Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Savona inedita/Origini e sviluppo dell’urbanistica. Non è di epoca romana, bensì preistorica. E del tessuto medioevale resta a malapena un 20%


Parlare della prima forma del tessuto urbano di Savona significa parlare del Priamar, la fortezza visibile ancor oggi, nella sua veste seicentesca, fra il porto e la città. Su questa altura va collocato il primo insediamento della futura Savona già dalla media età del bronzo.

di Gian Luigi Bruzzone

Né il fatto stupisce per la conformazione stessa del territorio: l’altura infatti, di natura rocciosa, era quasi totalmente circondata dal mare ed unita alla terraferma tramite una sottile lingua di terra. Appare evidente, pertanto, l’importanza strategica e la relativa facilità nella difesa tanto da eventuali aggressori da terra, quanto dal mare.

Il toponimo Priamar ebbe vari tentativi di spiegazione, ma nessuno ci sembra del tutto convincente. Forse quello meno astruso potrebbe essere priama, ossia petra mala (in latino) per indicare la cattiva qualità della roccia, friabile e di scarso utilizzo pratico nell’edilizia.

Anche il nome di Savona rappresenta un problema linguistico, poiché nutriamo qualche dubbio circa l’ipotesi ricordata da Giovan Vincenzo Verzellino (1562-1638), storico seicentesco considerato il più grande di Savona e dai cronisti anteriori della città, che traesse il nome da Sago, capitano cartaginese il quale dopo aver distrutto la flotta romana, avrebbe riedificato la città di Savona, avversaria di Roma, al contrario di Genova.

Di sicuro Tito Livio, grande storico romano, menziona: Savo, oppidum alpinum (Ab urbe condita, XXVIII, 46) al tempo della seconda guerra punica, ossia nel 205 a.C., allorché Magone fratello di Annibale distrusse Genova e depose il bottino a Savona, dove aveva stabilito il quartiere generale.

Da quanto accennato tuttavia appare evidente che l’insediamento savonese non risale ad  epoca romana, bensì è preistorico.

Com’era il tessuto urbano dell’ antica Savona? gli scavi archeologici di questi ultimi decenni, quando la fortezza cioè fu dismessa dall’amministrazione militare, hanno offerto parecchi reperti e molte notizie, ma certo una pianta tipografica precisa non possiamo saperla. Ma se era un centro dei Liguri Sabates, ossia Sabazì, anzi la loro capitale – se il termine è lecito – avrà avuto un aspetto squisitamente difensivo, disposto con finalità difensive. Era vero insediamento però, non soltanto sede militare, poiché la pianura sottostante era caratterizzata da acquitrinii e pericolosa per il regime torrentizio del fiume oggi chiamato Letimbro. Inoltre sotto l’Acropoli del Priamar, sebbene non vi fossero moli né altre strutture portuali – per quanto conosciamo – l’approdo risultava facile e sicuro in pressoché ogni stagione, essendo protetto dal vento libeccio, notoriamente pericoloso alla navigazione soprattutto d’allora.

A poco a poco la pianura sottostante fu costruita spontaneamente: oltre alla posizione strategica, Savona aveva l’approdo appena menzionato e non era troppo lontana dalle terre piemontesi, tramite il valico di Altare. Nasce il traffico, si sviluppa il commercio: lungo il tragitto si costruiscono le case e locali di deposito, di artigianato, di commercio.

Quasi certamente il tessuto urbano di Savona al tempo dello Stato Romano non conobbe sviluppo, ma rimase modesto se non addirittura retrocesse. La spiegazione è semplice: la nuova via romana deliberata dal console Emilio Scauro (chiamata impropriamente Via Aurelia) nel 109 a.C. passava dal valico di Altare o dal colle di Cadibona e scendeva verso ponente nella piana di Vado Ligure, latinamente Vada SabatiaL’oppidum  di Savona restò fuori dal tracciato e si capisce che codesto isolamento provocò un’ inevitabile decadenza.

Stando così le cose l’impianto urbano non conobbe sostanziali mutamenti, se non un progressivo abbandono e del crollo di alcune sue parti, fino agli ultimi tempi dell’impero romano. Allora lo sfacelo della compagine statale e le incipienti scorrerie barbariche resero di nuovo appetibile e desiderato il vetusto promontorio abitato dall’epoca preistorica. Nella bassa antichità e nell’alto medioevo il Priamar ebbe gli edifici più importanti e rappresentativi della vita sociale: la cattedrale, l’episcopio, il castello, l’ospedale, una dozzina di oratori, tipici della religiosità ligure per molti secoli.

I reperti archeologici confermano quanto prospettato: se dei ‘secoli ruggenti’ romani non si trova quasi nulla nel Priamar, i reperti abbondano (a cominciare da un sepolcreto) fra il quarto ed il settimo secolo, appunto quando fu di nuovo sede ambita e sicura. La caduta dell’impero romano, l’avvento del dominio bizantino, la terribile scorreria di Ròtari – durante la quale Savona fu distrutta, almeno in parte – non cambiano tuttavia l’urbanistica dell’insediamento fortificato. Il nucleo vescovile occupava l’altura meridionale del colle, là dove le case civili, circondate da mura affacciate su esigui carruggi, occupavano il rilievo centrale ed il restante spazio disponibile.

Verso il decimo secolo, divenuta Savona possesso degli Aleramici e considerata capoluogo marittimo della marca, acquisì l’importanza ulteriore e di conseguenza crebbero le costruzioni. Gli stessi signori discendenti di Aleramo costruivano il palatium,  non però sul Priamar, – sia perché difettava il posto,  sia perché la cittadella era di fatto vescovile – bensì sull’altura di Monticello che da allora rappresentò il secondo fulcro del tessuto urbano. Intanto emergeva il nuovo ceto mercantile, i savonesi come gli altri liguri rivierascaschi solcavano le acque del Mediterraneo e attraccavano nei porti di esso, ricavando benessere e ricchezze. In città comandava sempre più il populus vale a dire il ceto mercantile ed artigianale, cui s’aggiunsero a partire dell’età roveresca i banchieri.

Riflesso anche di codesta trasformazione politico sociale ed economica è il consistente incremento dell’insediamento cittadino nella pianura, peraltro modesta, adiacente al Priamar e al Monticello, da un lato affacciato sul porto, fonte di benessere per molte categorie di savonesi, dall’altro sulle vie di comunicazione verso il Piemonte. Periodo determinante per l’urbanistica cittadina, essendo destinata a mantenersi pressoché immutata nella sostanza fino all’800.

Come accennato, i fulcri della topografia urbana erano il castro del Priamar, il Monticello, la camminata dei marchesi. Relativamente poche le vie: la Chiappinata, così detta per essere lastricata di ciappe d’ardesia (oggi chiamata via Pia e via cardinale Mistrangelo) , la Fossavaria caratterizzata dalla presenza di fossi e di viridariì,  cioè giardini e orti, le quali tutte adducevano alla Cattedrale di Santa Maria. Pressoché assenti le piazze, ove si prescinda dalla Piazza delle erbe, dalla Piazza di San Pietro o del Brandale ed allo slargo di Santa Maria Maddalena, sul tracciato della via Chiappinata. Sui carruggi angusti e dall’andamento contorto incombevano le torri delle principali famiglie vecchie, ossia nobili, e nuove, ossia ricche per i traffici: lo storico Agostino Bruno ne contò 38, Filippo Noberasco una cinquantina. Torre degna di menzione perché colossale e libera al passo poggiando su tre coppie di pilastri massicci è quella del Brandale  (scheda I), nonché la Torretta (scheda II), superstite vestigia delle mura urbane trecentesche.

Com’è evidente, le mura testimoniano l’espansione dell’insediamento e dell’andamento demografico e per Savona si costruirono tre volte integre: la prima verso i secoli XI-XII, la seconda fra i secoli XII-XIII e la terza fra i secoli XIII-XV, non considerando prevedibili restauri ed adattamenti parziali nel divenire temporale.

Nell’età roveresca e poi con il Cinque e soprattutto col Seicento, nonostante la perdita dell’indipendenza ed il ristagno economico, si ebbe la costruzione di alcuni palazzi di famiglie abbienti, resa possibile con l’assemblaggio di più unità abitative medievali. Ne sono illustri esempi i palazzi Della Rovere  (scheda IV), Del Carretto, Pozzobonelli, Pavesi, Gavotti, Ferrero (poi Lamba Doria) e via enumerando. Anche l’architettura religiosa conobbe un discreto rinnovamento e basti segnalare la costruzione della nuova cattedrale (scheda V) sopra il complesso duecentesco francescano, del quale rimangono significativi elementi conventuali nell’odierno episcopio, oltre naturalmente che la cappella Sistina  (scheda III).

Si costruirono ex novo, fra  gli altri, l’oratorio di Nostra Signora dell’olmo in via Untoria e di rimpetto il convento della chiesa dei carmelitani scalzi, interessante modello di edificio sacro a pianta pressoché elittica (1664 – 70), come la non distante chiesa di San Filippo Neri dei Padri Scolopi, distrutta nel dopoguerra dal comune di Savona col pretesto che era stata bombardata, benché si potesse ripristinare. I francescani costruirono su piazza della Maddalena, nel cuore della città, una nuova chiesa di San Francesco per essere stato il loro primitivo complesso occupato dalla cattedrale e dall’episcopio, già s’è detto. Anche i Padri Gesuiti ricostruirono nel biennio 1714-16 la bella chiesa di Sant’Ignazio, oggi nota sotto il nome di Sant’ Andrea.

Arriviamo finalmente a metà ‘800. L’inaugurazione della strada ferrata con Genova nel 1868, col ponente nel 1872 e con Torino nel 1874, rilanciarono i traffici portuali alla grande, sorsero industrie rilevanti che richiesero una consistente mano d’opera; Savona fu meta di gente proveniente dall’entroterra, dal Piemonte e da terre più lontane ancora. Le mura trecentesche per cinque secoli rimaste sufficienti al modesto tessuto urbano abitato da poche migliaia di anime, furono demolite e la città si espanse con criteri urbanistici imitati da Torino, allora capitale del regno. Il piano regolatore del 1856 del 1864 fondato su isolate strade rigorosamente ortogonali, articolato sugli assi principali di via Paleocapa porticata e di Corso Principe Amedeo (oggi corso Italia) alberato, raddoppiò o triplicò la Savona medioevale, tutto sommato con un certo quale garbo e decoro. Un edificio di rilevanza architettonica di questo periodo è senza dubbio l’ospedale di San Paolo, innalzato verso il mare con dinanzi un giardino (scheda VII), ed il teatro “Gabriele Chiabrera” inaugurato nel 1853 su progetto di Carlo Falconieri , architetto messinese, ma ve ne sarebbero molti altri meritevoli di presentazione.

Va precisato altresì che alcuni edifici se architettonicamente modesti, risultano tuttavia memorabili per altre ragioni, come l’appartamento papale nel vescovado dove fu tenuto prigioniero il pontefice Pio VII negli anni 1809-12, o il Palazzo Del Carretto che ospitò nel 1522 Adriano VI con il corteo papale, o il Palazzo dei Conti Sansoni all’inizio di Via Pia, o la casa dei Brignole – Balbi (scheda VI), o villa De Mari (distrutta) dallo splendido parco, o il Teatro Sacco e così via.

Il secondo conflitto mondiale, con gli infami bombardamenti inglesi, dal cielo e dal mare, causò non soltanto centinaia di morti civili, ma anche squarci spaventosi nel centro storico a causa dei quali è rimasto irrimediabilmente ferito e sparito il volto millenario, come il rione su Piazza delle Erbe o su Piazza San Pietro o del Bradale. Alla vigilia del conflitto era già stato raso al suolo l’intero rione dei CassariSi stima che del tessuto urbanistico medioevale resti a malapena un 20%.

Dagli anni Cinquanta del Novecento la città si è sviluppata in modo piuttosto caotico ed avvilente, certo senza quel decoro riscontrabile nell’urbanistica ottocentesca. Si menzionano il più emergente intervento: la nuova stazione ferroviaria disegnata da Pier Luigi Nervi e poi i rioni che hanno aggredito Mongrifone, via Nizza, la Villetta, Valloria ecc.. In anni recenti si è intervenuto in maniera massiccia nella zona portuale: essendo morti traffici e commerci, come per quello di Genova, si cerca di passare al cosiddetto terziario. Le strutture più o meno avveniristiche, a servizio anche degli imbarchi per le mastodontiche navi da crociera, hanno introdotto servizi, ristoranti e luoghi di ritrovo per l’innanzi sconosciuti, tanto da mutare la frequentazione del sito, in particolare nelle ore notturne e nelle sere estive. Alcuni immobili hanno riscosso una discreta accoglienza dai savonesi, per altri non è stato superato un certo quale rifiuto, se non ripugnanza, come per il grattacielo ‘storto’, edificio indubbiamente di gusto opinabile e problematico per più ragioni.  Da più parti si sostiene che l’arroganza degli architetti e la disonestà dei politici costruirebbero dappertutto.

La torre del Brandale-  chiamata anche torreperforataper il motivo espresso nel testo, era al centro di un sistema difensivo. Poco dinanzi, dopo esigua piazza, si trovava la porta che dava sulla dogana e la piazzetta era affiancata dalla vetustissima chiesa di San Pietro il vecchio (trasformata in abitazione in età giacobina), a destra si ergeva la Porta Balnei e poco lungi altre torri. Fra la Piazza delle erbe (bombardata nel secondo conflitto mondiale),  e la piazzetta di San Pietro, verso il 1300 fu innalzato al palazzo della giustizia dove si radunava il consiglio ed in seguito risiedeva il Governatore della città nominato da Genova. La torre del Brandale, documentata già nel secolo XII, fu decurtata dai genovesi nel 1528 e ripristinata all’altezza primitiva di circa cinquanta metri l’anno 1931. E’ considerato uno dei simboli della città e d’altra parte pur con i vuoti provocati dai bombardamenti  il sito possiede ancora un fascino d’altri tempi.

La torretta – Questa torre di fronte all’imboccatura dell’antico porto, quasi fondale della lunga via porticata   Paleocapa, faceva parte della cinta muraria trecentesca della città. Quando furono demolite le mura, si conservò la torre con alcuni adattamenti; l’antico nome era torre di guardia, in seguito ebbe il nome di Leon Pancaldo (1488 circa-1538), navigatore compagno di Magellano, nato in una casa vicina. La torre, a pianta quadrata, con triplice ordine di archetti e gruppi di piccoli merli, presenta sul lato meridionale, cioè verso il mare, una grande nicchia con una statua marmorea di Nostra Signora della Misericordia scolpita da Filippo Parodi (1643 – 1702). Anche sul lato meridionale cioè verso il cosiddetto grattacielo, un’altra nicchia ospita una statua marmorea di Nostra Signora della Misericordia, celeste patrona di Savona apparsa la mattina del 18 marzo 1536.  Le statue sono corredate da un distico bilingue italiano-latino attribuito al poeta savonese Gabriello Chiabrera (1550-1638): In mare irato, in sùbita procella – invoco Te, nostra benigna Stella. La torretta è considerata un po’ il simbolo della libertà municipale conquistata nel Basso medio evo e più in generale della città stessa.

Cappella Sistina -Essa è affacciata sul primo chiostro di quello che era il convento di San Francesco dei frati minori conventuali. Ne volle la costruzione il Papa Sisto IV (1471-84), già  frate francescano di tale convento, in memoria dei suoi genitori l’anno 1481. Di fatto si ammira all’interno il mausoleo marmoreo di Leonardo e Luchina Della Rovere, pregevole scultura di Michele Giovanni de Auria risalente al 1490. La cappella di armoniosa architettura rinascimentale, fu trasformata nel biennio 1762-64 in chiesa rococò da Francesco Maria della Rovere (1695-1768), ultimo discendente dell’ illustre famiglia. Ma pensiamo che la nuova veste sia bellissima: stucchi, pittore, cupola, organo ed orchestra formano un insieme armoniosissimo e di una grazia squisita. Grazie a Sisto IV Savona, come Roma, ha la sua cappella Sistina.

Palazzo Della Rovere.–  Affacciato su via Pia e sulla piazzetta della Cattedrale fu commissionato nel 1493 dal cardinale Giuliano Della Rovere al chiaro architetto Giuliano da Sangallo. Essendo già formato e compatto il tessuto urbano, il Della Rovere acquistò parecchie proprietà e si dovette sviluppare la pianta del palazzo in profondità. Per Savona l’edificio rappresenta un unicum essendo l’architettura toscana avulsa dalla tradizione ligure per evidenti motivi. Il prospetto meridionale su via Pia, oggi immediatamente fruibile per lo sventramento successivo ai bombardamenti della secondo conflitto mondiale, è quello più notevole, severamente giuocata su lesene, architravi e cornicioni marmorei  su sfondo grigio della muratura. Suggestivo anche il duplice andito ed ingresso voltato a botte con lacunari, il cortile a forma di L., in parte porticato, e taluni interni che fanno intuire l’aspetto primitivo.

Divenuto pontefice, Giulio II (1503-13) donò il palazzo al nipote Francesco nel 1510. Il complesso è chiamato di Santa Chiara poiché, quando fu demolito il monastero delle Clarisse, esse acquistarono l’ampio palazzo e vi rimasero dal 1673 al 1798. In detto anno infatti le monache ne furono cacciate per le leggi antireligiose del regime giacobino e negli anni dell’impero francese fu sede del prefetto del dipartimento di Montenotte. Oggi è stato restaurato nel prospetto meridionale, ma l’edificio è di fatto abbandonato e inutilizzato o sotto-utilizzato da anni. Intanto il contribuente …paga. Ci ha sempre incuriosito l’assenza del timpano sul portale d’ingresso: che ospitasse l’arma roveresca reperita nelle acque del porto pochi anni or sono?

Cattedrale dell’Assunta- Quando l’acropoli del Priamar fu trasformato in fortezza dai genovesi con la conseguente distruzione dell’antichissimo insediamento, compresi la decina di oratori e la cattedrale (1542), a sede della nuova cattedrale fu utilizzata la duecentesca chiesa di San Francesco dei minori conventuali. Passati alcuni decenni, rivelandosi bisognoso di dispendiosi restauri, il tempio fu ricostruito in nuove forme aggiornate architettonicamente negli anni 1589-1602. Naturalmente ogni secolo aggiunse qualche cosa: la cupola ad esempio risale al 1848 su disegno del savonese Giuseppe Cortese, mentre la facciata neobarocca di marmo bianco risale al 1886 su progetto del toscano Guglielmo Calderini.  L’interno si presenta solenne e severo, nella pianta basilicale a croce latina con ampi transetti e tre navate. Il presbiterio con l’altare maggiore e le dodici cappelle laterali sono ricolmi di quadri, pitture, marmi ed altre opere d’arte di ogni secolo, comprese parecchie vestigia del vetustissimo duomo sul Priamar e della distrutta chiesa di S. Agostino dinanzi al porto.  Anche un semplice elenco occuperebbe uno spazio eccessivo. Di sicuro, a chi sappia leggere, il sacro complesso della cattedrale testimonia la storia della città.

La casa madre delle Figlie di N.S. della Misericordia.- Il palazzotto nella consueta tipologia della residenza patrizia o padronale di un tempo, si erge in Via del vento, a pochi passi dal centro urbano, ma nel contempo in positura appartata, dietro la così detta Commenda di S. Giovanni, vale a dire dietro la chiesa di S. Giovanni Battista (distrutta verso il l960) ed il complesso domenicano di San Domenico, oggi trasformato in residenza protetta. Almeno all’inizio dell’Ottocento apparteneva alla marchesa Francesca Brignole nata Balbi di Genova, la quale peraltro non ne usufruiva, possedendo evidentemente di meglio. Suor Maria Giuseppa Rossello (1811-80) fondata la Congregazione delle Figlie di N.S. della Misericordia l’anno 1837 nel modestissimo edificio chiamato della Commenda, perché un tempo proprietà dei Cavalieri di S. Giovanni detti di Malta, si vide presto in ristrettezza di spazio, la sua carità continuando ad ospitare bimbe e ragazze abbandonate. Al di là dell’orto si ergeva il palazzotto “a tre piani, che per la sua posizione ben esposta ed arieggiata tra ponente e mezzodì, parea quasi invitarle a promettere loro una abitazione assai più comoda”. Così scrisse nel 1885 il benemerito Francesco Martinengo. Le Figlie di Suor Giuseppa vi entrarono nel 1840 “alla stagione delle susine” e vi sono tutt’ora. All’interno aleggia sempre lo spirito della Rossello, e possiamo visitare la sua camera, lo studiolo coi libri, l’armadietto che nasconde l’inginocchiatoio e la grata dalla quale poteva vedere l’interno della cappella e parlare col Padrone di casa,  il salotto nel quale riceveva, la poltroncina con le ruote, necessaria negli ultimi tempi della sua laboriosa esistenza.

L’ospedale di San Paolo- Costruito su progetto di Carlo Sada (1809-73) negli anni 1847-52, l’ospedale dalle linee neoclassiche, bell’esempio di espansione urbanistica, ha subito un colpevole abbandono. Nella concezione dell’edilizia ospedaliera era all’avanguardia: la razionale pianta a pettine con quattro cortili aperti, così da permettere il soleggiamento alle sale di degenza. Bellissima la positura della cappella coronata di cupola, vero centro topografico e spirituale dell’edificio, accessibile da ogni piano, grazie alla presenza di acconce tribune, senza servirsi delle scale. [La cappella del nuovo ospedale di S. Paolo in Valloria sembra l’angolo delle scope]. Notevole anche il vano delle scale, tendente al maestoso. Nel 1928 l’immobile fu sopraelevato di un piano per l’accresciuto numero dei pazienti. Al contrario di quanto taluno afferma, il complesso si trova in buono stato statico e strutturale.

Si celebrò un convegno nell’ormai lontano giugno 1982 per evitare l’infamia della demolizione e per auspicare un congruo utilizzo di un così significativo manufatto. Dopo anni di abbandono, si sono iniziati lavori, ora sospesi, ripresi e finalmente ultimati.
Gian Luigi Bruzzone


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