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Il presidente Draghi e ‘parità di genere’


Non si può non essere d’accordo su quanto affermato da Mario Draghi nel suo discorso al Senato in occasione del voto di fiducia, riguardo al ruolo fondamentale che le donne debbono avere in ogni ambito della società, compreso l’ambito lavorativo. Ma vi è anche un valore economico del lavoro domestico che non sempre, per non dire mai, è pienamente riconosciuto a livello istituzionale. E pare proprio che anche Draghi abbia perso l’ennesima occasione.

di Gianluca Valpondi

Eppure bastava tendere l’orecchio alle parole di quel Santo Padre che per altro verso, cioè in merito al rispetto dell’ambiente naturale, Draghi stesso aveva citato poco prima nel suo discorso. Già in un suo Messaggio del 2 dicembre 2014 papa Francesco diceva: “Molte donne avvertono il bisogno di essere meglio riconosciute nei loro diritti, nel valore dei compiti che esse svolgono abitualmente nei diversi settori della vita sociale e professionale, nelle loro aspirazioni in seno alla famiglia e alla società. Alcune di loro sono affaticate e quasi schiacciate dalla mole degli impegni e dei compiti, senza trovare sufficiente comprensione e aiuto. Bisogna fare in modo che la donna non sia, per esigenze economiche, costretta a un lavoro troppo duro e a un orario troppo pesante, che si aggiungono a tutte le sue responsabilità di conduttrice della casa e di educatrice dei figli.”

Ma soprattutto bisogna considerare che gli impegni della donna, a tutti i livelli della vita familiare, costituiscono anche un contributo impareggiabile alla vita e all’avvenire della società”. Il discorso del Papa trova inaspettata sponda nella rivista di economia e finanza Il Sole24ore, che, nella sua rubrica Econopoly, titola un articolo di Maurizio Sgroi del 15 settembre 2018 Invece del reddito di cittadinanza serve un reddito alle madri casalinghe.

Scrive Sgroi: «Una statistica diffusa da Ocse, dedicata alle differenze di genere nella quantità di tempo libero disponibile nel corso di una giornata, è una buona occasione per ricordare una caratteristica del nostro paese della quale si discorre pochissimo: la condizione delle nostre donne che lavorano in casa, curando le attività domestiche e i familiari. Ossia un’attività di lavoro a tempo pienissimo, sabato e domenica inclusi, che le impegna decine di ore a settimana e per la quale non esiste alcuna retribuzione. Manca persino una qualsiasi forma di riconoscimento sociale. Una condizione che non è esagerato assimilare a una sostanziale schiavitù (…) Curiosamente di questo stato di cose si parla pochissimo. Persino in un periodo di promesse politiche mirabolanti come quello che stiamo vivendo, la condizione delle donne italiane che lavorano per la casa e i familiari non suscita alcuna attenzione. Invece di proporre improbabili redditi di cittadinanza ad aspiranti lavoratori sarebbe mille volte più giusto fornire una qualche forma di reddito a chi lavora già. Almeno a quelle donne che non ne hanno alcuno. Sarebbe anche un valido sostegno alle famiglie (…) Si potrebbe cominciare fornendo un reddito almeno alle casalinghe che operano all’interno di un nucleo familiare con figli minori.

Ciò non soltanto per dar dignità al lavoro che queste donne svolgono, ma anche per fornir loro un valido contributo economico, visto che la gran parte di queste donne vive in condizioni di povertà e circa il 10% in povertà assoluta. Servirebbe anche a sostenere le famiglie e insieme favorire la natalità, che è un altro dei grandi problemi del nostro paese. Soprattutto sarebbe un giusto riconoscimento dell’importanza che hanno queste donne nella nostra società.

Un ultimo dato lo illustra compiutamente. Il 71% delle ore di lavoro gratuito svolto in Italia nell’anno 2014 (oltre 50 miliardi) è stato svolto da donne per attività domestiche. Si tratta, spiega Istat, di “un valore superiore al numero di ore di lavoro retribuito prodotto dal complesso della popolazione”. Le casalinghe da sole hanno regalato all’Italia 20 miliardi di ore di lavoro». Oltre al fatto che i rappresentanti politici e i responsabili delle pubbliche istituzioni dovrebbero preoccuparsi del fatto che il popolo italiano sia avviato all’estinzione per denatalità, dietro c’è anche una questione di qualità della vita, qualità delle relazioni.

Scrive papa Francesco a pag. 26 di Ritorniamo a sognare: “Forse sentiamo il richiamo dello Spirito: a scoprire quali anziani soli si trovano nelle vicinanze e, insieme ad altri, a offrire loro la nostra amicizia. Oppure potremmo aspirare a far sì che le residenze per anziani siano quanto più possibile simili a famiglie, ben finanziate e integrate nella comunità. A un livello più profondo potremmo chiederci come abbiamo fatto a finire in questa situazione, e quindi considerare quali pressioni sui posti di lavoro e sulle famiglie convincano le persone che gli anziani non possono vivere con loro”. Ma andiamo a vedere, in poche ma esaurienti battute, qual è la linea proposta da Draghi in tema di parità di genere e perché ci pare del tutto inadeguata.

Così il nuovo capo dell’esecutivo: “La mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne. Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa: circa 18 punti su una media europea di 10. Dal dopoguerra ad oggi, la situazione è notevolmente migliorata, ma questo incremento non è andato di pari passo con un altrettanto evidente miglioramento delle condizioni di carriera delle donne. L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo.

Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro. Garantire parità di condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di fare carriera – digitali, tecnologiche e ambientali. Intendiamo quindi investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese”. Quale sarebbe, ci chiediamo, un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro?

L’essere madre, il dedicarsi alla famiglia deve per forza essere inteso come un intralcio alla carriera? Lo Stato, per incentivare il ruolo della donna in ogni ambito della società, deve sgravarla dagli impegni domestici o non deve forse valorizzare l’importanza, anche economica, di questi impegni? La gioia e l’impegno delle intime relazioni che si dispiegano nella conduzione della vita familiare aperta alla condivisione nella gratuità devono forse essere sostituiti dalla freddezza di un nido domestico quasi sempre vuoto se non forse riempito da figure professionali più o meno emotivamente distaccate? In qualunque ambito lavorativo, che una donna abbia sviluppato e continui a sviluppare precipue abilità come conduttrice della casa ed educatrice dei figli non dovrebbe “fare curriculum”, essere cioè un fattore che accresca la sua apprezzabilità anche in termini economici?

Forse il gap tra stipendi e tra possibilità di carriera esistente tra uomini e donne, giustamente denunciato da Draghi, non è anche dovuto alla svalutazione della maternità, vista come un intralcio e non come un valore aggiunto anche in termini di capacità professionali e affidabilità? Ma c’è anche un problema di libertà. La famiglia è un ambito di libertà dove le logiche del mercato e qualunque tipo di imposizione ideologica faticano a farsi spazio, proprio per la gratuità e amorevolezza disinteressata che ne caratterizzano naturalmente i rapporti. Rapporti che, da interni alla famiglia, tendono, per una sorta di sano “contagio”, a farsi esterni nella condivisione e apertura alla società tutta, e così la medesima libertà tende ad espandersi, a “contagiare” l’intera società nella misura in cui essa assume un aspetto familiare, fino al più ampio orizzonte dell’umanità come famiglia dei popoli. Non occorre dunque tutelare al massimo questa perla preziosa dell’intimità calda della vita familiare e domestica, che è la cellula-base della società?

E spingere a tutti i costi fuori casa la donna, o comunque a tutti i costi volerla distogliere dagli impegni, gioie e responsabilità domestiche, arricchisce davvero la donna o non piuttosto la svilisce, togliendole quell’avamposto di potere reale e creativo che è il focolare domestico? E non dovrebbe essere invece proprio il focolare domestico quella fiamma viva che può dare forza, vigore e valore interiore anche alle più prestigiose carriere femminili? E se poi una donna, magari avendo minori e/o disabili (anche anziani) da accudire, volesse dedicarsi interamente alla sua famiglia, non dovrebbe forse lo Stato riconoscerle un “reddito di maternità”? E se anche una donna scegliesse di dedicarsi interamente alla sua professione, come anche a una sua possibile vocazione religiosa, rinunciando a “metter su famiglia”, non è forse vero che, ugualmente che per la paternità spirituale dei maschi, non cesserebbe di essere in qualche modo “madre” nell’ambito di vita dove avrebbe deciso di spendersi con tutta se stessa? In ogni caso, sempre e comunque, l’essere madre dev’essere visto come un  valore aggiunto intrinseco all’essere donna.

Gianluca Valpondi

 


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