Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La Repubblica Italiana che è e che nessuno vi ha mai detto


Aver studiato clinicamente i fatti della comunità socio-economica e culturale italiana (circa 1000 interventi di cui 500 documentati) fornisce delle risposte su temi fondamentali, diverse dall’opinionismo e dalla teoria apprenditiccia.

di Sergio Bevilacqua

Ad esempio, sul tema dell’interpretazione delle prime sei parole che all’art. 1 della nostra Costituzione fissano il patto societario nazionale: “L’Italia è una Repubblica democratica (…)”. Sei parole, articoli inclusi, che diventano 4: “Italia è Repubblica democratica”, o forse 3 “Italia Repubblica democratica”.

Faccio notare alcune cose su queste 3 meravigliose parole:

  1. Italia: che sia una meraviglia lo sa tutta l’umanità. Se chiedete oggi a un ragazzino di Shanghai tre nomi di città, vi risponderà: Shanghai, forse Pekino e poi vi dirà Venezia (in Cina l’istruzione elementare funziona ancora). Anche la Cina si considera una Repubblica democratica (a modo suo, non riconducibile al nostro).
  2. Repubblica: è scritto in maiuscolo, come Italia. Cioè, ha valore assoluto non confondibile. La Repubblica è proprietà di tutti i cittadini italiani (res, cosa proprio, in latino, publica, pubblica appunto) e detiene risorse economiche e patrimoniali che sono appunto proprietà di tutti i cittadini italiani.
  3. democratica: è scritto in minuscolo, ma è la vera terza parola del nostro patto societario del 1947 in quanto italiani, ed è aggettivo, attributo “matrimoniale” di Repubblica e Italiana.

Bene, allora fin qui lo sapevano tutti (o quasi). Quello che invece non vi hanno mai raccontato, cari cittadini italiani, è che il più grande patrimonio Vostro, sta nei beni della Repubblica italiana, che sono gestiti e amministrati dallo Stato Italiano. A bilancio dello Stato appunto, lasciatemi arrotondare, ma la cifra è quella iscritta appunto nell’atto fondamentale delle economie pubbliche che è appunto il bilancio, si tratta di 2000 (duemila) miliardi di Euro. Tale cifra è determinata con complessi calcoli che vi risparmio, ma non ve ne risparmio la ratio: potrebbero essere 2000 come 6000, e ciò dipende, come per qualsiasi bene patrimoniale, da quanto sono utili quei beni in senso economico. E possiamo dire che se uno Stato “perde” anziché guadagnare, il suo patrimonio ne esce svalutato. Lo sapete anche voi, credo tutti: se avete bisogno di vendere o valutate il vostro bene in relazione al vostro reddito, se siete in bolletta i potenziali clienti ci provano a darvi meno, o no? Ecco: uno Stato che ha a oggi circa 2780 miliardi di debiti, secondo voi è sereno a mettere a bilancio valori alti? No. Posso garantire che questi valori sono bassi. Lo stato italiano non ha patrimonio per 2000 miliardi, ne ha per 4000 almeno.

Ma siamo ligi, e facciamo i conti su 2000 (anche se sappiamo che sono di sicuro almeno 4000). In Italia siamo 60 milioni di cittadini. Lasciatemi arrotondare, 20 milioni di aggregazioni familiari, intese in un modo o nell’altro. Bene, ciascuna di queste aggregazioni, diciamo “famiglie” per semplicità, detiene un patrimonio nello Stato Italiano, pari a 100.000 euro, dovuto alla semplice divisione di 2000 miliardi per 20 milioni di “famiglie”. Cumulativamente e come media è il più grande patrimonio che ha il popolo dei cittadini italiani.

Ma ha debiti lo Stato per circa 2800 miliardi… Mi scusino i Cottarelli di turno, faccio sociologia e non amministrazione condominiale: lo Stato è anche la principale espressione di quel grande condominio che è la Repubblica. La metà circa (1400 miliardi) di quel debito è in mano agli italiani in varie forme, gli stessi italiani che possiedono anche lo Stato debitore: costoro non lo manderebbero mai in fallimento perché, richiedendoli indietro, perderebbero forse il patrimonio dei 100000 euro a “famiglia”. I restanti 1400 sono invece in mano di altri, che col tesoretto dei 100000 non c’entrano… e che di acquistare i beni della Repubblica Italiana in asta fallimentare non vedono l’ora.

Cari Cittadini Italiani, caro Sergio Bevilacqua, sapevate di avere 100000 euro certi nel vostro Stato? Ve l’aveva mai detto nessuno? Bene, sappiatelo! (E sappiate anche che potrebbero già essere 200000 o forse anche 300000 o 400000 se l’economia andasse bene davvero…). Tenete conto che finora abbiamo parlato solo di Patrimonio, non di valore dei servizi che lo Stato fornisce ai cittadini, e voglio sperare che il vostro pensiero non vada alle sole, a volte giustificate, critiche al funzionamento mediocre o peggio di certi servizi dello Stato Italiano, che ne fornìsce in realtà anche molti altri che funzionano.

Ciò detto (e buona Festa della Repubblica appena trascorsa!), è probabile che in Italia si debba fare un completo reset, una completa revisione, del rapporto tra Popolo e Stato. E ci sono di mezzo proprio tecnicamente i Partiti.

Entità necessaria per la democrazia, i Partiti, non per semplice condizione di esistenza ma perché il loro corretto funzionamento è alla base della nostra democrazia. Se son troppo forti sappiamo che si rischia di cadere nella partitocrazia, se son scorretti si rischia la cleptocrazia (come già è stato, il potere dei ladri delle risorse pubbliche), se son troppo deboli si rischia il danneggiamento del sistema democratico che fa fallire (nella doppia accezione morale e finanziaria) la Repubblica, affossandone lo Stato.

Prima di qualsiasi riforma istituzionale, prima di qualsiasi cantar vittoria, perché non sia il canto del cigno, occorre rigenerare la relazione che lega i tre soggetti Popolo, Partito e Stato, ricondurla a un solido processo integrato, che si è quasi perso nel corso degli ultimi 3 decenni, e che anche prima era afflitto da gravissime patologie istituzionali, sociali e morali.

Vediamo la terna e i suoi problemi:

  1. Popolo – Partiti: avete mai pensato di potere dialogare con il vostro deputato di collegio, appartenente al Partito che avete votato e che da quest’ultimo è stato scelto per rappresentarvi, senza chiedere a uno o all’altro come ottenere il piacere del suo ascolto? Bene, nelle democrazie vere questo non accade: tutti i cittadini possono recarsi dal loro deputato di collegio, porte aperte. Il deputato di collegio, poi, sa benissimo (e ve lo dice) di non essere la fonte della risoluzione dell’eventuale problema: i processi dello Stato sono un milione circa, e nessun professionista esperto, o politico, è in grado di essere da solo fonte delle risposte; ma un partito sì. E più un Partito è organizzato, più riesce a svolgere questa importante funzione di servizio. Inoltre, quel dialogo diviene anche “polso della comunità”, perché i disagi risalgano verso le opportune sedi istituzionali, e si incanalino dunque per le vie di una risoluzione civile anziché, come ai primordi, per le strade e nelle piazze.
  2. Popolo – Stato: ed ecco che lo Stato diverrebbe vicino, perché la rappresentanza del Popolo da parte dei Partiti funzionerebbe, i nodi dei malfunzionamenti verrebbero sollevati con puntualità e concretezza e troverebbero con puntualità, non matematica ma organicamente, i loro punti di proposta e risoluzione; i politicanti sarebbero meno arroganti e produrrebbero le risposte pragmatiche che la democrazia vera richiede, in onore alla proprietà concreta della Repubblica da parte del Popolo.
  3. Partiti – Stato: andare a governare per prendersi lo Stato, non per farlo rendere al meglio e in trasparenza per i suoi proprietari veri, i cittadini italiani, è una deformazione storica della politica italiana. I nostri rappresentanti dovrebbero stare a disposizione degli elettori del collegio per 3 giorni alla settimana, anziché a fare la bella vita a Roma: son sociologo, uomo di mondo e cittadino romano dal 1997, e so benissimo chi si vede nei locali notturni della capitale e nei salotti d’un tipo e… dell’altro! E appena là, anziché aprire lo Stato agli elettori che conferiscono il credito di rappresentanza, si impresuntuosiscono immediatamente e via, di corsa a chiudere le porte del potere. Le chiudono alla democrazia.

È evidente che così com’è oggi il sistema democratico in Italia non va. Troppi bastoni sono stati messi tra le ruote del corretto funzionamento socio-istituzionale, e la qualità dell’organismo democratico italiano ne ha sofferto moltissimo, anche al costo di una sudditanza verso l’Estero: infatti, quando un Paese si presenta nell’agone Economico (oggi globale), tutto è utile per la sua difesa e crescita. Il fatto che una struttura di poche centinaia di parlamentari (dei quali l’80 % di cosiddetti “peones”, cioè voti-e-basta, esseri praticamente senza cervello politico, solo portatori di consenso inconsapevole) chiuda dietro di sé le porte dello Stato di una Repubblica supposta democratica, aumenta moltissimo i rischi di attenzioni leonine di grandi gruppi globali o di Paesi più forti. Se la forza popolare fosse inclusa anziché esclusa e la cinghia di trasmissione Popolo-Partiti-Stato funzionasse, la forza contrattuale dei Governi italiani sarebbe molto più elevata e così più difficile sarebbe la manipolazione opportunistica esterna.

La democrazia in Italia è statica, e non dinamica come dovrebbe essere, a causa dei malfunzionamenti dei partiti e ciò tanto disappunto porta ai cittadini consapevoli: una macchina può stare ferma, un organismo invece si muove sempre in un modo o nell’altro, e una democrazia è un organismo, e anche parecchio delicato. Causa il disamore per quella che sembra (ma non è…) democrazia, ecco l’astensionismo: in Italia esso è anche l’espressione della condizione astuta del pizzicagnolo (Franza o Spagna purché se magna…).

Vediamo un tema che concerne la funzione fondamentale in economia di mercato de “l’imprenditore”: senza poter contare seriamente sui Partiti, si lasciano scoperte le funzioni più attive del privato, il quale rinuncia a fare affidamento sulla Repubblica e sulla democrazia. Le mature forze imprenditoriali, quelle capaci di dialogare con gli Stati e di mantenere un collante operativo dentro il Paese, abbandonano psicologicamente lo Stato Italiano, si rifugiano in un privato che rinuncia alla Repubblica e si muovono da soli, pur ovviamente nella condizione tecnica della globalizzazione oggi. Faranno ciò che possono, e ovviamente molto meno di quegli stessi privati che hanno alle spalle un organismo pubblico democratico e dialogico, come hanno gli imprenditori in Francia, Germania, Europa e resto dell’Occidente.

E buona Festa della Repubblica Italiana a tutti: a parte i problemi, sono certo che molti di voi non sapevano di avere almeno altri 100000 euro. Non ve li regala Segio Bevilacqua, sono la vostra parte di Repubblica Italiana (Uffizi, Dolomiti, Porto di Genova o di Gioia Tauro, infrastrutture autostradali e aeroportuali, Colosseo ecc. ecc.)…

Ma forse Sergio merita… un caffè? Buona giornata a tutti!

Sergio Bevilacqua

 


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Sergio Bevilacqua

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