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Il primario e docente: utopie boteriane, realtà pandemiche. Con 10 milioni di malati di cirrosi epatica in Italia


Utopie boteriane, realtà pandemiche. Le tele di Botero evocano mondi fiabeschi, sogni, candori, tenerezze, simpatie, leggerezze ed allegrie, nei movimenti fisici quanto nei modi di essere che vi traspaiono, ingannevoli. Ritraggono stati di grazia, invidiabili, invidiati, forse emulati, inconsciamente. La realtà contrasta con quei colori e quelle proprie visioni oniriche.

di Francesco Domenico Capizzi*

La condizione di obesità, nelle sue specifiche gradualità, traspone in fasce ad alto rischio patogeno, fin dalla tenera età, per gli elevati tassi probabilistici nell’acquisire numerose malattie cronico-degenerative quali le cardiovascolari – fra cui principalmente ictus cerebrali, infarti miocardici ed ipertensioni arteriose – il diabete di tipo 2 (non insulino-dipendente), pneumopatie e sindromi apnoiche notturne, per citarne soltanto alcune fra le tante che possono coinvolgere ed alterare apparati ed organi.

Si stima che la condizione di obesità riguardi il 44% dei casi di diabete 2, il 23% di cardiopatie ischemiche, il 75% delle ipertensioni arteriose, conferisce una predisposizione, su base epidemiologica, ad acquisire neoplasie.  In relazione agli eccessi di superficie corporea e alle conseguenti tendenze alla depressione delle difese organiche, l’obesità innalza il tasso di esposizione a contrarre malattie di vario genere e che, una volta acquisite, la loro guarigione trova ostacoli significativi che la ritardano e addirittura la impediscono. Basterà citare un solo dato: le patologie cardiovascolari, piuttosto presenti nelle condizioni di obesità-sovrappeso, rappresentano oggi la prima causa patologica che comporti elevati rischi di complicanze e decessi, a parte l’elevata spesa sanitaria, in Italia ed in tutti i Paesi occidentali. Da aggiungere l’esposizione all’incremento di rischio esponenziale di complicanze e mortalità di fronte alla necessità di un’anestesia generale, di un intervento chirurgico e di accertamenti  diagnostici di tipo invasivo in cui la presa in carico avviene a fronte di gradi di rischio dichiarati ASA 3-4 su una scala di 5 (classificazione dell’American Society of Anesthesiologists adottata sul piano internazionale).

Purtroppo, l’obesità “grave” (identificabile in modo approssimativo con oltre 30-40 kg. in più del peso normale), l’obesità “semplice” e il sovrappeso (oltre circa i 10 kg., che comportano rischi sei volte superiori ad acquisire stati di ipertensione arteriosa) assumono un forte rilievo, per la gravità della loro storia naturale, nei capitoli delle malattie cronico-degenerative per le elevate probabilità che altre se ne aggiungano (“malattie associate”), dalle più gravi alle meno gravi, ma pur sempre in una prospettiva patologica.

In Italia la malattia, comprendendo i vari gradi, riguarda circa la metà della popolazione adulta (nella forma “grave” una persona su dieci), un minorenne su quattro e uno su tre nelle fasce di età entro gli otto anni, di cui almeno il 4% ha già sviluppato una forma di ipertensione arteriosa con l’80% di probabilità di conservarla nell’età adulta  (ISTAT, ISS 2020). Nel Mondo intero, compresi i Paesi a basso reddito, l’eccesso più o meno grave di peso corporeo ha assunto un preoccupante carattere pandemico superando gli 800 milioni di persone affette con una previsione di crescita esponenziale e, in particolare, nell’infanzia del 60% in meno dieci anni raggiungendo la cifra dei 250 milioni (World Obesity Federation, 2020).

L’incalzante situazione ha indotto l’OMS nel 2008 a riconoscere l’obesità come vera e propria malattia cronico-degenerativa, e il Parlamento italiano nel 2019, smentendo la credenza diffusa, sussurrata e non declamata, che la causa dell’eccesso di peso risieda nell’assenza conclamata di volontà e di responsabilità personale. Questa malattia, in realtà, è dovuta a molteplici fattori, che, embricati fra loro, si rafforzano reciprocamente: spiccano il disagio esistenziale, le condizioni ambientali e culturali, stili di vita e produzione e consumo di beni in assenza di una solida informazione diffusa e di misure cautelative da parte delle istituzioni.

L’attuale emergenza pandemica virale ha avuto l’effetto di fare emergere la vulnerabilità dei malati di obesità accostandoli, per i risultati, agli anziani, ai portatori di malattie e sottoposti a terapie ad effetto immunosoppressivo, ai portatori di handicap, alle persone che vivono ai margini della società, in condizioni abitative precarie e con insufficienti entrate economiche…Dei ricoverati in Ospedali a causa dell’infezione il 43% risulta affetta da obesità, che comporta nell’80% il ricorso a cure intensive e alla respirazione artificiale per l’insorgere della sindrome respiratoria acuta grave e con l’aggravio del 26% dell’indice di mortalità rispetto alle persone normopeso coetanee (World obesity Federation, 2021).

Non basta. Una recente ricerca guidata dalla American Heart Association Covid-19- Cardiovascular Disease Registry ha identificato l’obesità fra le principali cause che rendono piuttosto travagliato ed incerto il percorso verso la guarigione: nei grandi obesi di età inferiore a 50 anni il tasso di mortalità è risultato del 36% superiore alla media riscontrabile nei coetanei.

Una sorpresa? Niente affatto. I dati continuano a dimostrare quanto già conosciuto da decenni sulle conseguenze in termini di costi umani e finanziari subiti e sostenuti per questa affezione e per tutte le crescenti malattie cronico-degenerative e neoplastiche: l’impegno delle Istituzioni si renda visibile ed efficace nell’attribuire all’azione preventiva primaria il ruolo di protagonista, viste le possibilità di evitare larga parte delle malattie e l’impossibilità materiale e temporale di attuare terapie valide e durature negli oltre 5 milioni di obesi, senza contare le schiere di affetti da altre malattie cronico-degenerative. Un esempio: si stima la  cifra di 10 milioni di malati di cirrosi epatica che vivono nel nostro Paese.

Francesco Domenico Capizzi

* Già docente di Chirurgia Generale nell’Università di Bologna e direttore di Chirurgia generale negli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna

 


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