con un lascito fallimentare da parte di chi in generale l’ha preceduta.

E, poi, scusatemi se mi trincero anch’io nel luogo comune: “Nessuno ha la verità in tasca“, che spesso è indice di quel troppo perbenismo popola il popolo. Niente di più falso, se applicato a casi estremi e non ai santoni di cui sopra. Ad esempio, se si dice di non uccidere un bambino indifeso, si dice semplicemente la verità.

Ecco cosa penso per fugare ogni dubbio in partenza: non mi va di spacciarmi per un grande pensatore, ma solo per uno che osserva e ragiona con la propria limitata testa, che si esprime perché c’è fortunatamente libertà di pensiero e parola. E ancora penso che i veri intellettuali militanti non siano una particolare classe di intellettuali, ma che siano gli unici intellettuali possibili, quelli che, se non hanno la verità in mano, almeno rispetti per coerenza tra dire e fare.

Certo, dal micro al macro, possono esserci professori o sedicenti professori, scienziati o pseudo scienziati, megalomani e similari, talvolta anche buoni divulgatori, che non militano e filosofeggiano, ma non saranno mai veri portatori di una cultura di cambiamento politico e sociale. Con i mezzi delle moderne tecnologie, non è difficile sgamarli. La prova sta tutta in quel che, giorno per giorno, hanno dimostrato di non fare: la non militanza del blabla, il tripudio dell’ovvio spacciato per novità … In un mondo attanagliato da tanti problemi e brutture, un mondo che per certi versi andrebbe ribaltato, il vero intellettuale svela gli inganni del senso comune, fa almeno denuncia sociale senza sconti. Non è questa la vera premessa della sociatria, della cura sociale?

Occorre diffidare di chi ha bevuto l’acqua della mola, di chi soltanto parla e straparla. Vale per tutti noi, che dobbiamo formarci una coscienza critica nei confronti di chi governa in democrazia, vale per chi è al governo e si prefigge di governare onestamente e seriamente, senza promettere la luna. Infine, riguardo a Giorgia Meloni, la quale è stata presa come pretesto di tutte queste libere elucubrazioni, cento giorni sono ancora pochi per giungere davvero ad un giudizio esauriente …

Antonio Rossello 


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