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‘Treno più lento d’Italia’. Sensazionalismo, ignoranza, pochi fondi: siamo messi (molto) male. E il caso metropolitana di Genova


Domenica 29 gennaio il Corriere della Sera, in cronaca, dedica un’intera pagina al “treno più lento d’Italia”, su cui un inviato avrebbe effettuato, in ben tredici ore ed otto minuti, un viaggio da Trapani a Ragusa. Sensazionalismo estemporaneo. Non che sia un falso, intendiamoci. Per viaggiare in treno tra i due estremi capoluoghi siciliani occorre davvero tutto quel tempo, anche se, con una partenza successiva, di ore ne sarebbero bastate “solo” dieci.

di Massimo Ferrari* 

Renato Schifani presidente della Regione Sicilia dal 13 ottobre 2022

Come è possibile, si chiedono stupiti politici e giornalisti (specie quelli che da anni non mettono piede in una stazione)? Come può un Paese civile sopportare una simile vergogna? Il fatto è che nessuno sceglie il treno per spostarsi da Trapani a Ragusa. In auto, naturalmente, si impiega molto meno e, per i pochi non motorizzati, qualche bus, seppur a prezzo di avventurose coincidenze, offre un’alternativa meno peggiore.

Neppure è sicuro che quel viaggio su rotaia si aggiudichi il primato negativo. In primo luogo perché non si tratta di un solo treno, ma almeno di due o tre corse distinte con cambio a Palermo. E in secondo luogo perché di esempi analoghi se ne potrebbero rinvenire parecchi in giro per l’Italia. Anche restando all’interno della stessa regione, provate a spostarvi da Carbonia ad Olbia, in Sardegna o da Sondrio a Mantova, nel profondo Nord. In entrambi i casi ci vogliono svariate ore. Viaggi molto più impegnativi di quelli tra Milano e Napoli o tra Roma e Torino che pure coprono distanze assai più lunghe. Evidentemente siamo in presenza un’Italia a due (o tre) diverse velocità.

La risposta delle istituzioni non si è fatta attendere. Il Governatore siciliano Schifani il giorno dopo, rilascia un’intervista e addossa, more solito, la “colpa al disinteresse storico”,  assicurando che lui “lavora ad una rete moderna”. Poi, però, precisa che “la realizzazione delle ferrovie non compete alla Regione ma alle FS”. E, quando il cronista insiste nel chiedergli da dove intende incominciare per ammodernare le infrastrutture dell’isola, risponde: “Dal caso eclatante dell’autostrada Palermo – Catania”. Altra opera che non compete a lui, ma che lascia intendere come le priorità del Governatore siano, come sempre, le strade.

Eppure Schifani avrebbe potuto rispondere che alcuni importanti cantieri per migliorare la mobilità su rotaia all’interno dell’isola sono già avviati. E’ in programma – dopo oltre dieci anni di ingiustificata interruzione – la riattivazione della Trapani – Palermo via Milo (che taglierà almeno un paio d’ore al famigerato viaggio denunciato dal Corriere) e la realizzazione della linea veloce Palermo – Catania (che renderà finalmente competitivo il viaggio in treno tra le due metropoli siciliane, riducendo un poco anche il tragitto per Ragusa). Famigerato viaggio che, se tutto andrà in porto, potrebbe ridursi a sei o sette ore. Sempre troppe, ma insomma.

Nello Musumeci dal 18 novembre 2017 al 13 ottobre 2022 ha ricoperto la carica di Presidente della Regione Siciliana.

Il problema è che probabilmente il Governatore non lo sa, perché di queste cose non si è mai interessato. Almeno il  predecessore Musumeci era più informato e non mancava di annoverare tra i successi della sua amministrazione quelle due opere in itinere, anche se non dipendevano da lui, ma dalle scelte operate dal gruppo FS. Il quale, a sua volta, aveva accolto le istanze politiche inserite nel PNRR al tempo del governo “giallo rosso” Conte Due, che aveva posto gli investimenti ferroviari nel Mezzogiorno tra le priorità da perseguire.

Peccato che, nel frattempo, il Movimento Cinque Stelle sia passato all’opposizione e Il Fatto Quotidiano, immemore di quella che dovrebbe annoverare tra i meriti della forza politica che sostiene, prenda ora le distanze, citando la Palermo – Catania (come pure la nuova AV Salerno – Reggio Calabria) tra i prossimi grandi sprechi finanziari. Per di più, nel caso della linea siciliana, con l’aggravante di tagliare fuori molte località, a seguito delle varianti di tracciato. E pensare che da Termini Imerese a Catania, le uniche stazioni di un qualche rilievo siano Caltanissetta ed Enna, mentre le varianti di tracciato – indispensabili se si vuole velocizzare il viaggio – escludano  tuttalpiù località sperdute in cui salgono pochissimi passeggeri al giorno.

Sono esempi di come i media e la politica (mal)trattano un argomento che non conoscono, non avendo probabilmente mai viaggiato in treno, almeno in Sicilia, e lo utilizzino per la polemica spicciola, che ovviamente cambia radicalmente non appena si passa dal governo all’opposizione o viceversa. Salvo poi stigmatizzare l’inutilità del Ponte sullo Stretto, perché prima vengono le ferrovie (e le strade) nell’isola.  E, se le cose stanno così, c’è poco di buono da aspettarsi dal futuro.

E’ anche per questa disattenzione – dietro cui si scorge persino la totale mancanza di nozioni geografiche basilari – che sono stati possibili scandali come quello della Palermo – Trapani, appunto, una tratta interrotta nel 2013 da una modesta frana che avrebbe potuto essere ripristinata in poche settimane. E che, invece, ha visto trascorrere oltre un decennio di inattività. Fino a quando i sindaci della zona si sono finalmente decisi a far sentire la loro voce.

O come nel caso della Caltagirone – Gela (la più “giovane” tra le strade ferrate dell’isola, inaugurata nel 1979), interrotta dal 2011 a seguito dal crollo di un viadotto, che attende tuttora di essere ripristinato. La verità, nell’uno come nell’altro caso (che politici e giornalisti nascondono o, più banalmente, non conoscono) è che si è colta l’occasione di quelle interruzioni per vedere se ci si poteva sbarazzare di un servizio non remunerativo e, solo dopo reiterate proteste, ci si sta rassegnando malvolentieri a riproporlo. Salvo poi stigmatizzare “il treno più lento d’Italia”.

Episodi che possono fiorire solo in una regione remota, posta in mezzo al Mediterraneo? Beh, mica tanto. E’ notizia di questi giorni che l’unica linea di metropolitana di Genova (aperta nel 1990, dopo aver speso cifre enormi per riadattare una galleria tranviaria preesistente) resterà chiusa per ben tre mesi nella prossima estate 2023, ed altrettanti nel 2024, per…cambiare i binari. Ossia per effettuare un intervento che normalmente si faceva in pendenza di esercizio.

Lo stesso avverrà a Napoli: la metropolitana collinare – una delle poche infrastrutture affidabili nel capoluogo partenopeo, definita “la più bella del mondo” per le opere d’arte contemporanea presenti nelle stazioni – chiuderà prossimamente per due interi fine settimana. Il motivo? Bisogna effettuare il collaudo dei nuovi treni. Ed i tecnici dell’Ansfisa, preposti all’intervento, non possono lavorare di notte. Perché…mancano i soldi per pagare gli straordinari. Cose che anche al Cairo o a Caracas metterebbero in serio imbarazzo, ma da noi sembrano ormai costituire la normalità.

Intendiamoci, non è tutta colpa del sensazionalismo dei media, che su questi temi è sempre andato a nozze. Talvolta inducendo persino a salutari ripensamenti. Ricordo, in un afoso agosto del 1986, sempre il Corriere – probabilmente a corto di notizie – “sbattere in prima pagina” il caso di un capoluogo, Teramo, privo di treni la domenica. Era così da anni, nessuno pareva accorgersene, ma, anche grazie a quella denuncia, le FS si convinsero a rivitalizzare la tratta da Giulianova fino ad inserirla (pomposamente) nella cosiddetta “metropolitana d’Abruzzo”.

E qualche volta persino i politici riescono a cogliere nel segno (si sa che anche un orologio rotto, due volte al giorno, segna l’ora esatta). L’attenzione sulla ferrovia Palermo – Catania, che si era ridotta ad ospitare un solo treno diretto al giorno – fu finalmente accesa dall’interruzione dalla parallela autostrada, successivamente riattivata (quella che adesso il Governatore Schifani vede come la sua priorità da perseguire).

Bisognerebbe, però, essere un po’ più coerenti. E soprattutto ben informati. Un adagio del buon tempo andato sentenziava: “conoscere per deliberare”. Appunto. E’ sempre attuale.

Massimo Ferrari

(Presidente UTP/Assoutenti)


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