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Intervento di un magistrato: “Testimoni, nostro malgrado”


Per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, l’intervento di un ex savonese, il dr. Pasquale Profiti, presidente  dell’Associazione nazionale magistrati del Trentino Aldo Adige.
Abbiamo testimoniato, ma non vorremmo più farlo. E’ la risposta che mi sono sentito di dare in questi anni a chi ci chiedeva che cosa ha fatto la magistratura negli ultimi due decenni e cosa potrà fare in futuro al cospetto del degrado della legalità costituzionale programmato e talora attuato nel corso dell’ultimo ventennio e, soprattutto, a fronte di una constatazione: nulla è cambiato nella mentalità e cultura della legalità, nei dati dell’evasione e della corruzione, nei costi morali, più che giuridici, dell’illegalità.

Abbiamo testimoniato che il codice penale è in vigore per intero, che la legge penale non si divide tra le parti da applicare, vale a dire quelle che fanno ricevere gli encomi ed il plauso dei c.d. governanti e altre parti da trascurare, quelle che riguardano i pubblici ufficiali, i manager, i gestori del potere pubblico. Non importa se e quanto ciò abbia inciso di fatto nella costituzione materiale del nostro paese; non importa se la corruzione sia sempre alta, l’evasione fiscale ed i trucchi contabili all’ordine del giorno; non importa se le leggi del Parlamento abbiano depotenziato il contrasto a questi fenomeni. Per noi era doveroso testimoniare che la Costituzione è al di sopra di tutti e che per lo Stato di diritto vale quello che diceva Platone: quelli che chiamiamo governanti sono e dovrebbero essere chiamati “servitori delle leggi”.

Abbiamo testimoniato che l’azione penale è obbligatoria, che  il processo va celebrato anche quando talora pare una corsa ad ostacoli, quando si cambiano le regole del gioco a processo iniziato, quando la nostra azione coinvolge altre istituzioni che hanno tradito, quando i segreti e la ragion di Stato vorrebbero prevalere sui diritti umani, quando altre istituzioni pubbliche paiono un muro di gomma. Abbiamo percorso tenacemente fino all’ultimo centimetro la strada del processo per far prevalere i diritti contro i privilegi di status, la civiltà giuridica contro l’oscuramento delle verità.

Abbiamo testimoniato che il linguaggio giuridico ha una sua coerenza, una sua precisione, che non si può corrompere, non si vende al miglior offerente e che si declina, ogni giorno, in azioni concrete e non in frasi demagogiche. Quel linguaggio identifica l’eguaglianza con la protezione dei più deboli e non con le immunità di chi è già privilegiato; quel linguaggio sa che l’uomo cui spettano i diritti fondamentali non è solo quello che ha avuto la fortuna di nascere al di qua del Mediterraneo; sa che lavoro significa prestare per alcune ore le proprie energie fisiche e mentali e non rinunziare alle proprie idee per compiacere chi paga il salario; quel linguaggio non ignora che la salute è un diritto costituzionale che non scende a compromessi e pretende protezione a qualunque costo. E’ il linguaggio che si ostina a dire che la prescrizione del reato non è assoluzione dal reato e che le leggi sono fonti del diritto che pongono regole di comportamento generali  e non soluzioni per casi specifici o problemi personali.

Abbiamo testimoniato la nostra impossibilità di andare oltre la testimonianza, l’incapacità istituzionale di essere supplenti di alcuno, perché la magistratura dovrebbe intervenire a ricucire gli strappi della legalità, ma quando quegli strappi sono lacerazioni continue e vistose, quando la tela è irrimediabilmente compromessa, quando le regole con cui di fatto accettiamo di stare insieme contraddicono quelle scritte dalla Costituzione e dalle leggi, il nostro rammendo serve solo a dire che siamo presenti, che ci sarà la possibilità di ricomporre il tessuto se solo qualcuno smetterà di lacerarlo, se chi deve controllare prima di noi per evitare quello strappo lo farà senza porsi problemi di carriera e di stipendi. Solo se ciò avverrà potremo finalmente non essere più necessari protagonisti della legalità, il protagonismo di chi è lasciato da solo con l’ago in mano, a ricucire ciò che altri hanno irrimediabilmente strappato.

Abbiamo testimoniato che non siamo migliori degli altri, come singoli, solo perché indossiamo la toga. Anche tra di noi opportunismo, convenienze, protagonismi individuali non mancano quando si tratta del proprio status, della propria carriera, della propria visibilità. Siamo uomini e donne come gli altri, né migliori, né peggiori. Siamo una magistratura che può dire di aver fatto complessivamente il suo dovere nello svolgere il compito affidatoci per merito principale della Costituzione. E’ grazie ad essa che possiamo non temere il potente di turno che pretende di essere al di sopra delle legge; è in forza di quelle norme che le nostre decisioni non debbono essere popolari, ma giuste, vale a dire adottate secondo coscienza ed al massimo della nostra scienza; è in virtù della sapienza di quelle prescrizioni che possiamo affermare di aver contribuito, con le forze dell’ordine, a contrastare terrorismo, mafia e corruzione. Non è un nostro vanto affermare di aver svolto il nostro dovere, ma riconoscenza verso chi ha scritto le “parole costituzionali” sulla magistratura che mai, proprio mai, dovrebbero essere messe in discussioni e modificate.

Abbiamo testimoniato, ma non vorremmo più farlo, perché la legalità costituzionale non dovrebbe aver bisogno di testimoni, non dovrebbe riscontrare la sua esistenza con il sangue dei suoi martiri, non dovrebbe essere provata a mezzo testimoni in rivendicazione di ci crede contro chi tradisce. Siamo stati costretti a testimoniare quella legalità che dovrebbe essere visibile a tutti, che tutti dovrebbero respirare, che non dovrebbe essere un programma politico, ma un presupposto di chiunque vive la cosa pubblica come bene comune e non un bene da saccheggiare. Quel presupposto, se un giorno sarà realizzato anche nel nostro paese, porrà termine alla nostra testimonianza; sarà un bel giorno e noi saremo i primi ad esserne contenti.

Pasquale Profiti
Presidente ANM Trentino Altoadige

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