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Omicron, il peggio deve arrivare: paralisi scuole


Omicron, se il peggio deve arrivare:  scuole verso la paralisi. C’è un clima di paura ingiustificato?

di Antonio Rossello

Dopo due anni, se da un lato riscontriamo il diuturno impegno di dirigenti, insegnanti, Ata e personale tutto, forse dall’altro è giunto il momento di normalizzare questa maledetta pandemia a partire dal basso, dalle fasce d’età più giovani che fortunatamente non presentano significativi problemi clinici dall’infezione con Sars-CoV-2.

Sin dai primi giorni della pandemia, è emerso come la sicurezza nelle scuole dovesse essere un tema da affrontare con la massima immediatezza e concretezza. Ma siamo stati in presenza d’indicazioni, raccomandazioni, prese di posizioni spesso contrastanti che non hanno fatto altro che disorientare lavoratori e famiglie, in un momento già di per sé particolarmente grave. In aggiunta, poi, ai molti problemi annosi della scuola, dalle classi pollaio all’edilizia scolastica, per non parlare degli interventi strutturali, che dovevano esser fatti e non sono mai stati fatti. E via dicendo, in un elenco non breve.
Con la più immediata soluzione delle scuole chiuse ad oltranza, malinconia e apprensione ci hanno accompagnato, quando ci siamo interrogati sul futuro dei nostri giovani: la pandemia come ha modificato loro la vita, cosa gli riserverà? La cultura, le conoscenze, ovviamente depotenziati dalla tragicità del momento, li aiuteranno a trovare un posto adeguato nel mondo e a farglielo rendere migliore? Potranno sfuggire ad ulteriori delusioni, difficoltà e disadattamenti, per non aver potuto godere a pieno del diritto allo studio, come chi li ha preceduti?
Purtroppo, ormai a distanza di due anni dall’inizio del dramma Covid, siamo costretti a prendere atto di una situazione ancora drammatica, statica e confusa. Il vero problema è sempre l’approssimazione con cui sono affrontate le questioni. Dipendere da chi immagina una realtà non corrispondente al reale, ha determinato trovate prive di senso, le tante chiacchiere senza costrutto e le difficoltà enormi che oggi abbiamo sotto gli occhi. E vogliamo soffermarci solo su alcune di esse, le ultime, non riesumando tutte quelle, abnormi talora scandalose, di un calvario biennale. Con la sensazione che solo il trascorrere di alcuni giorni inevitabilmente ne possa portare altre alla luce.
Un’odissea senza fine? Epidemiologi, virologi, esperti vari, numeri alla mano, sono nuovamente concordi: i contagi da Covid aumenteranno ancora. Del resto, anche l’Oms lo afferma: entro due mesi la metà dei cittadini europei sarà colpita dalla variante Omicron. Intanto, si stanno progressivamente paralizzando numerosi servizi essenziali: dalla sanità agli uffici pubblici, dai trasporti, dulcis in fundo, alla scuola…
Sebbene, almeno idealmente, in scienza non esistano autorità, ma solo autori, nella comunità scientifica ci si confronti (o ci si dovrebbe confrontare…) tra pari e a parlare siano solamente i dati raccolti sul campo, a prescindere da chi sia a riportarli, probabilmente qualcuno, leggendo i dati sui giornali, avrà pensato che la pandemia comporti una babele di numeri, che ogni previsione sia un azzardo…la scuola è un caso eclatante.
Il ritorno a scuola di gennaio è al solito avvenuto a suon di quarantene e didattica a distanza (Dad). Le stime sul rientro in classe fornite dal ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, sono state ritenute da molti – sindacati in primis – parziali e scarsamente affidabili. Tuttavia, per il governo il bilancio della prima settimana di scuola del 2022 è stato positivo, con pochi studenti in quarantena.
In particolare, sono stati i presidi a contestare i numeri e, soprattutto, a richiedere semplificazioni per le regole riguardanti tamponi e quarantene, dopo che la gestione dei positivi nelle classi ha creato confusione alla ripresa delle lezioni post-natalizie, per la troppa burocrazia e una giungla di disposizioni regionali diverse.
Il governo ha pertanto pensato ad interventi che potrebbero essere applicati a breve. In tal senso, per le scuole elementari, potrebbe essere introdotta una distinzione tra studenti vaccinati e non vaccinati. Ipotesi di nuove regole anche per i tamponi alle superiori. Forse, nuove indicazioni sulla gestione dei casi positivi a scuola, anche alla luce dell’elevato numero di contagi di alunni.
Ma, allo stesso tempo, assunzioni ferme: le cattedre si svuotano, per altri motivi strutturali, aldilà della decimazione dovuta ai contagi. La Dad non basta: presidi, altrimenti costretti a tornare a insegnare, a mettere sui social appelli per assoldare supplenti, introvabili dai provveditorati. In alcuni casi, è stato addirittura chiesto ai genitori di sostituire gli assenti.
Perdipiù, gli psicologi ripetono sempre che la Dad, ossia il non recarsi degli studenti a scuola, ha un impatto emotivo fortissimo sui ragazzi; ne condiziona l’educazione e lo sviluppo e crea ineguaglianze; oltre ad avere, questa è la voce del padrone, per le categorie datoriali, conseguenze economiche visto l’impatto sul lavoro dei genitori, in termini di minor rendimento.
Una soluzione al problema verrebbe dagli igienisti ambientali, quasi mai ascoltati, per i quali sarebbe fondamentale insistere sull’areazione dei locali. Secondo altri pareri competenti, bisognerebbe inoltre incentivare la quasi istantanea procedura (da fare anche a casa e ripetuta a intervalli brevi) per l’autotest di inizio e fine isolamento in caso di positività sul Fascicolo sanitario elettronico, grazie all’uso di tamponi rapidi antigenici, tra quelli autorizzati disponibili in farmacia, nei supermercati e nei negozi di vicinato. Lo stop alla didattica in presenza si ridurrebbe tra il 70 e l’80%.
È dunque uno scenario in continua e confusa evoluzione, ma non è forse arrivato il momento di normalizzare questa pandemia partendo dal basso, dalle fasce d’età più giovani che fortunatamente non presentano importanti problemi clinici dall’infezione con Sars-CoV-2?
Quanto si legge oggi di questo quadretto incerto potrebbe risultare del tutto variato al momento della pubblicazione del presente articolo. Tuttavia, un fatto è abbastanza chiaro: la situazione è praticamente quasi solo nelle mani di coloro che agiscono sul campo, della loro scienza e coscienza, della loro buona volontà e delle loro azioni concrete, seppur piccole e umili.
Questo vale per i docenti che, da un giorno all’altro, hanno inventato la Dad, tra difficoltà enormi e penuria di mezzi, alla ricerca di una saggia integrazione fra virtuale e reale, mentre le scuole son rimaste chiuse per mesi!
E tutto ciò va pure elogiato come atto creativo. «Homines dum docent discunt» (Gli uomini mentre insegnano, imparano. Seneca, Epistulae ad Lucilium, 7). Insegnare è un verbo bello e pretenzioso. Bello per il riferimento al compito di educare, favorire la crescita culturale, la maturazione di un individuo. Pretenzioso perché a ben guardare rimanda ad un compito straordinario, che richiede competenze ed energie molto grandi.
E, come affermava Seneca, non può mai prescindere dal complementare imparare, ovvero anche dalla consapevolezza che mentre si insegna a qualcuno si può contemporaneamente imparare qualcosa da lui.Questa volta, un lui, fatto di sguardi oltre uno schermo, intrinsecamente rappresentato anche dalla rottura di vecchi schemi didattici per far spazio all’inesorabile novità del momento. Un lui che si è posto a fondamento di un nuovo approccio agli antichi problemi dell’arte pedagogica.
Se non fosse stato per l’incredibile dedizione al ruolo che dirigenti, insegnanti, Ata e personale tutto hanno profuso, la confusione di procedure subite dal comparto avrebbe creato una completa paralisi delle attività. E, soprattutto, sono stati essi a continuare maggiormente a credere nella scuola come agenzia che forma i cittadini e i lavoratori del futuro.

Antonio Rossello


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A. Rossello

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