Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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A Savona ‘non si mangiavano i bambini’
Cronistoria dal 1945. I protagonisti e 10 sindaci Pci, 2 Psi e… La ‘fuga dei cervelli’. Dove nacque Lotta Comunista. Lo choc Ghelardi ragioniere ladro e storie di usura


Savona non soltanto non si “mangiavano i bambini”, ma i rappresentanti del proletariato industriale che sedevano alla guida del Municipio risultavano in grado di intervenire sulla struttura urbanistica, sull’economia, sulla solidarietà sociale che rappresentavano i punti sui quali l’esercizio di quella capacità di governo che aveva consentito di accumulare un consenso esteso e fortemente radicato. Il ruolo degli intellettuali era considerato soltanto allorquando si poneva “organicamente” nei confronti della “centralità” del Partito. Alle elezioni politiche del 1968 per la Camera dei Deputati il Pci era ancora il primo partito con  20305 voti, seguito dalla Dc (15023), Psu (8177), Pli(4139), Psiup (2712), Msi (1307), Pri(1165), Papi (318), Pdiu, (307), N.Rep (62). E la ‘fuga dei cervelli’ a partire dagli anni ’60.

Il Pci, a Savona, è stato il partito della classe operaia e di massa. Con un forte radicamento sociale, con la sua base militante ed elettorale, antifascista. Ebbe anche un sindaco operaio, Andrea Aglietto con vice l’avv.  Vittorio Luzzati.  Dal ’46 al ’90 il Pci era la forza maggioritaria, governò la città col monocolore dal 1984 -’85, dal 1966 al ’70 il centro sinistra, dal 1989 -’90 bicolore Pci- Pri.  L’ing.Francesco Gervasio (1994- ’98) primo  e unico sindaco da ‘laboratorio’: Partito Popolare, Lega Nord, Forza Italia. E nel 2016, la prima sindaca rosa, l’avv.Ilaria Caprioglio in coalizione FI, Lega di Salvini premier e Fratelli d’Italia e liste civiche.

SABATO 28 settembre 2019, ore 16, alla SMS FORNACI GIARDINI  SERENELLA, incontro sul tema: “Memoria ed identità del Partito Comunista Italiano“. Presiede Dilvo Vannoni. Comunicazioni di Franco Astengo: memoria ed identità del PCI. Bruno Marengo : l’organizzazione del PCI partito di massa. Donatella Ramello: il PCI e le lotte delle donne. Sergio Tortarolo: la cultura politica del PCI da Togliatti a Berlinguer. Franca Ferrando: la funzione pedagogica del PCI. Giuseppe Milazzo: le origini del PCI a Savona. A seguire interventi e dibattito.

di Franco Astengo

Franco Astengo politologo e scrittore, autore del libro “110 anni, racconti bianco blu” (Delfino&Enrile Editori) il giorno della presentazione  nel luglio 2017 con l’avvocato Roberto Romani ex presidente della Fondazione De Mari e già presidente del Savona FBC (vedi……)

Irrequietezze e dissensi (che poi esplosero con la crisi del ’56) non venivano tollerati, prova ne sia che proprio da Savona partì un pezzo consistente di una delle prime diaspore da “sinistra” del PCI con la formazione di un gruppo denominato “leninista della sinistra comunista” che successivamente, attraverso un incontro con gruppi genovesi e di altre città, diede vita al movimento di “Lotta Comunista” tuttora attivo, e che continua ad avere una delle sue basi più importanti nella nostra Città.

Savona e lo scandalo scoperto nella tarda estate del ’58, proprio grazie al lavoro di controllo svolto dal sindaco Urbani e dall’assessore alle finanze Ivo Bavassano. La buona fede dell’amministrazione comunale fu dimostrata, tanto è vero che al processo penale la Tesoreria, allora tenuta dalla Banca Popolare di Novara, fu condannata a rifondere l’ammanco.

Leandro Ghelardi, per circa 25 anni ragioniere capo del Comune di Savona, aveva sistematicamente tradito la fiducia delle diverse amministrazioni che si erano succedute alla guida della Città, intascando cifre enormi per quell’epoca (si arrivò a contare numeri superiori al miliardo di lire). Ghelardi, un personaggio chiacchierato, dal tenore di vita visibilmente superiore alle possibilità economiche di un normale funzionario pubblico, invischiato in un “giro” di strozzinaggio e di mercanti d’arte con pochi scrupoli.

Il fenomeno della “fuga dei cervelli” merita un attimo di approfondimento: a Savona funzionavano allora istituti tecnici di grande prestigio ed in grado di formare forti capacità nel campo della ricerca e dell’applicazione; ebbene, gran parte dei diplomati da quegli istituti, proprio a partire dagli anni’60, dovettero cercare lavoro fuori città. In un primo tempo principalmente a Genova, successivamente anche a Milano e non solo.

PREMESSA DI CARATTERE GENERALE – Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire una prima inquadratura ad un tentativo di analisi politica riguardante l’amministrazione della Città di Savona, in questo dopoguerra, dal 1945 ad oggi. Non ho certo la pretesa di tracciare la storia politica della Città, per tutto questo lungo ed importante periodo. Per far questo seriamente occorrerà un impegno di carattere storiografico di ben altra dimensione ed impegno: anzi, tengo a precisare di aver lavorato esclusivamente attorno ai dati della possibile complessità di un giudizio politico, senza usare di alcuno degli strumenti che solitamente si adoperano quando si intende fare storia.

Una analisi critica, dunque, breve e schematica, niente di più -alfine – quella che intendo sottoporre al vostro giudizio.

Nel periodo contrassegnato dall’utilizzo del sistema elettorale proporzionale e dall’elezione del Sindaco e della Giunta nel seno del Consiglio Comunale (1946 – 1990) il Comune di Savona è stato governato, quasi ininterrottamente, da coalizioni di sinistra all’interno delle quali il P.C.I era risultato forza maggioritaria; tra gli 1966 e 1970 vi fu una breve parentesi di centro – sinistra, dimodochè il PSI è rimasto il solo partito, che in tutto questo periodo, non aveva mai lasciato la “stanza dei bottoni” di Palazzo Sisto IV, salvo due brevissimi intervalli contraddistinti da un monocolore PCI (1984-1985) e da un bi-colore PCI-PRI (1989-1990). Se vogliamo, quindi, esaminare con attenzione questa lunga fase storica di governo della Città dobbiamo principiare dall’analisi dei rapporti tra le due forze di quella che è stata, nella storia d’Italia, la “sinistra storica”.

Nel corso di questi anni il PCI espresse 8 sindaci (Aglietto, Lunardelli, Urbani, Carossino, Scardaoni, Marengo, Magliotto, Tortarolo) il PSI 2 (Martinengo, con la coalizione di centro- sinistra e Zanelli, in carica come primo cittadino alla guida di giunte formate con entrambe le combinazioni di centro-sinistra e di sinistra).

Al mutamento del sistema elettorale (legge 81/93) contrassegnata dall’elezione diretta del Sindaco e dall’attribuzione del premio di maggioranza, abbiamo avuto , dal 1994 al 1998, eletto Sindaco, Francesco Gervasio, alla guida di una inedita coalizione Partito Popolare – Lega Nord – Forza Italia (esperimento tentato a Savona, in molte occasioni come vedremo meglio in seguito “città – laboratorio – politico, e mai più ripetuto); dal 1998 al 2006 Carlo Ruggeri , alla guida di una coalizione di centrosinistra comprendente, in un primo tempo anche Rifondazione Comunista poi passata all’opposizione, e dal 2006 Federico Berruti, anch’egli di centrosinistra inclusa Rifondazione Comunista.

Nel 2016 è stato eletto sindaco per la prima volta una donna Ilaria Caprioglio espressione di una coalizione di centro – destra formata da Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e da altre espressioni politiche di natura civica: un indice di cambiamento politico le cui scaturigini sono da ricercare da un lato nel fattore di mutamento nella composizione sociale della città e dall’altro da un giudizio emotivamente negativo sul tipo di governo che la coalizione di centro sinistra aveva espresso nel corso della sua opera amministrativa almeno a partire dall’ultimo quindicennio.

LA SINISTRA AL GOVERNO DELLA CITTA’ : L’IMMEDIATO DOPOGUERRA

E’ necessario premettere che la tradizione di governo da parte dei comunisti ha a Savona radici molto antiche: nel primo dopoguerra, dopo la vittoria dei socialisti nelle elezioni amministrative del 1920, il sindaco eletto Mario Accomasso passò, con il congresso di Livorno del’21, nelle fila del PcdI, e successivamente lasciò l’incarico ad un altro comunista, Bertolotto. L’amministrazione comunista, naturalmente, dovette forzatamente chiudere i battenti all’avvento del fascismo: ma il segno di quella “condizione di governo” rimase a contraddistinguere la vita dei comunisti, pur ridotti nella clandestinità.

Sarebbe il caso, del resto, di segnalare la complessità culturale e politica della formazione del PcdI a Savona: in un partito che, nel resto del territorio nazionale, faceva riferimento in misura maggioritaria alle posizioni bordighiste e visse, in inimmaginabili condizioni di difficoltà materiale, il travaglio da quelle posizioni alla alla svolta gramsciana (Lione’26), si segnalò nella nostra Città una consistente presenza ordinovista (Savona risultava al secondo posto, dopo Torino, come numero di abbonamenti alla rivista di Gramsci e Togliatti); lo stesso Antonio Gramsci venne a Savona per fondare il Comitato regionale ligure del partito; in seguito si verificò una fusione particolarmente rilevante, con i socialisti terzinternazionalisti di Serrati, al punto che, come vedremo subito appresso, proprio da quella componente arrivo al PcdI Andrea Aglietto, futuro Sindaco della Città alla Liberazione del 25 Aprile 1945.

D’altro canto anche la presenza dei socialisti, nel corso del buio ventennio, si segnalò come provvista di una particolare qualità: ne era espressione il punto di riferimento sempre rappresentato anche da lontano da Sandro Pertini; l’episodio del processo di Savona, con la fuga di Filippo Turati; la presenza in Città di una figura di spicco quale quella rappresentata dall’avv.Vittorio Luzzati. Anche quello che poi sarebbe stato il filone “azionista” era rappresentato, a Savona, da figure di altissimo rilievo come quella dell’avv.Cristoforo Astengo, uno dei grandi martiri che Savona ha offerto alla causa della Liberazione dal nazi-fascismo.

Ritorno, però, immediatamente, senza altre divagazioni, al punto centrale di questo lavoro, tentando di rispondere ad un quesito: quali furono le ragioni di fondo per le quali il CLN affidò ai comunisti e più precisamente, come si è visto, all’operaio Andrea Aglietto, che durante il fascismo aveva sofferto carcere e confino, la guida dell’amministrazione comunale, all’indomani del 25 Aprile 1945.

A mio avviso i motivi di fondo furono due:

  • Il ruolo esercitato dai comunisti nel corso della lotta di Liberazione. Spero verrà scusato il metodo semplificatorio con cui questo argomento verrà affrontato nella sede presente; nella fase attuale è indubbio come l’argomento relativo alla Lotta di Liberazione 43-45 venga affrontato con un senso storico particolarmente articolato nelle sue espressioni analitiche e di giudizio, come nel caso della fondamentale opera pubblicata qualche anno fa da Claudio Pavone (“Saggio storico sulla moralità della Resistenza”). Ma in questo caso ed al riguardo degli obiettivi che l’analisi in oggetto intende perseguire, mi permetto di esprimere una valutazione particolarmente “tranchant”: i comunisti fornirono, a Savona come in altre parti d’Italia, un enorme contributo e soprattutto furono in grado, proprio attraverso il ruolo mantenuto nel corso della Resistenza, di sviluppare uno specifico dato di radicamento sociale;

  • La presenza nelle fabbriche. Questo secondo punto è direttamente collegato al primo, soprattutto allorquando si svolge una riflessione rispetto al ruolo avuto dai grandi scioperi operai del 43-44 al riguardo della fase conclusiva del secondo conflitto mondiale, ed al grande tributo di sofferenze direttamente pagato dai lavoratori scesi in lotta (un tributo concretizzatosi essenzialmente nelle massicce deportazioni verso i lager nazisti, soprattutto Mauthausen e i campi dipendenti di Gusen ed Ebersee. Ma fu essenzialmente per la continuità di presenza dei comunisti all’interno delle fabbriche, che costituivano gran parte del tessuto economico della Città e del suo hinterland, nel corso dell’intero ventennio fascista che il riconoscimento del PCIpartito della classe operaia” risultò indubitabile a guerra finita, in una dimensione sociale fortemente caratterizzata proprio da questo tipo di presenza sociale.

La giunta del CLN, che assegnò ai democristiani il ruolo di vice-sindaco nella persona del futuro senatore Franco Varaldo, venne dunque fortemente egemonizzata dalle forze di sinistra (se mi può essere concesso questo termine). Questo elemento, dell’egemonia delle sinistre, risultò del tutto definito allorquando si trattò di contare i voti della prima tornata elettorale amministrativa svoltasi nel Marzo 1946 (in precedenza alle elezioni per l’Assemblea Costituente ed al referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica del 2 Giugno 1946): l’alleanza PCI-PSI vinse largamente quella competizione ed Andrea Aglietto fu confermato sindaco, mentre suo vice diventava il già citato avvocato Luzzati.

E’ mia intenzione affermare un dato di sostanziale continuità fra l’operato della giunta del CLN e la prima giunta di sinistra: ma su quali basi di giudizio, circa la concreta operatività amministrativa dimostrata in quell’occasione, è possibile fondare questo tipo di affermazione? Le coordinate di fondo sulle quali poggiava l’intervento di governo della sinistra a Savona, in quel periodo, possono essere così individuate:

a) il problema della ricostruzione materiale della Città, duramente provata dagli innumerevoli bombardamenti aerei subiti nel corso del conflitto, che ne avevano distrutto parti consistenti dei rioni dei Cassari e dei Fraveghi nel centro storico; alla Fornaci, a Zinola, a Legino nella periferia. In questa opera di ricostruzione urbanistica l’amministrazione cittadina si dimostrò, in allora, particolarmente aperta alle nuove idee che circolavano favorendo energie giovani in campo architettonico, ma preoccupandosi di gettare perlomeno le basi, adatte per affrontare il serio problema della casa per i non abbienti;

b) L’apertura di spazi di democrazia. Il supporto fornito dall’amministrazione comunale alle possibilità concrete di espressione politico, sociale, culturale si accompagnò ad un periodo di grande vivacità in tutti i campi. Non ho qui a disposizione lo spazio sufficiente per illustrare i singoli elementi di quel tipo di attività ma, a questo proposito, basta affermare che si gettarono le basi per un futuro sul quale avrò più volte occasione di ritornare, nel corso di questo lavoro.

Questi due elementi furono portati avanti essenzialmente attraverso il tramite del consenso sociale e della forte operatività di massa che rappresentavano, allora, il patrimonio più prezioso del PCI savonese: l’altra componente storica della sinistra, il PSI, avviò una iniziativa rivolta soprattutto alle questioni legate allo sviluppo economico ed ai temi della ripresa dell’attività portuale. L’iniziativa del PSI risultò però resa difficile dagli esiti infausti della scissione di Palazzo Barberini: il passaggio dell’on.Pera, deputato all’Assemblea Costituente ed alla I legislatura scomparso prematuramente nel 1950, al PSLI rappresentò, ad esempio, un duro colpo alla capacità del PSI di determinare un proprio autonomo progetto nei settori appena citati. Appare quindi possibile affermare come, nella sostanza di un giudizio formulato a distanza di tanti anni,la guida politica effettiva della Città toccò in parte preponderante ai comunisti e che si avviò allora un confronto – scontro tra di essi e le forze economiche, che finì con il determinare gran parte della vita pubblica savonese per l’intero periodo seguente, attraverso la determinazione di alcune scelte ( o non scelte) collegate all’intervento pubblico in economia, sulle quali avrò occasione di ritornare.

Nel frattempo, proseguendo ad analizzare la realtà di crescita del predominio amministrativo e del radicamento sociale dei comunisti a Savona, può risultare utile esaminare il ruolo che importanti organismi di iniziativa sociale, economica e culturale hanno avuto nel corso del tempo, in una funzione di oggettivo supporto al maturare della situazione a cui si è appena accennato. Non si trattò, ad onor del vero, di vere e proprie “cinghie di trasmissione” in quanto la reciproca autonomia e l’interscambio effettivo tra questi soggetti ed il partito furono, in più occasioni, non soltanto sulla carta ma nella effettiva realtà dei fatti: ma è indubbio come l’ANPI, la CGIL, la compagnia portuale “P.Rebagliati”, il sistema delle società di mutuo soccorso (l’ARCI verrà dopo ed avrà, come sede di coordinamento dell’intervento culturale e del tempo libero una relativa influenza) ognuno per contro proprio ed attraverso specifiche assunzioni di “responsabilità sociale” che meriterebbero di essere analizzate ancora più approfonditamente, contribuirono fortemente a costruire l’identità di una Savonaoperaia”, fortemente impregnata di un concetto di “classe”, inteso in senso lato.

Voglio dire cioè, che in tempi di contrapposizioni “forti” (pensiamo alle elezioni del 1948 che in Città, contrariamente al dato nazionale, diedero la maggioranza al Fronte Democratico Popolare) la sinistra, segnatamente il PCI, si attrezzò con un bagaglio che le consentiva di andare oltre il mero recinto politico, ma di intervenire nell’insieme dei molteplici aspetti della vita quotidiana della gente ed, in particolare, di quei ceti che costituivano la sua base militante ed elettorale. Questo significò che, a Savona, il PCI fu in allora partito di massa, ben oltre l’attività, pur rigogliosa, delle sue molteplici cellule e sezioni.

Su queste basi la “sinistra di governo” di allora intervenne in due campi, fino a quel momento rimasti al di fuori della sua specifica competenza:

  1. L’intervento nelle questioni dello sviluppo economico. Risale a quell’epoca, infatti, l’avvio del movimento cooperativistico che realizzò subito importanti iniziative in molteplici campi: quello della distribuzione alimentare (che forse risultò il più direttamente visibile, con l’andare degli anni, da una vasta base sociale), della produzione industriale, dell’edilizia. Non è compito di questo lavoro tracciare, in alcun modo, linee di riferimento storico riguardanti la nascita e la crescita del movimento cooperativo a Savona: si tratta soltanto di valutare il peso che la nascita e la crescita di quello specifico movimento ebbero al riguardo della qualità di governo che la sinistra ha saputo esercitare nell’amministrazione comunale di Savona. Ebbene, a questo proposito, la valutazione non può non essere quella di cercare di definire una importanza decisiva rispetto ad un ruolo propositivo, al di là della mera protesta sociale e della -più complessa – “dimensione operaia”, che la sinistra riusciva ad esercitare sull’insieme della società savonese: mentre la Camera di Commercio si muoveva, sostanzialmente, quale feudo democristiano (e vedremo gli effetti di questa collocazione, allorquando esamineremo gli aspetti più salienti della crisi industriale degli anni’50) il movimento cooperativo svolse la funzione di dinamicizzare l’economia savonese, dimostrando una funzione positiva che si riflesse sull’insieme della collocazione sociale della sinistra sulla scena della Città;

  2. L’avvio di una politica dell’amministrazione nel campo dei servizi sociali. Ci si trovava, all’epoca, di fronte ad una situazione molto difficile da questo punto di vista: gli strascichi del conflitto mondiale avevano creato situazioni molto estese di indigenza, emarginazione, povertà. L’amministrazione di sinistra affrontò il problema attivando soprattutto due filoni: quello della “solidarietà operaia” e quello della democratizzazione dell’intervento nel sociale (risultavano allora molto attive le mutue interne di fabbrica, che svolsero in questo senso un ruolo essenziale) e quello dell’utilizzo, al meglio, dei compiti assegnati agli enti di assistenza dipendenti dal Comune (primo fra tutti l’E.C.A.; l’importanza del quale può essere segnalata scorrendo l’elenco dei presidenti: un incarico che venne affidato in primo luogo ad esponenti comunisti di diretta derivazione di fabbrica, fra i quali il futuro senatore Zucca ed il futuro assessore comunale Albisetti). L’intervento dell’amministrazione di sinistra nel campo dei servizi sociali risultò efficace al punto di allarmare quegli stessi settori cattolici che, fino a quel punto, ne avevano avuto l’egemonia attraverso l’opera dei loro enti assistenziali fondati sul volontariato, a quell’epoca prevalentemente religioso. La prova di questo allarme ed anche dell’esigenza dell’apertura di un confronto, emerge da un carteggio sviluppatosi a distanza (sulle colonne del “Letimbro”, organo della diocesi e sulle pagine savonesi dell’ “Unità”) tra il senatore democristiano Franco Varaldo e l’assessore comunale (deputato alla Costituente e, in seguito, senatrice della Repubblica) Angiola Minella: ma i tempi non erano ancora maturi per il dialogo tra comunisti e cattolici; al di là del tono formalmente corretto di quel confronto si può parlare, in allora, di una occasione perduta ma i protagonisti di quel tempo non potevano, oggettivamente, esserne consapevoli.

Tornando al ruolo di governo della sinistra rimane da rilevare che risultò meno efficace, invece, il lavoro, che pure venne tentato, in direzione delle aggregazioni giovanili: un ritardo che si perpetuerà nel tempo. Ho dedicato molto spazio ad analizzare le prime fasi (46-51) del governo di sinistra al Comune di Savona, al fine di poter puntualizzare alcuni elementi che si dimostreranno indispensabili anche al fine di comprendere la situazione creatasi negli anni successivi. Personalmente, del resto, rimango convinto della teoria delle “onde lunghe” e del percorso carsico che, molte volte, in politica ci si trova costretti a compiere.

Nella sostanza il bilancio di questo periodo può essere così sintetizzato: il PCI, che abbiamo visto assumere, per diverse ragioni, un ruolo largamente maggioritario all’interno dello schieramento della sinistra, risultava fortemente radicato quale soggetto di governo, avendo saputo innestare sui dati forniti dal ruolo giocato dai suoi militanti nella Resistenza e sulla presenza massiccia nelle fabbriche, che allora costituivano la gran parte del tessuto economico,alcuni elementi che ne avevano dimostrato non solo la capacità di proposta, ma anche l’efficacia nella realizzazione. Insomma: a Savona non soltanto non si “mangiavano i bambini”, ma i rappresentanti del proletariato industriale che sedevano alla guida del Municipio risultavano in grado di intervenire sulla struttura urbanistica, sull’economia, sulla solidarietà sociale che rappresentavano i punti sui quali l’esercizio di quella capacità di governo su cui ci siamo già soffermati aveva consentito di accumulare un consenso esteso e fortemente radicato. E’ possibile, allora, individuare un limite di fondo, rispetto a questo innegabile bilancio positivo?

Provo a definire questo limite, cercando di assicurare il non utilizzo di alcun “senno di poi”: ebbene, il problema che già in allora mi pare si potesse intravedere come il più importante, era quello rappresentato dal fatto che questo enorme sforzo di legittimazione, di radicamento, di iniziativa sulle condizioni materiali di vita della gente, fosse compiuto essenzialmente in funzione del “Partito”. Le ragioni del Partito (allora, non dimentichiamolo, dominato dalla “doppiezza” togliattiana) prevalevano, insomma, su quelle del complesso dell’amministrazione: la società civile (all’epoca molto più semplificata dell’attuale, nelle sue scansioni sociologiche) veniva schematicamente suddivisa tra la parte “simpatizzante” e quella “antipatizzante”, senza che ciò costituisse, ovviamente, il principio della costruzione di un qualche sistema clientelare, ma anche senza cogliere i fermenti che pure, alle soglie della civiltà dei consumi, erano notevoli e provenivano dai settori più diversi.

Il ruolo degli intellettuali, ad esempio, era considerato (dopo un primo periodo che ho già avuto occasione di segnalare) soltanto allorquando si poneva “organicamente” nei confronti della “centralità” del Partito: irrequietezze e dissensi (che poi esplosero con la crisi del ’56) non venivano tollerati, prova ne sia che proprio da Savona partì un pezzo consistente di una delle prime diaspore da “sinistra” del PCI (nel dopoguerra, beninteso: che il dissenso bordighista, e poi trosztkista erano stati affari delicati fin dagli anni’30) con la formazione di un gruppo denominato “leninista della sinistra comunista” che successivamente, attraverso un incontro con gruppi genovesi (di grande importanza un convegno a Pontedecimo, svoltosi nel 1951) e di altre città diede vita al movimento di “Lotta Comunista” tuttora attivo, e che continua ad avere una delle sue basi più importanti nella nostra Città.

Dalla “centralità del Partito” di cui era impregnata l’ottica politica dell’iniziativa del PCI ( a Savona con una qualche particolarità rispetto ad altre situazioni) derivarono altri due effetti, che dimostreranno in seguito, di particolare importanza: il PSI si ritirò sempre più nella logica elettoralistica, da cui deriverà una concezione utilitaristica della politica (abbandonando completamente il vecchio filone “fabiano”, che pure a Savona era stato presente con, ad, esempio, come figura di riferimento quella del medico dei poveri Ambrogio Aonzo): un concezione utilitaristica della politica che, poi, qualche anno dopo darà frutti avvelenati; mentre il PCI cominciò ad allargare il proprio apparato, poggiando l’insieme delle direzione del movimento (soprattutto in quegli organismi che mi permetto di definire collaterali, quali il sindacato ed il movimento cooperativo) sul funzionariato. Anche questo rappresenta un elemento a cui prestare grande attenzione, per gli sviluppi a cui porterà in futuro.

LA CRISI INDUSTRIALE DEGLI ANNI’50 ED IL “CASO GHELARDI”

Nella situazione appena descritta la sinistra al governo dell’amministrazione comunale di Savona si trovò ad affrontare la seconda fase della propria esistenza: una fase contraddistinta dal tumultuoso presentarsi del processo di riconversione che, a cavallo degli anni’50, mise in discussione la presenza, nella nostra Città, delle grandi concentrazioni industriali, soprattutto in campo siderurgico ed elettromeccanico. Naturalmente il problema risultava essere di dimensioni nazionali ed internazionali. Il tema della riconversione dell’industria bellica coincise, nel nostro paese, con quello della ricollocazione strategica dell’intervento pubblico in economia. Si trattò di un periodo di elevatissima conflittualità sociale, con frequenti scontri di piazza: la “celere” del ministro degli interni Mario Scelba assurse a simbolo della repressione operaia.

Savona, colpita in pieno da una forte recessione occupazionale concentrata negli stabilimenti ILVA ( messo in crisi dalla scelta di costruire il grande centro siderurgico “Oscar Sinigaglia” di Genova – Cornigliano; scelta avvenuta proprio nel quadro di quella ricollocazione complessiva dell’intervento pubblico in economia cui si accennava e che rappresentò il punto di forza dell’interventismo democristiano nella gestione dell’economia della ricostruzione) si trovò al centro di questo tipo di episodi, anche se a Savona non accaddero fatti di assoluta drammaticità quali quelli avvenuti a Modena nel gennaio del 1950, dove 5 operai delle Ferriere Orsi persero la vita uccisi dalla polizia. Lo scontro sulla riconversione industriale costituì, inoltre, il fattore decisivo (al di là delle occasioni di facciata, come quelle relative al dissenso circa gli scioperi politici proclamati dalla CGIL, come nell’occasione dell’attentato a Togliatti del luglio 1948) delle scissioni sindacali che si consumarono in questi anni, con la divisione della CGIL e la nascita di CISL e UIL.

Gli esiti di quella fase, sul piano generale, risultarono essere essenzialmente due:

a) il rafforzarsi dell’intervento dello Stato in alcuni settori strategici del comparto industriale, con l’allargamento del sistema a Partecipazione Statale strettamente collegato alla crescita di potere della corrente fanfaniana della DC;

b) la creazione della premesse di uno sviluppo dei settori che formeranno la base del cosiddetto “boom economico” poi giunto al suo culmine all’inizio degli anni’60: uno sviluppo conseguito assegnando ad alcuni grandi gruppi il predominio nella fabbricazione dei nuovi beni di consumo, auto (FIAT), elettrodomestici (Zanussi), motocicli (Piaggio). Per Savona la fase di riconversione dell’industria bellica e di riassestamento del sistema delle PPSS coincise, essenzialmente, con il ridimensionamento occupazionale avvenuto negli stabilimento siderurgici dell’ILVA che nel corso del conflitto erano arrivati ad occupare circa 5.000 operai,poi scesi a 3.000 nell’immediato dopoguerra nel corso del quale si era già accumulato un ritardo sul terreno tecnologico: l’occupazione all’ILVA si contrasse ulteriormente attorno al 1953, con una drastica flessione rivelatasi anche nell’indotto (Litto -Latta; Pali Bates, ecc.).

La scelta strategica compiuta dalle PPSS di costruire il grande centro siderurgico di Cornigliano, che abbiamo già ricordato,permise di dirottare in quella direzione almeno una parte di quegli operai che, con un brutto neologismo, erano definiti come “esuberi”, ma il colpo, anche sotto l’aspetto psicologico, fu grande: iniziò proprio a quel punto una trasformazione nella natura stessa della composizione sociale della Città che si rivelò, alla fine, irreversibile. L’Amministrazione Comunale di sinistra si schierò totalmente dalla parte degli operai, formando con il sindacato un blocco particolarmente coeso e puntando anche su di una certa qualità di proposta e su di una grande capacità di attivizzazione sociale, tale da coinvolgere larga parte della Città nella difesa dei posti di lavoro: molti ricorderanno come, nel corso dei grandi scioperi che contraddistinsero quel periodo, risultava spontanea l’adesione di commercianti ed artigiani.

L’amministrazione comunale di sinistra costituì inoltre il punto di riferimento per uno scontro politico ingaggiato con il governo ed i poteri economici, al riguardo del destino stesso della presenza industriale a Savona; da quello scontro non sortì l’esito sperato Perché non si determinò l’obiettivo della realizzazione di una nuova zona industriale che si fece, poi, a Pontedera nel momento in cui Gronchi (1955) fu eletto Presidente della Repubblica: insomma una scelta di chiara natura geo-politica. La DC fu accusata di aver boicottato l’idea di una nuova zona industriale (in ballo c’erano le aree di Corso Ricci, di Vado Ligure dove poi sorse, negli anni’70, un effimero stabilimento FIAT e di Albisola Superiore, che poi il PRIS avrebbe contrassegnato con la sigla I29, nelle quali periodicamente sorgeva la voce di un trasferimento ed ampliamento degli stabilimenti Magrini – Scarpa e Magnano di Via Fiume) proprio a causa di pressioni del tipo di quelle che, come abbiamo già citato, portarono alla fine a scelte diverse. Il fatto è che, al di là del corretto riferimento ad antiche polemiche, Savona risultò marginale nel contesto complessivo della ristrutturazione del sistema delle PPSS, rispetto a Genova.

In quella fase si rafforzò il concetto di “area centrale ligure” accettato dai dirigenti della sinistra, che dimostrarono così un dato di ritardo nel comprendere la prospettiva concreta dello sviluppo economico nella nostra Regione. Il radicamento della sinistra a Savona non soffrì, almeno apparentemente, di questi fatti e degli spostamenti di vario tipo che ne seguirono a livello di composizione del tessuto sociale. Purtuttavia va fatto notare come, proprio a quel punto, si innestarono i primi elementi di ritardo nella capacità delle forze di governo della Città nel comprendere i mutamenti tecnologici, sociali, economici che stava avanzando. La sinistra savonese riuscì vittoriosa nella competizione elettorale amministrativa del 1951, e fornì un notevole contributo a fermare la “legge truffa” in occasione delle elezioni politiche svoltesi il 7 Giugno del 1953. Nel frattempo venne deciso anche un mutamento al vertice dell’amministrazione comunale: all’eroe dell’antifascismo savonese Andrea Aglietto, successe nell’incarico di Sindaco il segretario della federazione del PCI, Amilcare Lunardelli, anch’esso di estrazione operaia e reduce di lunghi anni di galera e di confino durante il regime.

Un atto politico che portò sempre di più ad identificare l’amministrazione comunale con il “partito – guida”: un atto politico richiesto dai tempi che si stavano vivendo che deve, per l’appunto, essere collocato in un contesto di tipo storico, ma che non può non essere segnalato come estremamente indicativo per il futuro. Per intanto l’amministrazione comunale di Savona, che non era stata scossa, almeno in apparenza, dalle vicende particolarmente drammatiche quali quelle riguardanti la crisi occupazionale, si trovò ad incontrare serie difficoltà scontrandosi con problemi di squisita natura politica. Scoppiò, infatti, nella sinistra italiana ed internazionale quello che Pietro Ingrao avrebbe definito come “l‘indimenticabile’56”: la primavera d quell’anno fu caratterizzata dal XX congresso del PCUS, nel corso del quale Kruscev svolse la prima denuncia dei crimini staliniani, e l’autunno fu indelebilmente segnato dalla repressione della rivolta ungherese, da parte dei carri armanti sovietici. Ebbene, la tensione per i grandi problemi internazionali (ed il legame di PCI e PSI con l’URSS, che risultava in allora così forte da essere fattore politico determinante per la vita dei due partiti) era talmente alta, che quei fatti ebbero effetti dirompenti sugli equilibri interni alla sinistra italiana, coinvolgendo di conseguenza anche la situazione savonese.

Vediamo ciò che accadde:

a) nel PCI savonese si aprì un dibattito di dimensioni inusitate, al punto da determinare anche una serie di dimissioni dal Partito (che proseguiranno fino al 1958, in coincidenza con i processi celebrati a carico dei protagonisti della rivoluzione ungherese). Si determinarono, anche all’interno del Partito, una serie di espressioni critiche che pervennero fino all’VIII assise nazionale del PCI tenutasi a Novembre a Milano, in una graduale emarginazione della “vecchia guardia”;

b) nel PSI emersero, per la prima volta tensioni autonomistiche non riconducibili, almeno per quel che riguarda la situazione savonese, “a destra”; anzi si affermarono posizioni di grande vivacità intellettuale, ed esponenti del PSI si trovarono al centro di un dibattito politico particolarmente inteso e produttivo; a quel periodo va fatta risalire, infatti, l’apertura dell’attività del circolo culturale “P.Calamandrei” che costituì,almeno per un quindicennio, un vero e proprio punto di riferimento per la crescita, almeno a livello cittadino, di una nuova classe dirigente. I fatti del ’56 si riflessero in modo corposo sul consenso elettorale del PCI: la sinistra vinse le elezioni amministrative di quell’anno (svoltesi in Giugno), ma i comunisti calarono vistosamente alle elezioni politiche del 1958, in sede locale mentre a livello nazionale si constatò una sostanziale tenuta, mettendo in discussione lo stesso primato cittadino conteso dalla DC; i socialisti, dal canto loro, proprio alle elezioni del’58 rielessero un deputato locale, l’on.Aicardi. Questo insieme di elementi influirono sulla vita della amministrazione comunale, in una dimensione particolarmente corposa, al punto da mettere in discussione lo stesso sindaco Lunardelli.

La decisione di sostituire il Sindaco fu assunta dopo un aspro dibattito interno al partito comunista; vi intervenne la direzione nazionale e scese in Liguria lo stesso responsabile nazionale d’organizzazione Giorgio Amendola (che da poco tempo aveva sostituito, proprio in quel ruolo, Pietro Secchia, quale segnale di rinnovamento dell’intero partito), ma i “rinnovatori”, grazie anche all’autorevole intervento del “padre nobile” Andrea Aglietto, la spuntarono portando al ruolo di primo cittadino il prof. G.B. Urbani, uno dei principali protagonisti del dibattito a cui abbiamo già accennato schematicamente, ricordando lo svolgimento dell’VIII Congresso nazionale del PCI.

L’amministrazione diretta dal prof.Urbani vide però fin dall’inizio interrotto il tentativo di innovare la realtà del governo locale. Sul Comune di Savona si addensò, infatti, la nube burrascosa di un clamoroso scandalo: quello passato alla storia come “caso Ghelardi”. Riassumo brevemente l’episodio, per mero dovere di cronaca: Leandro Ghelardi, da circa 25 anni ragioniere capo del Comune di Savona, aveva sistematicamente tradito la fiducia delle diverse amministrazioni che si erano succedute alla guida della Città, intascando cifre enormi per quell’epoca (si arrivò a contare numeri superiori al miliardo di lire). Ghelardi era un personaggio chiacchierato, dal tenore di vita visibilmente superiore alle possibilità economiche di un normale funzionario pubblico, invischiato in un “giro” di strozzinaggio e di mercanti d’arte con pochi scrupoli. Lo scandalo fu scoperto nella tarda estate del ’58, proprio grazie al lavoro di controllo svolto dal sindaco Urbani e dall’assessore alle finanze Ivo Bavassano, preoccupati da una cronica carenza nella liquidità di cassa: la buona fede dell’amministrazione savonese fu dimostrata, tanto è vero che al processo la Tesoreria, allora tenuta dalla Banca Popolare di Novara, fu condannata a rifondere l’ammanco. Ma non si potè evitare l’apertura di un vero e proprio caso politico di vastissime dimensioni, tali da presentare addirittura implicanze di carattere nazionale: la minoranza del Consiglio Comunale scelse la tattica ostruzionistica, nella convinzione che nuove elezioni avrebbero portato ad un ribaltamento degli equilibri politici. Tale linea si rivelò pagante nell’immediato, perchè nell’estate del 1959 (nel frattempo il segretario della federazione del PCI, il genovese Angelo Carossino, aveva sostituto Urbani nell’incarico di Sindaco di Savona) si arrivò allo scioglimento del Consiglio Comunale di Savona e ad un lungo periodo di commissariamento. Non è compito, in questa sede, di fare la storia del “caso Ghelardi” che, all’interno di una eventuale storia della Città, nel XX secolo, dovrebbe meritare particolare attenzione. Ai fini che mi prefiggo attraverso questo lavoro, il fatto suggerisce una sola considerazione: nel “caso Ghelardi” emersero non semplicemente i prodromi, ma già corposi elementi di una certa qual sudditanza culturale e psicologica degli amministratori di sinistra, rispetto ai vertici del funzionariato comunale.

Si trattò di un fenomeno di una certa importanza poi proseguito nel tempo ( fino, almeno, al 1997-1998,allorquando l’emanazione delle leggi “Bassanini” mutò radicalmente il quadro di relazioni tra politica e amministrazione) avvenuto, prioritariamente, al riguardo dei settori tecnici e successivamente, anche per via di successivi mutamenti di determinati meccanismi legislativi, maggiormente rivolto al settore finanziario. Con il “caso Ghelardi” iniziò, nella sostanza, a dimostrarsi un rapporto politici – tecnici ( o presunti tali) non propriamente lineari, attraverso una divisione dei poteri e nelle assunzioni di responsabilità che avrebbe dovuto essere rivisto fin dalle origini, e che è stato causa, in seguito, di momenti non particolarmente brillanti nella realtà amministrativa del Comune di Savona.

Franco Astengo (prosegue con la seconda parte sul prossimo numero del blog)

L’amministrazione provinciale con il presidente ing. Mario Siccardi: l’8 ottbre 1971 composta dall’assessore anziano cav. Carlo Camino, assessore effettivo geom. Gianfranco Sangalli, assessore effettivo avv. Angelo Nari, dall’assessore effettivo dr. Adalberto Vallerga. Assessori supplenti:  cav. uff. Francesco Briozzo e perito industriale Guido Bonino.  Dal 9 ottobre al 14 novembre ’71, per la crisi tra i partiti di maggioranza e le dimissioni di Camino, quest’ultimo fu designato vice presidente e non riconfermato Bonino, mentre Sangalli retrocesse ad assessore supplente.

 


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F.Astengo

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