Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La denuncia del prete: Vescovo di Genova e vicari ‘fuorilegge’


Genova. Diocesi, Vescovo e Vicari ‘fuorilegge’. In data 09-05- 2023 spedii la Newsletter N. 125/9 a tutto il clero diocesano e religioso impegnato in pastorale diocesana dal titolo bizzarro «Una Diocesi Capricciosa. Note sul Consiglio Presbiterale di Genova». Il testo, con alcune aggiunte, fu inviato al Vescovo, ai Vicari e a Roma ai Dicasteri dei Vescovi e del Clero, come atto formale di mia denuncia.


di Paolo Farinella, prete

Oggi non userei più laggettivo «capricciosa», che mi pare troppo laudativo, ma parlerei di «Diocesi, Vescovo e Vicari FUORILEGGE», aggiungendo che si comportano da miscredenti e atei. Essi, infatti, in solido, hanno convenuto di non considerare il mio «appellarmi a Roma», non sospendere le votazioni, come la legge impone, e non restare in attesa del «responsum» di Roma.

Anche il pagano procuratore Festo, di fronte a Paolo che si «appella a Cesare», fu rispettoso del diritto: «Caesarem appellasti, ad Caesarem ibis» (At 251112). Dopo 2 mila e 23 anni dalla morte inutile di Gesù, a Genova lanarchia regna sovrana e il Vescovo, Maestro e Testimone (come dovrebbe  essere!!!), fa scempio della legalità, perdendo la propria credibilità e anche lonorabilità, dimostrando solo di essere
un Vescovo che non crede se non nella violenza del proprio autoritarismo. Io non demordo, e alla fine «troverò un giudice in Danimarca», dovessi buttare giù dal letto papa Francesco e tutta Santa Marta, compresa la sorella Maria e il defunto Lazzaro. La questione non è personale, è in gioco la mia, la loro e la vostra fede di preti.

Impunemente, in modo strafottente e blasfemo, Vescovo e Vicari hanno deciso di infischiarsene del CJC e di procedere con il 2° turno delle elezioni del Consiglio presbiterale con lo stesso metodo del 1°, commettendo altri illeciti e perseverando nellillegalità, rendendo, di conseguenza, invalide anche le elezioni del 2° turno, come fecero con 1°. Ormai non cè più dubbio che la diocesi è retta da una banda di ignoranti o presuntuosi ignoranti.

Qualcuno mi dice di non scrivere «troppo» ai preti «che non leggono molto». Mi verrebbe da dire: peggio per loro! Invece, dico ai preti, a ciascuno e a tutti: noi siamo i custodi della Parola, anzi «i ministri specialisti della Parola»; dopo averla mangiata e digerita, come dice Ezechiele profeta (cap. 23), la dobbiamo coniugare «con le parole» nostre. Se diciamo di credere in Dio, non gli dobbiamo, forse, renderemo conto del buon uso che abbiamo fatto della Parola che mangiamo ogni giorno come Pane?

La «Parola carne fu fatta» (Gv 1,14), dove carne non è la ciccia, ma la fragilità di Dio che si affida alla friabilità delle nostre parole. Quando andiamo allaltare o saliamo il pulpito noi esercitiamo il ministero della profezia della Parola e nessuno può farci paura e nessuno dobbiamo temere, perché a noi fu affidata al Parola di salvezza.
Qualcuno, forse, pensa che tutto si esaurisce in una predica o nel rito? Viviamo una tragedia, quella che il teologo Uns von Balthasar definisce già nel titolo del suo «opus magnum»: «TeoDrammatica» (v. vol. 3). Secondo Marco 1,1 la Parola è il Vangelo e questi non è un codice, né una filosofia, né una morale, un galateo, tutta robetta che non serve, se si ama senza misura: «Principio del Vangelo, cioè Gesù, cioè Cristo, cioè Figlio di Dio». Pensare che il Vangelo sia la Persona di Gesù, a me viene da tremare, non so a voi.

Il Vescovo è responsabile di noi preti. Infatti, nessuno lo vede né lo sente. Gli ho scritto decine e decine di lettere, non mi ha mai risposto, nemmeno per sbaglio. Ho scritto ai singoli vicari e a tutti in gruppo, ma nessuno di loro si è mai degnato di venirmi a cercare e chiedere spiegazioni o pretendere ragioni. Per essere libero di andarsene a spasso per ameni campi fioriti di rossi papaveri o in trasferte vicariali, il Vescovo nominò un «vicario per il clero» (?! sic!!!), con grande scandalo dei preti, ma a quanto si sappia, nessuno lo ha visto, smarrito nel deserto della diocesi.
Né si vede il vescovo né si vede il vicario. Forse, occorrerà organizzare una ricerca, ritrovarli e riportarli allovile.
Se tutto ciò è vero, anche noi preti dobbiamo fare un esame di coscienza duro e spietato e domandarci: quale responsabilità abbiamo noi? Ci siamo mai occupati del Vescovo per aiutarlo a salvare lanima sua e nostra? Lo abbiamo lasciato solo e abbiamo permesso che si scegliesse da sé, forse, i vicari meno adatti, con criteri di scelta certamente sballati. Glielho abbiamo detto? Sono certo che anche noi siamo responsabili del Vescovo e la nostra responsabilità è più grande della sua: lui deve custodire il nostro presbiterato, noi avremmo dovuto custodire e proteggere il suo episcopato che è sacramento più grande ancora, anche della persona che lo porta.
Al punto in cui siamo arrivati, Vescovo e vicari sono sistematicamente esempi negativi per il clero perché istigano a disattendere la Legge della Chiesa. Riconosco in essi lautorità, anche se è mal posta, ma non riconosco a essi alcuna dignità e rispetto che devono guadagnarsi non solo con lesempio, ma con la fatica di essere i sarti pazienti del ricamo e del cucito, del rilegare e rammendare, senza mai stancarsi. Io posso arrabbiarmi, imprecare, bestemmiare, urlare e pretendere, ma il Vescovo no, lui ha il sacramento del servizio, che lo abilita a lavare i piedi tre volte al giorno (tra laltro a me farebbe comodo, perché con i piedi diabetici, avere un vescovo che te li lava ogni sera e te limpomata sarebbe una manna e una goduria dellaltro mondo, ma pazienza!).

Non serve la finzione della sceneggiata del Giovedì Santo, quando si lavano piedi lavati; i piedi devono essere sporchi di vita e sudati di strada. Il Vescovo e quelli che lui ha nominato mi possono imporre con decreto solo ciò che la legge gli consente e io ubbidirò ciecamente, ma non possono pretendere che io taccia di fronte al mattatoio dei Sacramenti, dellAutorità, della caotica gestione amministrativa e del ridicolo in cui hanno piombato la Chiesa di Genova. Non lo meritiamo, come non meritiamo impiegati mitrati e pittati di rosso che ce la mettono tutta per dimostrare di non credere in Dio e ci riesconomolto bene.

2 – In qualche modo, dobbiamo riparare. Già negli anni 70 del secolo scorso, il card. Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, mi diceva: «quando non funziona la paternità, fate funzionare la fraternità». Dare la colpa al Vescovo soltanto, significa scaricare le proprie responsabilità. Forse, i preti si scandalizzano di me, dicendo «ogni ben di Dio» perché non sparlo mai dietro le spalle, ma grido sempre apertamente, non agisco nel buio o nel parlicchiare e, credetemi, non è coraggio, ma solo rispetto per il sacramento affidatomi che esige coerenza, dignità, maturità umana, premessa per quella evangelica. Io non ho coraggio, ma non temo i quaquaraquà «homines quidam», in forza del principio evangelico «sì, sì; no, no».
Nota estemporanea. Colgo loccasione per dire a quel sedicente che si scarabocchia «parroco vigilante» che scrive lettere anonime, coprendosi di ridicolo dietro un gruppo inesistente, di non importunarmi più con le sue lettere anonime spedite per poste, anche da Torino. Risparmi il francobollo. Non leggo lettere anonime e ogni volta strappo e cestino, senza leggere.
Nessun cristiano ha il diritto di scrivere lettere anonime. Nessuno! Chi lo fa, ha scelto il mondo per cui Cristo non ha pregato e non può pretendere attenzione. Esca allo scoperto, scriva quello che vuole, ma finché resta anonimo, è un poco di buono, un ignobile e un depravato. Non ho nulla da spartire con codeste scorie di quaternaria «ruminatio». La prossima volta espordenuncia formale e chiederò una indagine accurata per stalking postale, non consenziente.

Per me le cose stanno così: o il Vescovo ha ragione e io torto marcio o lui ha torto marcio e io ragione da vendere. Non si scappa da queste due corna della questione. Temendo di avere torto marcio, ho atteso giorno e notte sperando di vedere il Vescovo venire in ginocchio in pellegrinaggio con i ceci (crudi) sotto le ginocchia a cercarmi per salvarmi; se non lo fa egli è un apostata perché rinnega il sacramento dellepìscopos (controllore/guardiano) e va allinferno anche col vestito da frate. Sto facendo di tutto per smuoverlo dalla sua ignavia, gli suono il flauto e lui non balla, gli canto il lamento e lui non piange, ma va di continuo in trasferta con i suoi vicari a fare piani sulla
sinodalità, mentre alimenta la propria lussuria di potere con cui ingrassa il suo «ego narcisista» e alimenta quello dei suoi collaboratori. Noi preti zitti, zitti, quacchi, quacchi, quasi godiamo della disfatta. La domanda teologica è: perché Dio ci sta castigando così? Cosa dobbiamo cambiare nella nostra vita?

Il Vescovo non mi lascia altra scelta che ricorrere ancora a Roma. Ancora una volta «Romam appello. Ad Romam ibo», fino a quando non prenderanno una decisione che può essere solo una di queste: fucilarmi in piazza De Ferrari col sedere a bagno nella vasca; spretarmi con violenza, ma devono trovare un motivo di eresia o di disciplina in materia grave (non mi accontento di briciole, perché voglio una condanna in piena regola da Inquisizione seria) e mi devono scorticare a vivo come san Bartolomeo; oppure il vescovo simpicca da solo col suo cordone di ordinanza a monito dei futuri vescovi giocolieri. Dopo la mia 2a denuncia/esposto, scrissi anche una ulteriore denuncia
documentatissima che spedii anche all«Ufficio Nazionale per i Problemi Giuridici della Conferenza Episcopale Italiana», chiedendo pure alla Cei di dichiarare nulle le elezioni del 1° turno del Consiglio presbiterale di Genova.

Il 29052023 assistetti come battezzato e prete allo spoglio irrituale della votazione del 1° turno che si svolse in Cancelleria e di cui parlerò subito di seguito, mettendone, a rigore stretto di legge, in rilievo linvalidità. Mi dispiace constatare che il Cancelliere, Mons. Michele De Santis, che stimo come persona, nella sua veste giuridica di garante del diritto diocesano non abbia avuto la forza di opporsi allo scempio di illegalità o quantomeno di dissociarsi da un modo di agire totalmente «contra legem», anzi «contra leges», perché vedo attorno solo un cimitero di leggi.
Immagino la sua sofferenza, ma vi sono momenti in cui lascetica personale non conta nulla di fronte alla violenza sulla Chiesa madre da parte di vecchioni che dovrebbero proteggerla e tutelarla e non insediarla.

Il 2° turno delle votazioni, come è stato annunciato, prosegue il percorso di invalidità del 1° turno, con una particolarità: l’indizione non è stata fatta dal Vicario generale, scomparso dal radar, ma dal Cancelliere. Come mai? Uno scarica barile? Se fosse così, sarebbe grave e se dalla curia non viene alcuna spiegazione, per forza maggiore si alimentano le dicerie, le supposizioni e gli scenari più osceni. Ci vuole uno sforzo così pesante a dire ogni volta, in modo semplice, come stanno le cose e che cosa s’intende fare? Ecco, parafrasando un romanzo dei miei tempi di Gilbert Cesbron, mi pare di potere dire: «preti perduti senza collare» errabondi vaghiamo nella diocesi fuorilegge,
con un Vescovo che si ostina ad agire da fuorilegge, con vicari fuorilegge, tutti impegnati a dimostrare di essere «unfitinadatto/i» a governare.

Motivi giuridici ulteriori di illegalità invalidante la consultazione
In data 02 giugno 2023, la Cancelleria arcivescovile di Genova ha inviato la scheda con lelenco dei primi trenta eletti al 1° turno e il seguente cappello: « turno elettorale. Rinnovo del Consiglio Presbiterale Diocesano, 120 giugno 2023. Indicare con una crocetta i DUE NOMINATIVI che sintendono votare (n.b.: i nomi della lista sono
riportati in ordine alfabetico)».

Già nel titolo della scheda vi sono, almeno, tre infrazioni della legge canonica gravi e invalidanti:

1.
Il 2° turno elettorale ha una estensione temporale di «20 giorni» (nel 1° turno i giorni sono stati 24).
2.
La scheda è stata inviata per posta e non consegnata al momento del voto: non è verificabile.
3.
Gli eleggibili sono «in ordine alfabetico», cioè anonimo, e senza i rispettivi voti riportati al 1° turno.

3- Osservazioni.
1.
Il can. 167 §1 stabilisce che «Fatta legittimamente la convocazione, hanno il diritto di dare il voto i presenti
nel giorno e nel luogo determinati nella stessa convocazione, esclusa la facoltà di dare il voto sia per lettera
sia per procuratore, a meno che non sia disposto legittimamente altro dagli statuti». Lo Statuto tace su questo.

2.
Il can. 173 §1 aggiunge: «Prima che cominci lelezione, siano designati tra i membri del collegio o del
gruppo almeno due scrutatori. §2. Gli scrutatori raccolgano i voti e di fronte al presidente dellelezione
esaminino se il numero delle schede corrisponda al numero degli elettori, procedano allo scrutinio dei voti
stessi e facciano a tutti sapere quanti voti abbia riportato ciascuno. §3. Se il numero dei voti supera il
numero degli elettori, nulla si è realizzato. §4. Tutti gli atti dellelezione siano accuratamente descritti da
colui che funge da attuario, e, firmati almeno dallo stesso attuario, dal presidente e dagli scrutatori, siano
diligentemente custoditi nellarchivio del collegio».

Da questo combinato disposto della suprema lex canonica (fonte primaria, dal momento che lo Statuto, fonte
secondaria, non dice nulla sulla procedura di elezione), si evince quanto segue:

a)
Per essere legittimo, il voto deve avvenire in un giorno e orario stabiliti nella convocazione; le elezioni
diluite in più giorni, addirittura in «20 o 24 gg.» sono invalide.

b)
La scheda «deve essere controllabile», cioè verificabile in ogni passaggio; quindi, deve essere timbrata (=
ufficiale), ma non numerata. Essa deve essere ricevuta al momento del voto e consegnata/deposta nellurna
subito dopo votazione, davanti al presidente e davanti ai «almeno due scrutatori». In nessun sistema elettivo
la scheda è inviata a casa, a meno che non sia previsto per particolari motivi o disposto espressamente per
legge, come nel caso del voto per posta. Lelenco degli eletti del 1° turno, dopo lo scrutinio, avrebbe dovuto
essere pubblicato «universalmente» procedano allo scrutinio dei voti stessi e facciano a tutti sapere
quanti voti abbia riportato ciascuno»), non in modo «anonimo» o «alfabetico», ma in modo trasparente. In
ordine di voti ricevuti.

c)
Nel modo truffaldino scelto dalla curia, gli elettori non sanno chi ha avuto più voti e chi meno e non possono
farsi unidea dellindicazione espressa dal clero con il voto. Non è cosa di poco conto, ma è della massima
importanza perché il clero ha diritto di sapere chi è stato eletto e con quanti voti, anche per indirizzare il
proprio voto e non disperderlo. La forma alfabetica è una forma ingiusta, inquinante e per il diritto invalida
perché non rende giustizia a ogni eletto: «facciano sapere a tutti, quanti voti abbia riportato ciascuno». Chi
ha deciso lanonimato? Per quale motivo? In forza di quale legge?

d)
Lelenco comunicato dalla Cancelleria mette tutti sullo stesso piano, forse, per salvare la faccia a qualcuno
gradito al vescovo, ma non al clero. È una truffa mettere sullo stesso piano chi ha ottenuto 33/29/15/10 voti
con chi ne ha ottenuti 1/2/3/7, ecc.

e)
Il Diritto canonico imponeva di dire papale papale che gli elettori sarebbero stati 287, mentre gli eleggibili
erano 274; furono contate N. 147 buste, cioè elettori effettivi (cioè il 51,21% degli aventi diritto): una vera
débâcle. I risultati (ne evidenzio solo alcuni significativi, a titolo di esempio): Don Stefano Moretti 33 voti;
Mons. Carlo Sobrero 29 voti; don Marco Galli 24 voti; don Marino Poggi e don Claudio Ghiglione 10 voti
cadauno con altri, ecc. ecc. «sine fine dicentes». Il numero dei voti è un indirizzo del clero, cioè dal basso, e
questo è un metodo sinodale, mentre lelenco alfabetico è un sistema tartufesco, di bassa lega che vuole
trasformare il giorno in notte quando tutti i gatti son bigi. È chiaro che il Vescovo e i Vicari hanno paura di
questo voto e stanno cercando di correre ai ripari per salvarsi lapparente impresentabilità, mastrussando fino
a calpestare coscientemente la legge suprema della Chiesa.

f)
Nel 1° turno, quasi nessuno dei 147 votanti (= N. delle buste) ha votato utilizzando la scheda ricevuta, ma
ognuno ha sfrenato la fantasia: fogli A4 (la maggioranza), fogli di quaderno di tutte le fogge, fogliettini a livello
di francobolli celebrativi (sono gli amanti a oltranza della foresta amazzonica), condizione, che, insieme alle
altre invalida definitivamente lintero ciclo delle votazioni.

Nella seconda tornata si dovrebbe dare soltanto un voto, invece se ne chiedono due; ma ormai ne possono
chiedere anche tre chilogrammi, perché sia il 1° sia il 2° turno sono invalidi come denuncio nuovamente alla Santa
Sede e alla Cei. I preti che vogliono votare, votino, ma usino almeno il voto come strumento di equità e giustizia.
Sa Roma a decidere se le elezioni devono essere annullate e rifatte. Ha ragione Agostino dIppona: la Chiesa senza
diritto e giustizia, è in mano a una banda di ladri (cf La città di Dio, IV, 4, 1 [Sommario]; 4 [Testo], PL 41]). Pur
essendo votazioni illegittime e illegali, io voterò e ancora una volta voterò con voto secco Mons. Sobrero Carlo,
cui tutti i preti, in coscienza, dovremmo le scuse per averlo lasciato solo e imbrattato nella sua dignità di prete per
bene in un contesto curiale per male e siccome, colpevolmente, il Vescovo e gli altri vicari tacciono da due anni,
facciamolo noi per loro, sostituendo la «spiritosa carità fraterna» alla assenza cronica di paternità episcopale.

Le mie denunce a Roma e le informazioni di questa mia terza non erano destinate alla pubblicazione. Avrei
voluto tenerle riservate. Non mi è stato possibile. Pazienza, sperando che il Vescovo batta un colpo, meglio se due; io
sonerò la grancassa.

Paolo Farinella, prete


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P. Farinella

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