Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Intervista a Nicoletta Retteghieri. E’ genovese e ama Loano. Un desiderio? Un Museo del Maiale. Università e passioni. La poesia, un CD, cantante di rock band. Un disagio? Il degrado a scuola. Nella società non è importante quanto sai, ma i follower che hai. I suoi romanzi


Nicoletta Retteghieri, genovese e loanese, laureata in lingue straniere, coltiva molteplici passioni, da quella adolescenziale per la poesia, è passata a quella della canzone d’autore ed ora a quella della scrittura di gialli altresì. Di sicuro ne sbocceranno altre.

di Gian Luigi Bruzzone

Gentile Dottoressa, ci parli un poco della sua famiglia, se non le dispiace. 

Nicoletta Retteghieri alla chitarra: origini genovesi e loanesi. Laurea in lingue straniere e tante passioni.  Diploma da ragioniere e perito commerciale. L’ultimo hobby: scrittura di gialli

Sono figlia unica, nata da papà Giuliano, funzionario FS con un passato di attore brillante di varietà nei teatri genovesi (e forse da qui ho ereditato la vis comica… e pure da mia nonna, sua mamma, che era una mirabile pittrice e dotata di grande spirito). Le sue origini, per quanto nato a Genova, erano emiliane: papà infatti era nato a Bologna, ma di famiglia proveniente dal Modenese – Carpi, per la precisione – e nonno materno di Modena… per questo nutro una spiccata simpatia per l’Emilia e sento di averne qualche connotato.

La nonna materna era autentica genovese: si chiamava Palmira Testa e suonava il pianoforte, particolare di cui vado orgogliosa perché mi consente di appiccicarmi addosso quella radice di genovesità cui tengo moltissimo, dal momento che non solo sono nata a Genova e vi risiedo da sempre, ma la amo immensamente.

Mia mamma Anna Maria Siccardi, invece, era nata a Loano e loanese doc da generazioni (sebbene in famiglia si dicesse che il casato provenisse da Albisola… o Albissola? Confesso che non so da quale delle due), con un nonno paterno pittore e suonatore di contrabbasso e una mamma loanese che si chiamava Orsolina Elice. Purtroppo i miei non ci sono più e la mia famiglia è costituita da me e mio marito (non abbiamo figli per scelta).

E dei suoi studi: qualche insegnante avrà rappresentato un modello per lei, le avrà suggerito – in modo più o meno implicito – un modello di vita…

Ho avuto sempre molto affetto per la mia maestra delle elementari, con la quale ho mantenuto i contatti fino alla sua scomparsa; mi ha dato solide basi per affrontare gli studi seguenti e la vita in generale. Dopo le medie, ho conseguito il diploma di ragioniere e perito commerciale a pieni voti; un corso di studi che non ripeterei perché, pur studiando tutte le materie, proprio alle superiori ho riscoperto il mio amore per le materie umanistiche e le lingue (italiana e straniere) in particolare. Sul perché i miei mi iscrissero a ragioneria e non a un liceo sorvolo, poiché è una storia lunga e complicata.

Gli anni universitari...

Conseguito il diploma, nonostante i miei desiderassero trovassi un impiego, ho voluto a tutti i corsi iscrivermi all’università; nel frattempo mi guadagnavo qualcosa impartendo lezioni private. Mi sono laureata con specializzazione prima lingua inglese e seconda francese; in più ho studiato privatamente tre anni di lingua tedesca ma, non avendola approfondita, diciamo che, al momento, la conoscenza che ne ho mi consente di cavarmela nel capire e farmi capire nei paesi germanofoni.

Perché si è messa a comporre versi?

Nicoletta Retteghieri all’Unitre di Loano per la conferenza SOS Italiano

Da piccola, amavo scrivere e all’età di sette anni ho cominciato a comporre poesie e – più avanti –  anche racconti e parodie. Ho ereditato questa passione da mio papà, che aveva una solida cultura e scriveva impeccabilmente; tra l’altro la mia passione non è solo riferita alla forma da dare alle parole, ma proprio al linguaggio, a cominciare dalla fonetica per arrivare fino alle costruzioni sintattiche; ho avuto anche modo di tenere alcune conferenze sulla scrittura e sulle lingue all’Unitre di Loano.

Attualmente mi ritrovo a essere una cosiddetta “grammar-nazi”, ovvero una che prova irritazione per qualsiasi errore sia scritto sia parlato… L’aspetto più sconfortante – a mio avviso – sta nella constatazione che non solo la scuola si sia quanto mai degradata, ma che chi si esprime scorrettamente in italiano non faccia alcun tentativo per migliorare ed anzi reagisca in maniera aggressiva o denigratoria verso chi vorrebbe solo dare un aiuto.

Ad esempio: se scopro di aver sempre pronunciato un termine con un accento diverso da quello usato da una persona che riconosco colta e preparata, la prima cosa che faccio è andare a consultare un dizionario di ortoepia per sapere la dizione corretta e – se ho sempre sbagliato – all’occorrenza mi ricordo dell’errore e mi correggo, anziché perseverare pervicacemente nello sbaglio.

Dalla poesia è passata alla canzone d’autore!

Alunna di terza media, al compleanno, mi regalarono una chitarra. Già ero appassionata di musica, ma suonavo soltanto il flauto, strumento per lo più usato alle medie durante le lezioni dedicate alla materia. Non mi pareva vero di avere finalmente uno strumento che mi avrebbe permesso di suonare e di cantare in compagnia, così cominciai a strimpellare e presi anche lezioni. In contemporanea cominciai ad ascoltare i grandi cantautori (Guccini, Vecchioni, ecc.), di cui amavo i versi colti e profondi; da lì il salto fu breve: all’età di tredici anni composi la mia prima canzone e non mi fermai più, fino a circa una quindicina di anni fa.

Nicoletta bambina e passione per musica: dalla chitarra, al flauto, al pianoforte, alla tastiera elettrica, al canto

In seguito – avendo ereditato il pianoforte della bisnonna – seguii anche lezioni di piano e – quando mio marito mi regalò, per il giorno natalizio, una tastiera elettrica – anche di tastiere. Purtroppo non ho avuto tempo di approfondire questi strumenti e – per quanto riguarda la chitarra – sono rimasta una mera strimpellatrice, ma è sempre piacevole poter cantare e suonare in compagnia. Ho inciso due CD di mie canzoni e partecipato a numerosi spettacoli; tuttavia il mio genere estetico-musicale da un po’ di tempo risulta desueto e però non ho più composto canzoni. Mi piacerebbe da matti registrare un altro CD, ma trovo alquanto demoralizzante comporre per poi non far ascoltare i miei pezzi al pubblico. Negli ultimi tre anni ho comunque provato l’esperienza di cantante di rock band, mi ha arricchito assai e spero ripeterla.

Riscosse curiosità la canzone su Cristoforo Colombo...

Certamente il brano su Cristoforo Colombo (“Canto di Cristoforo”) è un po’ più conosciuto, ma deriva dal fatto che io stessa – avendo cantato quasi sempre in Liguria – l’ho proposto, in onore del prestigioso Genovese, più degli altri. Nasce nel 1992, in occasione dei cinquecento anni dalla scoperta dell’America, c’erano state delle critiche (oddio, rispetto all’iconoclastia odierna erano abbastanza tiepide) sul navigatore, considerato una sorta di predone che aveva invaso territori appartenenti ai nativi, sterminandoli o comunque assoggettandoli. A parte il fatto che ho sempre ritenuto insensato giudicare fatti del passato con i parametri odierni, mi sono immedesimata in Colombo, che stava affrontando l’ignoto circondato da un equipaggio in rivolta, e l’ho fatto parlare, risentito. Il ritornello inizia sempre con “Che ne sapete voi…”, proprio perché spesso chi critica non si è mai trovato in una situazione disagevole o pericolosa e quindi non può immaginare lo stato d’animo e capire le scelte fatte da chi, invece, l’ha sperimentata.

Comunque ho composto anche altre canzoni che amo ricordare, quali quelle di ispirazione letteraria. Ne cito alcune: “Il fantasma dell’Opéra”, “Apparenze” (ispirato al tema del doppio trattato da Stevenson ne “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”) e “Dorian Gray”. Altra canzone prediletta è “L’ombra di Leif”, in cui immagino Leif, il figlio del vichingo Erik il Rosso, che, ormai defunto, appare come un’ombra e, colmo di nostalgia, chiede a una persona che sta ammirando le lande ghiacciate e desolate della Groenlandia di ricercare la sua nave per fargli rivivere le proprie avventure nella terra tanto amata. Poi ho trattato vari altri temi intimistici.

Quale la sua opinione sullo stato della cultura in Liguria?

Credo che la situazione culturale ligure corrisponda alla media nazionale e – probabilmente – anche europea e mondiale. La mia opinione è che i mezzi di comunicazione di nuova generazione – che non intendo comunque demonizzare, poiché veicolano anche informazioni e nozioni importanti – siano manipolati sapientemente per fornire facili risposte di fugace benessere, legate principalmente al culto della visibilità. “Posto, dunque sono”, si potrebbe dire richiamando Descartes, constatando con desolazione che il fatto di postare video, foto, pensieri sui vari social contribuisce a generare in chi lo fa la convinzione di essere notato dal mondo, di essere in qualche modo importante. Perché leggere libri, farsi una cultura da poter poi diffondere al mondo, se tutto sommato il mondo sa già che esisto dopo una fatica di pochi secondi? Oggi non è importante quanto sai, ma quanti follower hai.

È diventata giallista… Che cosa si propone, componendoli? 

A me sono sempre piaciuti gli enigmi e di conseguenza, non potevo non amare i gialli, sia in letteratura sia nel cinema. Scrivere un romanzo era stato sempre un mio sogno. Ho composto molti racconti di genere thriller e horror, ma non riuscivo a trovare la quadra per scrivere qualcosa di più compiuto. Poi, nel mezzo del cammin di mia vita, ho avuto l’idea di iscrivermi a un corso di scrittura creativa e lì c’è stata la svolta. Ho capito che per scrivere bene avrei dovuto imparare a leggere meglio e infatti – pur avendo divorato moltissimi libri anche prima – dopo un corso biennale, mi sono resa conto che leggevo in maniera diversa e che – paradossalmente – lo stile scrittorio era così importante che preferivo un romanzo scritto bene con una trama povera, piuttosto del contrario. Creare un romanzo era a portata di mano, e ho accuratamente calcolato come scriverlo.

Intanto, avevo bisogno di un luogo reale ben conosciuto, non potevo tuttavia rischiare un’ambientazione genovese poiché, essendoci una colluvie di gialli ambientati nel capoluogo ligure, avrei rischiato non fosse preso in considerazione. Rimaneva una possibilità: la mia amata Loano, dove posseggo la casa dei miei avi e dove ho sempre trascorso l’estate fin dall’infanzia. In quanto ai personaggi, ho reso omaggio alla mia mamma modellando fisicamente su di lei la protagonista femminile della serie (avevo già progettato sarebbe stata una serie), un’ultrasettantenne con la passione dell’investigazione, affiancandole un figlio quarantenne affascinante, sciupafemmine, agente immobiliare e ugualmente appassionato di misteri. Inoltre, ho scelto uno stile comico per una semplice ragione: il mio intento, quando possibile, è divertire e divertirmi. Quindi, dal momento che quando descrivo scene esilaranti rido e non mi annoio e per di più i lettori mi dicono che si sono divertiti tantissimo, ritengo di avere centrato l’obiettivo e ne sono felice. In fondo non mi propongo alti fini letterari, bensì di intrattenimento.

Nell’architettare i romanzi, ha già chiaro dall’inizio lo schema? Avrà una sua metodologia, suppongo.

Nicoletta autrice di romanzi gialli firma le dediche dei suoi libri

I giallisti, ed i romanzieri in genere, hanno di solito una metodologia precisa nell’affrontare lo sviluppo delle vicende. Nel mio caso non è così. Anzi tutto, il giallo presenta una maggiore difficoltà rispetto ad altri generi, in quanto ha una forte componente matematica, ovvero: c’è un enigma che deve essere risolto e tutte le risposte devono essere date, senza lasciare fili pendenti, come sosteneva il mitico tenente Colombo.

Per quanto mi riguarda, la cosa più difficile è il movente, perché è anche la più banale, nel senso che può essere soltanto di tre tipi: passionale, per interesse o per follia. Va de sé, su questi tipi, tutto è già stato scritto. Legati al movente sono il colpevole (o i colpevoli) e la vittima (o le vittime) e questo è il punto più delicato: occorre immaginare una vicenda di massima, in cui A uccide B per un motivo C.  In cinque righe il romanzo sarebbe scritto. Attorno a questa semplice, ma allo stesso tempo complicata trama si sviluppa il resto e qui entra in gioco l’abilità dello scrittore. Difficilmente parto con uno schema di capitoli (magari suddivisi in scene) ma, avendo in mente la vicenda a grandi linee, mi lascio trasportare dalla storia. Succede che spesso provo il blocco dello scrittore e passo lunghi periodi per riprendere da dove mi ero interrotta, all’improvviso ho una rivelazione – può consistere anche in particolare – che sblocca il racconto e mi consente di proseguire. D’altra parte non scrivo a contratto, ma per me la scrittura dev’essere un piacere. Ho scelto personaggi seriali e quindi gli investigatori e vari altri personaggi di contorno sono sempre gli stessi, anche perché si muovono in un territorio circoscritto. Il microcosmo di Loano rappresenta il protagonista, laddove c’è il gusto di descrivere i luoghi reali da parte dell’autore e di riconoscerli da parte del lettore.

La mia Genova...

Parlare di Genova non è così facile, per me; ritengo sia più semplice da parte di un turista occasionale, ma per chi ci è nato e sempre vissuto risulta più arduo. Osservo che, con l’avanzare dell’età e le inevitabili nostalgie, si è sviluppato in me un senso di appartenenza e di fusione che mi fa sentire come se fossi “impastata” insieme ad ogni pietra di ogni monumento e di ogni strada. Dalle mie finestre vedo tutta via XX Settembre fino a De Ferrari e la cosa che più mi emoziona, e da cui non staccherei mai lo sguardo, è la bandiera della città che vedo sventolare sulla vetta della Torre Grimaldina. In un simbolo, quindi, vedo riassunti tutto il legame e l’amore nei confronti della mia città.

La mia Loano...

L’iter del mio sentimento per Loano è buffo: da bambina la detestavo, poiché ero costretta a passarci le vacanze estive, allontanandomi dai miei amici di Genova. Crescendo, ho cominciato a vederla con occhi diversi e ad amarla, con una struggente nostalgia per com’era e per chi c’era e ora non c’è più. Ricordo che quando mia mamma mi parlava di qualche loanese – solitamente identificato con un soprannome dialettale – io mi annoiavo e non avevo alcun interesse per quei racconti, mentre adesso pagherei qualunque cosa per saperne di più. Ma credo che sia semplicemente la natura umana che funziona da sempre così e a questo proposito mi piace citare i versi di “Amerigo”, canzone di Guccini in ricordo di un suo prozio, quando dice: “Sprezzante come i giovani / gli scivolavo accanto / senza afferrarlo…”.

Genovesi e ponentini: quali differenze coglie?

Mah, io non vedo grandi differenze; tutto quello che posso dire è che – avendo sempre vissuto in una realtà cittadina, quella in cui non conosci nemmeno coloro che abitano nel tuo stesso condominio – noto che a Loano, che è un ex-paese, tutti sanno tutto di tutti e io, pur avendola frequentata nel corso dei decenni, ad ogni notizia casco sempre dalle nuvole. Mi dicono che anche nelle periferie di Genova ci sia un po’ questo spirito di comunità che nel centro città manca. A me peraltro l’anonimato non dispiace; mi fa sentire più libera, ovvero meno esposta alla curiosità altrui, di fatto a Loano talora patisco un po’, sentendomi più visibile, anche se poi non faccio nulla da dover essere tenuto nascosto.

Un progetto accarezzato.

Ah, i progetti! Nutro mille interessi e potenzialmente farei mille cose, ma al momento  cerco di realizzarne uno molto bizzarro, ma cui tengo in particolare: istituire un Museo del Maiale. Da anni colleziono maialini, o meglio, tutto ciò che afferisce al mondo del maiale e quindi non solo riproduzioni di qualunque materiale, ma oggetti che abbiano attinenza, stampe, quadri, foto, adesivi, cartoline, magliette, pigiami, pantofole… l’elenco è lunghissimo. Ho ben più di mille articoli e a casa mia non riesco a esporli tutti; anni fa ero stata nei pressi di Stoccarda (a Bad Wimpfen), dove esiste il Museo del Maiale, che era una casa a graticcio di quattro piani completamente “ripiena” di maiali! Mi aveva stregato; poi, negli anni successivi, questo Museo era stato trasferito nella sede dell’ex-mattatoio di Stoccarda. Mi sono detta: perché non realizzarne uno anche qui in Italia? Purtroppo occorre un finanziamento; dispongo di qualche contatto, ma non c’è ancora nulla di certo… Donerei la mia collezione a qualcuno che avesse i locali e si occupasse anche di una custodia efficace del contenuto; sarebbe per me un grande dispiacere donare pezzi amati, comprati o regalati da persone care.

Che cos’è la felicità?

La felicità è un attimo. La vedo così, legata a emozioni rapide ed esaltanti, ma non durature; ben altra cosa rispetto alla serenità, che invece si protrae nel tempo, ma che ha meno forza prorompente…

Oggi significa vivere alla giornata. Per me – a differenza di un tempo – è difficile pianificare e sono solita cercare le opportunità non appena si presentano. Dato il mio carattere ottimista, cerco gli aspetti positivi anche nelle difficoltà e trovo la meraviglia anche nelle piccole cose; quindi spesso.

“Domani” è la mia parola d’ordine. Nonostante le inevitabili nostalgie, non amo il passato, poiché solo il futuro è il regno delle possibilità. Ed essendo, come dicevo, ottimista, immagino sempre che qualcosa di buono succederà, anche nei momenti più sconfortanti.

Vorrei aggiungere un’ultima cosa relativa ai miei hobby: ne ho davvero tanti e mi piace ricordarli: la lettura e il cinema (in entrambi i casi prediligo il genere thriller), i viaggi (amo moltissimo l’Europa centro settentrionale e vado matta per i paesaggi nordici; poi ho una passione per i castelli e le grotte), i puzzle (ne faccio uno dietro l’altro e li trovo tremendamente rilassanti), l’enigmistica (in particolare amo i cruciverba ermetici, senza numeri e con le definizioni alla rinfusa: una vera sfida), la gastronomia (amo mangiare, ma adoro anche cucinare e sono sempre varia nei menu; inoltre la infilo volentieri nei miei romanzi) e i giochi di società (quelli da tavolo, tipo Risiko, Scarabeo, ecc.; ne ho tantissimi e peccato che mi riesca difficile trovare persone con cui giocare: sembra una stupidaggine, eppure bisogna innanzitutto trovare giocatori allo stesso livello; inoltre devono categoricamente NON arrabbiarsi se perdono e non è così scontato).

Desidero ricordare la bibliografia, consistente nei tre romanzi “L’importanza delle acciughe”, “La legge del baccalà” e “Crimini e farinata”, tutti con gli stessi protagonisti ed editi da Fratelli Frilli. Ne sto ultimando un quarto della serie. In più, ho collaborato con racconti vari a numerose antologie, come quelle che escono ogni anno in memoria di Marco Frilli Editore e altre (“Brividi sul Bianco”, “Natale a Genova”, “Genovesi per sempre”, “Racconti liguri”, “Giallo Birra”, “Laghi e delitti”) e pubblicato altri racconti on line.

Grazie, gentile Dottoressa, per aver accolto le mie domande. Le auguro quanto desidera per Lei e per i Suoi.

Gian Luigi Bruzzone


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