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Le saette e le crociate del vescovo di Ventimiglia, Antonio Suetta


Le saette e le crociate del vescovo di Ventimiglia, Antonio Suetta.

di Paolo Farinella, prete

Mons. Antonio Suetta, il giorno del suo ingresso nella diocesi di Ventimiglia- Sanremo

Ventimiglia, paese di confine, è luogo di contaminazione, di scambio e di apertura, ma non per chi è affetto da claustrofobia col complesso dell’accerchiamento che si difende, sbarrandosi dietro una pila di «no» categorici: no alle bambine chierichette, nonostante il Papa abbia decretato (o forse proprio per questo?); no ai padrini “irregolari” in nome del Diritto nudo e crudo; no ai rapporti che non siano «naturali», ma solo secondo la definizione scientifica di Suetta, che, come il filosofo Protagora, è lui «misura di tutte le cose», della natura, dei sentimenti, della verità , unica e assoluta, purché abbia il copyright della Chiesa cattolica suettiana.

Come gli angeli sciabolanti custodi del paradiso terrestre, il vescovo Suetta, sguaina il suo spadino e, sprezzante del periglio, non lascia passare nemmeno le bambine, adorno di ironia incolpevole: il Papa liberalizza il servizio all’altare senza differenza di sesso e genere? Non sia mai, per Suetta solo il parroco decide «come organizzare il servizio» per cui la bambina cui è vietato servire all’altare «non è esclusa, ma invitata a fare la raccolta durante la Messa». Che carino lui e che commozione! Chissà, tra una raccolta e l’altra, la bambina potrebbe aspirare a diventare economista e dirigere lo Ior.

Forse il vescovo Suetta ha letto qualche canone iniziale di Diritto, ma non ha mai proseguito fino in fondo per scoprire che scopo della legge è il «bene delle anime» (can. 1752, CJC) come a dire che le norme devono essere prese con le pinze, cioè con delicatezza, attenti alle persone nelle loro condizioni e alla luce della loro esperienza e coscienza di «esser chiesa». Chi odora di profumo di pecora non fa di tutto per allontanare la gente che è già lontana di suo. Quando un prete chiude una porta, imprime un marchio che non si rimarginerà più e le persone non torneranno mai, né battezzeranno i loro bambini. Poco male, a Dio Padre non serve il permesso di un vescovo per esercitare il suo ministero di paternità; senza bisogno di un battesimo, per altro negato, sa come dichiarare che ogni bambino/bambina, uomo o donna, tutti sono figli e figlie suoi senza obbligo di permesso di soggiorno «cattolico».

L’inghippo è alla fonte: Suetta è figlio di qualche vecchio manuale di teologia scadente (neoscolastica) ed è rimasto bloccato lì, come se l’Italia fosse «cristiana» per scelta e non per anagrafe, a causa dei preti e della loro incapacità di testimoniare la gratuità e la bellezza di seguire il vangelo di Gesù. Se la Chiesa non offre possibilità e occasioni, che cosa ci sta a fare? Sbattere serrande e cancelli è l’impiego della migliore genìa di integralisti e fondamentalisti, che pretendono la purità di apparenza che nemmeno loro e i vescovi sono stati mai capaci di possedere. Al vescovo Antonio suggeriamo di ripassarsi la storia del matrimonio «sacramento» e tutte le faccenduole annesse: scoprirebbe cose che neppure i vescovi disumani possono immaginare. Provi a immaginare, invece, parafrasando Gesù, di andare a imparare cosa significhi «Misericordia io voglio, non sacrifici».

Paolo Farinella, prete


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P. Farinella

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