Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

La Marmolada regina delle Dolomiti è di calcare


Il Dipartimento Ambiente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha un carattere multidisciplinare.

di Alesben B.

Promuove ricerche e studi nell’ambito di una grande varietà di discipline scientifiche distinte, a volte anche notevolmente diverse tra loro, coprendo fenomeni che toccano tutti i “livelli” del pianeta, dal nucleo fino ai margini esterni della magnetosfera e tutte le componenti: solida, fluida e gassosa. I ricercatori che appartengono a questo dipartimento si dedicano allo studio di una varietà di processi naturali che caratterizzano il sistema Terra nel suo complesso e che caratterizzano le cosiddette geosfere (litosfera, idrosfera, criosfera, atmosfera, magnetosfera) e le loro reciproche interazioni. Tali ricerche condividono l’osservazione e lo studio dei fenomeni geofisici e geochimici naturali e dei loro effetti sull’ambiente. Le ricerche condotte nell’ambito del Dipartimento si prefiggono dunque di sviluppare le conoscenze di elementi critici del sistema Terra e delle loro interazioni reciproche. L’insieme delle ricerche condotte nel Dipartimento Ambiente ha pertanto grandi potenzialità di impatto sulle possibilità di sviluppo delle conoscenze di elementi fondamentali del sistema Terra, con ripercussioni importanti sia a livello scientifico sia per la società civile.

Motta Michele, nato a Torino il 4.9.1965, residente a Torino, Via Martiniana 20 (tel. 011336067). Laureato in Scienze Geologiche in quattro anni, con 110 e lode nell’A.A.1986-1987 con una tesi su “Geomorfologia climatica e strutturale dell’altopiano carsico delle Manie e dei bacini idrografici limitrofi” con allegate “Carta geomorfologica”, Carta dell’acclività dei versanti”, “Carta della superficie delle vette”,”Carta della stabilità geomorfologica”.

Nel 1988 è stato ammesso al Dottorato di Ricerca in “Mineralogia e Cristallografia” (IV ciclo), che ha frequentato per due anni occupandosi delle interazioni fra posizione geomorfologica, clima e sviluppo di fillosilicati argillosi in suoli e prodottid’alterazione.

In quest’ambito ha seguito lo stage di formazione “Techniques d’analyses et d’imageries par microscopies electroniques” organizzato dal CPMSI, Université d’Aix-Marseille 2, e il corso teorico-pratico di Microanalisi-X presso l’Istituto di Mineralogia e Petrologia di Modena, conseguendo il 7.1.1991 l’abilitazione all’uso del SEM-EDS presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Torino.

Dal 1990 è ricercatore, e dal 1999 professore associato presso la Facoltà di Scienze MM.FF.NN. dell’Università di Torino, raggruppamento D02A, afferente al Dipartimento di Scienze della Terra. Fa parte dal 1988 del Gruppo Geografia Fisica e Geomorfologia. E’ membro cooptato del Comitato Glaciologico Italiano, di cui è anche operatore glaciologico sin dal 1984.E’ membro dell’Unità Operativa di Torino del Progetto Nazionale di Ricerche in Antartide, sottoprogetto Glaciologia e Paleoclima.

Gli obiettivi strategici del Dipartimento per il prossimo futuro comprendono argomenti di grande attualità e su cui è molto focalizzata sia l’attenzione delle istituzioni che della comunità scientifica, ma anche del singolo cittadino:

  • Clima e Cambiamenti climatici: queste ricerche sono condotte in diverse regioni fisiche del globo – alcune particolarmente rilevanti per il clima globale e/o regionale – su diverse scale temporali, anche a scala geologica. Infatti, dallo studio della variabilità climatica naturale nel corso del tempo geologico si può fondare una stima realistica per gli scenari di variabilità climatica futuri.
  • Fenomeni legati allo Space Weather: le ricerche in questo campo riguardano l’approfondimento sul comportamento del campo magnetico terrestre e dell’alta atmosfera ionizzata (ionosfera) in caso di perturbazione di origine solare e del potenziale impatto dei fenomeni ad essi correlati sui sistemi tecnologici.
  • Sviluppo di ricerche e di metodologie per la comprensione e la stima quantitativa dei rischi collegati a fenomeni ambientali in terra ed in mare, come fenomeni di degassamento, di instabilità gravitativa e geomorfologica (movimenti franosi, sollevamento del suolo, sink-holes) anche in connessione con fenomeni di attività sismica e/o vulcanica.
  • Sviluppo di ricerche – scientifiche e tecnologiche – innovative ed originali per l’applicazione di metodologie geofisiche e geochimiche alla caratterizzazione dell’ambiente del Sistema Terra nel suo complesso e di monitoraggio degli effetti naturali ed antropici in diversi contesti geologici e sociali.

Oltre l’ambito meramente scientifico, molte sono le attività svolte nel Dipartimento Ambiente aventi implicazioni ed impatto diretto sulla società. Generalmente si svolgono attività di ricerca istituzionale su richiesta e/o in convenzione con diversi committenti. In particolare, in questo ambito le attività comprendono sia servizi istituzionali di lunga tradizione (come la produzione di cartografia, la produzione e distribuzione di bollettini mensili e annuari e la fornitura di previsioni ionosferiche, ecc….) che le attività svolte su richiesta specifica per consulenze con Enti locali (Comuni, Regioni, Arpa) ed Istituzioni dello Stato (Carabinieri, Forze Armate, Guardia Costiera e Ministero dell’Ambiente).

Le attività di servizio comprendono dunque il monitoraggio di diverse componenti del sistema Terra (osservazioni di campo magnetico terrestre, di ionosfera, di mari e oceani) e la relativa fornitura di servizi, sia di mappatura che di previsione della loro evoluzione a diverse scale temporali; la formulazione di scenari di aumento di livello marino in zone costiere a rischio di alto valore ambientale e culturale; le attività svolte per la sicurezza nazionale antiterrorismo e le consulenze tecniche per la sicurezza internazionale; interventi volti alla caratterizzazione delle condizioni geologiche del sottosuolo; prospezioni per l’identificazione, rilevamento e monitoraggio di fenomeni di inquinamento ambientale (sottosuolo, acque, aria); definizione di modelli concettuali dei corpi idrici sotterranei finalizzate alla redazione di “Piani di gestione delle Acque”; rilevamento del livello di radioattività naturale in suoli, acque sotterranee e indoor.

La Marmolada regina delle Dolomiti è di calcare!

Il processo chimico che porta alla dissoluzione di carbonati prende il nome di fenomeno carsico ed è assai complesso. L’assorbimento di anidride carbonica nell’acqua piovana e di infiltrazione la rende più aggressiva nei confronti della roccia carbonatica.”

La Marmolada scampò al processo di dolomitizzazione, lasciandoci in eredità una parete di circa 1000 metri formata da compatto calcare grigio. Una delle meraviglie delle Dolomiti, nella cui parete sud albergano alcune tra le più belle vie di scalata su roccia.

La Marmolada, detta anche la regina delle Dolomiti, dall’alto dei suoi 3348 metri è il rilievo più alto dell’intero “gruppo dolomitico“. Questa non è la sua unica particolarità: a differenza della maggior parte dei rilievi dell’area, la maestosa parete non è composta da dolomia. A rigore non dovrebbe far parte delle Dolomiti propriamente dette. E’ infatti costituita in prevalenza da calcari grigi molto compatti che si iniziarono a sedimentare nel mare del Triassico inferiore, circa 250 milioni di anni fa.

Ed è in quel mare che si depositarono i sedimenti che costituiranno l’ossatura delle future Dolomiti. A quei tempi queste montagne erano parte di un vero e proprio arcipelago formato da isole ed isolette, in cui le ottimali condizioni climatiche permisero la formazione di imponenti barriere coralline. Il risultato di questo lungo processo è, almeno per questo rilievo, una parete sud di circa 1000 metri d’altezza di favoloso compatto e ripido calcare, un unico cuore delle Dolomiti. Una vera e propria chimera per qualsiasi alpinista, un sogno che alle volte può tramutarsi in vero assillo o incubo.

La geologia-

Circa 250 milioni di anni fa alcune porzioni del mare Triassico, meglio conosciuto come “Tetide“, si sollevarono per dare origine ad isole ed arcipelaghi, in un clima di tipo tropicale. Di queste isole formate da piattaforme carbonatiche faceva parte la Marmolada. Dobbiamo immaginare un ambiente pelagico caratterizzato da un clima favorevole con acque calde ed areate e in lento e continuo sprofondamento (subsidenza). Questi fattori permisero lo sviluppo di estese colonie coralline. In questi veri e propri atolli si depositarono le rocce che costituiranno l’ossatura di queste montagne. Oggi sono a tutti gli effetti un arcipelago tropicale fossile.

sali di magnesio Il gruppo montuoso delle Dolomiti prende il nome dal minerale dolomite, che ne caratterizza la sua roccia più rappresentativa, la dolomia appunto. La dolomite da un punto di vista chimico è un carbonato doppio di calcio e magnesio. Il calcare di formazione primaria ha subito un processo di dolomitizzazione che consiste nella sostituzione di parte degli ioni calcio presenti nel reticolo cristallino della calcite con ioni magnesio provenienti da soluzioni saline ricche di questo elemento. Alla fine di questo processo si ha la formazione di un nuovo minerale: la Dolomite appunto (il nome viene da Deodat de Dolomieu, 1750-1801, il primo che studiò e classificò questa roccia). Questo processo fu favorito da due fattori principali : la subsidenza continua e costante del sottosuolo, che permise l’accumulo e la sedimentazione di grandi spessori di materiali carbonatici, e le continue trasgressioni e regressioni marine che arricchirono di le rocce carbonatiche.


Tuttavia non tutte le Dolomiti sono composte da dolomia. La Marmolada, insieme ad alcuni altri gruppi “dolomitici” come il Latemar, non subirono il processo di dolomitizzazione.

La mancata dolomitizzazione di alcune delle antiche piattaforme carbonatiche viene attribuita all’attività di alcuni vulcani attivi nell’area nel periodo Ladinico (intorno a 240-230 milioni di anni fa). Gli apparati vulcanici di Predazzo e dei Monzoni, con le loro poderose eruzioni sottomarine, apportarono enormi quantità di lava nei bacini marini. Queste lave finirono per ricoprire le pendici delle scogliere e delle piattaforme carbonatiche della zona. Uno di questi apparati vulcanici, il sistema dei Monzoni, era posizionato molto vicino alla Marmolada.

Divisione delle Dolomiti calcaree dai massicci dolomitici, da Bosellini, 1986. In rosso, anche se indicati come corpi granitici sono le posizioni degli antichi vulcani ladinici.

In questo scenario le ceneri e le lave del vulcanismo Ladinico, ricoprendo gli atolli limitrofi, avrebbero impedito lo scambio calcare-magnesio, inibendo il processo fondamentale per la dolomitizzazione delle rocce carbonatiche coinvolte.

La mancata dolomitizzazione della Marmolada ci ha così consegnato 1000 metri d’altezza di grigio e compatto calcare che l’ha resa croce e delizia di generazioni di alpinisti.

Attraverso questa parete, nella sezione centrale, ovvero nella parte più liscia e ripida, passa la mitica via attraverso il Pesce anche chiamata semplicemente: “il Pesce” (cima di Ombretta parete sud, via attraverso il Pesce, primi apritori Igor Koller e Jindrich Sustr, 2-3-4 agosto 1981).

Parete della Marmolada, via attraverso il pesce, vista dal basso

Il Pesce è ben visibile sulla parete, una nicchia con questa forma scolpita sul fianco della montagna. Se vi capitasse di sfogliare le pagine web di un qualsiasi sito di scalate in Marmolada a proposito di questa via potreste leggere: “Una via entrata, a buon diritto, nel mito. Si tratta di un vero capolavoro dell’arrampicata dolomitica.”
La nicchia del Pesce in parete, e di fatto l’unica sosta sicura, come un approdo in un mare in tempesta per gli alpinisti.


La nicchia del Pesce in parete, e di fatto l’unica sosta sicura, come un approdo in un mare in tempesta per gli alpinisti.

Oggi “il Pesce” è diventata una delle classiche estreme delle Dolomiti, ed anche se la chiodatura iniziale è stata modificata per rendere più sicura la salita, rimane comunque una via da non sottovalutare.

La via si sviluppa per 900 metri e fu aperta in 3 giorni dai cecoslovacchi Igor Koller e Jindrich Šustr (di 29 e 17 anni rispettivamente). L’apertura della via agì come una macchina nel tempo determinando un salto nel futuro per tutto l’ambiente alpinistico.

Le difficoltà estreme della parete permettono un’unica sosta-bivacco tranquilla: nella nicchia a forma di pesce posta nella seconda metà della parete. La salita di Igor e Šustr fu notevole anche considerando la scarsa qualità tecnica dei materiali con cui i due alpinisti affrontarono la via.


Sustr ed il suo imbrago fatto di fettucce cucite a mano!

In una delle conferenze che seguirono l’ascesa, Igor Koeller raccontò che la via era stata aperta utilizzando delle scarpe da calcio a cui erano stati tolti i tacchetti: “erano buone per arrampicare” diceva. Se a questo uniamo le caratteristiche degli imbraghi da arrampicata utilizzati dagli alpinisti dell’est in quegli anni, realizzati cucendo assieme delle semplici fettucce, abbiamo un’idea della portata della loro impresa. Non potevano certamente permettersi alcuno sbaglio in parete. l materiali in uso e la roccia così compatta non avrebbero perdonato un loro eventuale errore.

La prima in libera femminile, Federica Mingolla sulla via attraverso il pesce (Luglio 2016); a sinistra l’itinerario e nel cerchio la nicchia del pesce.

Una cordata ben particolare quella di Igor e Šustr. Igor l’anziano, anche se appena ventinovenne, era la mente organizzatrice. Šustr, un ragazzino dal talento puro per l’arrampicata, dopo l’impresa come un novello Rimbaud, sparì nel nulla (almeno per quanto riguarda il mondo alpinistico).

Šustr percorse da capocordata tutti i tiri più difficili, guidato da Igor che ben conosceva l’ambiente e la parete. La via fu aperta in tre giorni continuativi di scalata, in cui vennero affrontati spericolati passaggi su dei semplici cliff (minuscoli ganci a cui in casa nessuno affiderebbe la sicurezza di un canovaccio da cucina e a cui invece coraggiosi alpinisti affidano la loro vita in tutti quei casi in cui non siano utilizzabili altre protezioni), senza ricorrere all’ausilio di protezioni più sicure come ad esempio gli spit (strumento decisamente più affidabile, paragonabili ad uno stop infisso nella parete, martellato a mano o con compressori meccanici). La parete compatta della Marmolada non permetteva di martellare chiodi in buchi e/o fessure che potessero garantire, nell’attraversare i passaggi più complessi, una totale sicurezza.

La prima salita del Pesce aprì le porte del VII grado sulle Alpi (VIII se percorso totalmente in libera). Inizialmente la portata dell’impresa non fu pienamente compresa. In realtà non fu solamente una nuova via in Marmolada, fu “la via“. Un nuovo modo di guardare alle difficoltà ed alla progressione. L’inizio di una nuova era dell’arrampicata decisamente proiettata nel futuro. Dal “Pesce” in poi la capacità tecnica e l’allenamento, l’eleganza dei passaggi e la linea della via stessa saranno alla base della scelta dei nuovi itinerari alpinistici, non più volti alla mera conquista della vetta.

Alesben B.

 


Avatar

Alesben B

Torna in alto