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A che punto è l’Alta Velocità ferroviaria nel mondo? 60 anni fa Olimpiadi di Tokyo e primo treno veloce. La disfida planetaria: ‘tutto su gomma’ americano, il ‘molto su ferro’ euro-asiatico


Correva l’anno 1964. A Tokyo si tenevano le Olimpiadi, proprio come quest’anno a Parigi.

di Massimo Ferrari

Debutto dello Shinkansen Tokyo – Osaka

Ma il Giappone, ormai uscito dalle immani rovine della Seconda Guerra Mondiale, si presentava al Mondo con una innovazione tecnologica del tutto inedita: il treno “pallottola” Shinkansen ed una linea integralmente nuova per collegare la capitale ad Osaka. Una scelta che in Occidente suscitò interesse – non troppo, perché il pianeta non era ancora fortemente interconnesso come oggi – ed una qualche perplessità. Ma come, i giapponesi puntavano ancora sulle ferrovie che altrove, e soprattutto negli Stati Uniti, allora potenza all’avanguardia, sembravano condannate al declino?

Ci vollero, infatti, quasi vent’anni, perché l’alta velocità su rotaia, facesse la sua comparsa in Europa. Nella Francia di Mitterand, con il TGV in grado di collegare in due ore Parigi a Lione e di frantumare, almeno su quella rotta, la supremazia dell’aereo. Oltralpe il patron della SNCF, Louis Armand, aveva preconizzato: “il treno sarà protagonista del XXI° secolo, sempre che riesca a sopravvivere al XX° ”. Ma anche lì il sogno della modernità era incarnato dal Concorde, l’aereo supersonico in grado di raggiungere New York più in fretta delle lancette regolate sul fuso orario.

Passano poi altri quattro lustri. Il Concorde, appesantito dai conti in rosso, conclude la sua parabola dopo un disastroso incidente in fase di decollo. Nel 2001, per la prima volta, vado a Pechino. Faccio un salto alla stazione che è ancora il terminale della Transiberiana e noto grandi cartelli che pubblicizzano la futuribile linea veloce per la Manciuria. Una velleità per un grande paese che si appresta ad uscire dal sottosviluppo, sovrappopolato, però, da quasi un miliardo e mezzo di abitanti? Eppure proprio quella formidabile densità abitativa, fatta da decine di megalopoli, costituirà il terreno fertile per lo sviluppo dei treni veloci, come dimostreranno i Giochi del 2008.

Da un’Olimpiade all’altra, siamo arrivati al 2024. Sono passati sessanta anni dal debutto dello Shinkansen Tokyo – Osaka.

E’ tempo di fare un bilancio sull’evoluzione dell’alta velocità. Il Giappone punta sempre sulle sue ferrovie che hanno trasformato l’arcipelago in una sola grande isola, grazie ad una serie di arditi ponti e di trafori sottomarini. Ormai ha perduto l’unicità che lo distingueva, imitato ora dalle contigue Taiwan, Sud Corea e dall’isola di Giava.

Ma il vero colosso dell’alta velocità è oggi costituito dalla Cina: il “gigante assopito”, come aveva previsto Napoleone, si è svegliato e sbalordisce il Mondo. Su circa 60 mila chilometri di linee veloci in esercizio, oltre due terzi (40.500 km per l’esattezza) sono cinesi.  La tratta più lunga si spinge fino ad Urumqi, nel remoto Sinkiang. Da Pechino  a Shenzhen, alle porte di Hong Kong 2.400 km a sud della capitale, circolano adesso anche frecce notturne dotate di comodi letti, che in 12 ore, incluse 8 fermate intermedie, consentono di arrivare riposati di prima mattina.

L’alta velocità si appresta ora a sbarcare in India – che da poco è diventata la nazione più popolasa –  dove troverà un altro formidabile mercato. Intanto è già arrivata nel Medio Oriente, terra finora alquanto refrattaria ai viaggi in treno, con le nuove linee aperte negli ultimi anni in Turchia ed in Arabia Saudita, cui farà seguito a breve l’Iran. In Russia, invece, i piani di sviluppo sono frenati, prima ancora che dalle distanze proibitive, dalle spese militari di Putin.

E in Europa, invece, cosa sta succedendo? La Francia ha sviluppato una rete di 2.735 km che consente ai TGV di irradiarsi da Parigi verso le maggiori città dell’Esagono. Ma i tagli al bilancio imposti da Macron per contenere il crescente disavanzo statale, ne hanno per ora impedito il completamento. E così, oltre i Pirenei, è la Spagna ad aver raggiunto il primato continentale: 4.000 chilometri di nuove linee, quasi tutte a scartamento internazionale, anche per sopperire alla altera diversità iberica, che aveva imposto nell’Ottocento binari più larghi per ragioni militari.

Proprio le nazioni alla guida della Rivoluzione Industriale sembrano adesso segnare il passo: la Germania conta 1.600 km di linee veloci, ma deve fare i conti con una certa obsolescenza delle infrastrutture, conseguenza di sotto investimenti, occultati per anni, che determinano frequenti ritardi cui i tedeschi non sono abituati. In Gran Bretagna, gli Eurostar che arrivano da Parigi e da Bruxelles col tunnel sotto la Manica, per ora non si spingono oltre Londra. L’Impero che fu la culla della ferrovia subisce l’umiliazione di essere surclassato dai cugini continentali. Come per i trofei calcistici, il primato in questo campo fatica a ritornare a casa.

Il nostro Paese, tutto sommato, fa la sua bella figura, grazie alla “metropolitana d’Italia” che si snoda da Torino a Salerno, inanellando le maggiori città della Penisola. Anche se la rete è lontana dall’essere completata. I lavori procedono (non troppo speditamente) da Milano verso Venezia e da Napoli verso Bari. Genova attende il completamento dei Terzo Valico sotto gli Appennini per essere collegata in tempi decorosi con le città padane e con la capitale. Il profondo Sud conta sulle promesse del Ministro delle Infrastrutture, ma la velocizzazione dell’itinerario calabrese, per non parlare delle incognite che gravano sul Ponte dello Stretto, sono lungi dall’essere appianate.

Soprattutto manca la dimensione internazionale dell’alta velocità europea, al di là degli ambiziosi Corridoi che dovrebbero estendersi attraverso l’intero continente, pensati soprattutto per il transito delle merci (tutt’altro che facili da riguadagnare alla rotaia), trascurando invece le relazioni passeggeri, anche su distanze relativamente brevi che sarebbero particolarmente favorevoli al treno, come Parigi – Torino – Milano o Milano – Genova – Nizza – Marsiglia.

A sessant’anni dal quel primo esordio nel Sol Levante, l’alta velocità ferroviaria ha conseguito evidenti successi ed ha trasformato le abitudini di viaggio di molti milioni di europei (oltre a grandi moltitudini di orientali). Ma la sua espansione è stata più lenta rispetto alla crescita del treno nell’Ottocento, quando la macchina a vapore non conosceva concorrenti nei viaggi terrestri. La presenza di una più o meno fitta rete autostradale e l’abitudine diffusa a servirsi dell’aereo ne limitano gli ambiti competitivi entro griglie comprese tra 150/200 e 800/1.000 km. Distanze che potrebbero anche crescere di molto se si affermassero i treni notturni di tipo cinese (i quali, però, presuppongono strategie continentali ancora piuttosto ostiche al liberismo dominante nella UE).

Inoltre, l’alta velocità ferroviaria è finora sostanzialmente un fenomeno euro – asiatico, con qualche limitata eccezione come il Marocco, che di fatto è quasi un’appendice europea e che tale diventerà a pieno titolo, se e quando verrà realizzato il tunnel sotto lo Stretto di Gibilterra, idea ora riproposta dalle monarchie di Rabat e di Madrid.

Nel resto dell’Africa ci sono progetti e qualche abbozzo di realizzazione soprattutto per iniziativa dei cinesi. Le potenzialità sarebbero enormi nel continente nero in cui si concentrerà la maggiore crescita di popolazione. Ma tutto si giocherà sull’espansione economica di cui si intravedono interessanti avvisaglie, tutte, però, in attesa di conferma. Al contrario, la ricca Australia resterà a lungo sotto popolata ed anche una linea veloce tra Melbourne e Sydney (meno di 1.000 km di distanza) non è detto che possa calamitare investimenti sufficienti.

I grandi assenti restano le Americhe. Non solo quella latina, dove pure esisterebbero ambiti propizi, come tra Rio de Janeiro e San Paolo, oltre a realizzazioni sorprendenti come il “Tren Maya” in Messico (che non è propriamente AV, ma costituisce pur sempre una realizzazione d’avanguardia).

Soprattutto a mancare sono gli Stati Uniti (ed il confinante Canada). La grande potenza che sessanta anni fa sembrava destinata a dominare incontrastata il Mondo ed imporre il suo “way of life” agli altri popoli. Mentre oggi cerca di esorcizzare una crisi sempre più evidente. Non a caso né la presidenza Trump, né quelle di Obama e Biden, pur promettendo importanti investimenti per riequilibrare i trasporti ora del tutto dipendenti dagli aeroporti e dalle highways, non hanno finora prodotto tangibili realizzazioni in ambito ferroviario passeggeri. E allora si profilano due modelli di sviluppo alternativi nel modo di viaggiare: il “tutto su gomma” americano ed il “molto su ferro” euro – asiatico. Chi prevarrà alla fine in questa nuova disfida planetaria?

Massimo Ferrari


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M. Ferrari

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