Trucioli

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Per una giustizia più societaria e mille società malefiche


L’era che stiamo vivendo è caratterizzata da una curiosa condizione rivoluzionaria, che altrove ho chiamato “Quadrivoluzione”, cioè compresenza attiva di quattro rivoluzioni: 1. La Globalizzazione; 2. l’Antropocene; 3. l’Ipermediatizzazione; 4. la Ginecoforia.

di Sergio Bevilacqua

Siamo abituati a considerare la parola Rivoluzione come costituita da fenomeni violenti, ad esempio la Rivoluzione francese, quella comunista o quella culturale cinese, che vedono l’ostilità umana esprimersi nello scontro tra aggregazioni umane che si contrappongono violentemente per i propri obiettivi, con lesioni fisiche degli individui in guerra tra loro. In subordine, le rivoluzioni sono anche quelle con caratteristiche meno appariscenti sul piano antropofisico (violenze) ma lo stesso molto vigorose come fattori di cambiamento delle società nei loro comportamenti relazionali delle varie dimensioni della vita civile, come, ad esempio, la Rivoluzione industriale o, più indietro nel tempo, la Rivoluzione scientifica o quelle religiose, come la Rivoluzione islamica o quella cristiana.

La quadrivoluzione attuale incorpora fattori delle prime e delle seconde, con una grande prevalenza in via direttissima delle seconde. Molti di noi sono portati a non riconoscere tali fenomeni come eventi rivoluzionari acuti, proprio perché non si vede scorrere tanto “sangue”, come a Parigi nel 1789 o a Mosca nel 1917. Ma l’effetto di cambiamento è straniante e molte fattispecie di reati con implicazioni fisicamente violente sono certamente attribuibili in extremis a tali rivolgimenti della società umana.

L’Antropocene in particolare, pur sempre collegato ad altre delle 4 rivoluzioni contemporanee di cui sopra, ha generato una condizione antropologica del tutto originale, mai esistita nell’umanità: la generazione della “Società di Grande Massa”, cosiddetta per la moltiplicazione della specie Homo sapiens in termini vertiginosi negli ultimi 70 anni (il passaggio cioè da una dimensione demografica totale di circa 2500 milioni di individui nel 1950 all’attuale di circa 8000 milioni di individui, che è stata chiamata “Società di Massa”), cui però si aggiungono almeno 5 volte, ma altre stime dicono 10 volte, cioè da 40 a 80 miliardi di piccole e grandi società umane (che insieme agli individui vanno a costituire la Grande Massa appunto).

I sociologi societari, gli organizzativisti e soprattutto i sociatri, sanno che le società umane sono soggetti concreti a tutti gli effetti: hanno una loro vita, loro obiettivi, loro strategie, loro caratteristiche capacità operative e decisionali, producono cultura e condizionano pesantemente la vita della specie umana sul pianeta e quella dei singoli individui biologici che la compongono. Sono cioè a loro volta “persone”, pur se in modo diverso da quelle individuali biologiche umane. Tale enorme crescita del numero delle società umane (queste “persone societarie”) costituisce un primo esito dirompente della Quadrivoluzione, dovuta soprattutto alla fusione tra la rivoluzione antropocenica con quella globalizzatrice e con quella ipermediale.

Quale impatto va quindi riconosciuto come rilevante per quel fondamentale processo di regolazione dei comportamenti entropici dell’umanità cui diamo un poco universalmente il nome di Legge o di Diritto?

Il fatto che sempre di più i comportamenti individuali sono immersi in un elemento organizzativo societario che li condiziona e li trasforma (da 5 a 10 volte la dimensione demografica), spesso con gradi insufficienti di consapevolezza da parte delle singole “persone individuali”. La cultura del Diritto è stata giustamente incentrata nei millenni passati sui comportamenti individuali. In realtà, malgrado i ritardi de iure condendo, nell’ordinamento italiano si fa spazio da pochi lustri una normativa per i reati societari, cioè, indotti e generati all’interno della persona societaria. Tra questi, ad esempio, molta associazione a delinquere, oppure la responsabilità penale degli enti, stigmatizzata in Italia dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, e dalla legge 16 marzo 2006, n. 146. Per “ente” s’intende qui in sostanza proprio la persona societaria, cioè persone giuridiche di diritto privato riconosciute (fondazioni, associazioni), società di persone, anche di fatto; società di capitali nessuna esclusa (aziende economiche), associazioni non riconosciute, enti pubblici economici.

È il superamento del celebre brocardo latino Societas delinquere non potest, principio alla base di tutta l’impostazione millenaria del concetto di responsabilità (latino, giustinianeo, napoleonico e beccariano) come esclusivamente personale individuale e non personale societario. Con il superamento attuato dal d. lgs. 231/2001 e L. 146/2006, in Italia vengono colpite le società umane nei loro interessi di vita e sopravvivenza, attraverso elementi economico-finanziari e facoltà di funzionamento prettamente societari, con effetti quindi soprattutto sui ruoli organizzativi degli individui, anziché colpire soprattutto questi ultimi.

In effetti, la legge prende atto di questo spostamento della regolazione dei comportamenti civili (e penali) dal campo individuale a quello societario. Ma il passaggio, già attuato dagli ordinamenti dei principali Paesi europei e occidentali in decenni precedenti, prende atto soprattutto dei reati economici e amministrativi, propri di una complessiva società umana come quella del dopoguerra, la cosiddetta “società dell’organizzazione” (R. Presthus). È, cioè, nelle caratteristiche organizzative soprattutto di aziende economiche ed enti che si va a cercare la malefatta, connessa a fattori d’interesse materiale prevalentemente economico-finanziario.

La fase attuale sul piano sociologico societario è invece molto più radicale: il numero delle società umane e cresciuto di 2 ordini di grandezza, da un decimo della popolazione umana a dieci volte la popolazione umana già moltiplicata a sua volta (possiamo azzardare da qualche centinaio di milioni a diverse decine di miliardi) e moltissime di queste società sono senza diretta finalizzazione economica o amministrativa; sono cioè in gran parte strutture che veicolano elementi antropologico-culturali come miti, riti, stili di vita, codici comportamentali e potere. L’individuo, quindi, non dedica più soltanto molta parte del suo tempo di veglia a partecipare alla vita di società per motivi di lavoro, ma è letteralmente avvolto in flussi di significanti gestiti da società articolati su ogni piano della sua vita, e così di essa si trova ad avere estrema difficoltà a conservare il prezioso filo di Arianna.

Fenomeni come il bullismo, le baby-gang, la prostituzione online, i milioni di chat-line che apportano contenuti non verificabili dai più, sono l’enorme tempesta semiologica dovuta alla rivoluzione ipermediale che travolge le persone individuali trascinandole in dimensioni societarie semiologiche (altrimenti dette virtuali, anche se sono terribilmente concrete e reali) nelle quali il singolo medio si trova ad essere come un guscio di noce nel mare in tempesta. Lì tutto si confonde, e anche i criteri di giusto e sbagliato, di nord e sud, soccombono nella navigazione di fronte al bombardamento di segni e valori online, cui solo una profonda preparazione, non proponibile per le masse, può forse costituire timone sufficiente. Non è casuale né individuale quel pericolo, e nemmeno la correlata opportunità: sono società umane che gestiscono tutto questo, rispetto a cui il singolo è impotente e spaesato.

Nel bel mezzo della quadrivoluzione non possiamo pretendere di avere dunque gli strumenti per evitare questa nuova forma di patologia sociale anche violenta, di disagio e di grave perturbazione dei comportamenti: e la cosa ancor più grave è che non è solo agendo repressivamente sui singoli che possiamo migliorare la situazione.

Il più facile appello è infatti quello di una formazione delle forze dell’ordine al riconoscimento e repressione degli effetti criminali di questo sistema. Ma così come è evidente anche la esigenza di cura degli effetti nocivi a livello personale individuale (una specifica e specializzata psichiatria), occorre urgentemente la formazione di un grande numero professionalità sociatriche, cioè cliniche delle società umane, per evitare il più possibile in termini preventivi che i singoli cadano nella trappola della rete dell’adesione a società malefiche o a loro prodotti (ad esempio le truffe) con tutti i loro nefasti effetti.

È vero che ciascuno si salva da solo, e che quindi i valori e la sua autocoscienza sono fatti importantissimi, ma il rischio societario è oggi massimo e nessun individuo normale può essere sicuro di farcela da solo di fronte alle mille società malefiche con cui rischia di dividere tratte significative della sua esistenza.

Occorre quindi affrontare con decisione il percorso sociatrico sia in termini clinici preventivi che specializzando ed estendendo quanto avviato dalle leggi suddette, per una revisione profonda della giurisprudenza societaria. Anche quella sarà, speriamo, una grande rivoluzione.

Sergio Bevilacqua


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