Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Processi di mafia. Savona, l’avv. Francesco Ruffino condivide un post: prigionieri di un incubo


La vigilia di Ferragosto l’avv. Francesco Ruffino, professionista stimato e cognome assai noto a Savona (Non accettò la candidatura a sindaco la scorsa legislatura), in val Bormida e non solo,  ha  postato sulla sua pagina Facebook un intervento (processi di mafia) che può essere istruttivo e formativo.

Forse altrettanto utile aggiungere che la verità giudiziaria può essere diversa da quella reale e  che nei processi può essere condannato un innocente, ma anche assolto un colpevole. E chi ha seguito da cronista di giudiziaria, per 30 anni, preture, tribunali, Corte da’Appello, Cassazione, Commissioni tributarie, si è fatto un’idea, a sua volta, di cosa possa accadere con la giustizia in Italia, ieri come oggi. Dove la rincorsa alla prescrizione, ad esempio,  crea altrettante ingiustizie tra colpevoli, innocenti e vittime di reati. L’archivio savonese potrebbe rivelare tante storie dimenticate e rimaste nei cassetti.

A PROPOSITO DI PROCESSI DI MAFIA
di Gian Domenico Caiazza
presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane

Marco Sorbara, politico di spicco della Valle d’Aosta, viene arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa due anni e mezzo fa. Alle tre del mattino (chissà perché tutti gli arresti devono per forza avvenire in piena notte) la sua vita viene spenta, come la luce in una stanza con un semplice click. Oltre mille giorni tra carcere (molti mesi) e arresti domiciliari, questi ultimi negati per cinque volte dal GIP, nonostante per cinque volte vi fosse il parere favorevole degli stessi PP.MM.  Viene condannato a dieci anni di reclusione, ed ora assolto in appello “perché il fatto non sussiste”. Solo qualche settimana fa, una analoga odissea dell’orrore ci viene raccontata dalla vicenda giudiziaria di Antonio Caridi, arrestato e buttato al 41 bis come un sacco di patate per interminabili mesi, per poi essere assolto per insussistenza del fatto dal Tribunale di Catanzaro, nonostante una esorbitante richiesta di condanna da parte della locale Procura.

Come è ovvio, tornano alla mente vicende dello stesso, terrificante segno, da Mannino a Genovese a Cosentino, a decine di altri protagonisti magari meno noti, ma egualmente massacrati senza ritegno sull’altare della “lotta alla mafia”.
So che non è molto facile, di fronte a simili tragedie, dire qualcosa di nuovo o di meno che ovvio. Ma è ancora più difficile -se si è dotati di un minimo di coscienza umana e civile- doversi rassegnare di fronte alla constatazione di come esse non riescano in nessun modo a scalfire l’aura eroica di quelle inchieste, di quei processi, e dei magistrati che se ne rendono protagonisti e responsabili. È ben vero che la dialettica processuale prevede di per sé stessa tesi ed antitesi, valutazioni dei fatti e delle prove legittimamente differenti. E tuttavia a me pare semplicemente impossibile non comprendere come tra una richiesta di condanna a dieci o venti anni ed una assoluzione, tra la costruzione di una accusa di mafiosità -esterna, interna, poco conta ora- talmente eclatante da legittimare anni di privazione della libertà prima ancora della sentenza, e la sua demolizione perché quegli ipotizzati fatti “non sussistono”, esiste una voragine talmente smisurata, una costruzione dell’inferno in terra talmente spaventosa, da essere drammaticamente incompatibile con una invocazione distratta e perfino un po’ infastidita sulla natura dialettica del processo. Come a dire ai Sorbara di oggi, di ieri e di domani: c’est la vie, amico mio. Non possiamo aver smarrito fino a questo punto senso della misura e del limite, non possiamo continuare a coltivare con religioso fanatismo giustizialista una così indecente protervia.
Dunque, di fronte a simili tragedie, a vite maciullate con simile ottusa, indecente indifferenza, occorrerebbe avere la forza di aprire un grande, coraggioso dibattito civile. Nel rispetto, sia ben chiaro, dell’impegno civile e professionale di quanti, tra le forze di polizia e nella magistratura, impegnano la propria vita nel cruciale contrasto alla piaga della criminalità organizzata, ma nel non meno indispensabile rispetto dei diritti e della vita delle persone che vengono ingiustamente accusate, arrestate e magari condannate, prima poi di veder riconosciuta, sulle macerie ormai nemmeno più fumanti della propria esistenza, una ormai inutile innocenza.
E quel dibattito civile, indispensabile se abbiamo tutti rispetto di noi stessi e delle regole basilari della nostra convivenza, dovrebbe affrontare alcuni nodi cruciali, complessi, scabrosi, ma non più rinviabili. A partire dalla questione delle questioni, e cioè quella della responsabilità. È intollerabile che nessuno risponda, in qualsivoglia modo, di queste tragedie. Nessuno, in nessuna forma e per nessuna ragione. Non ne faccio questioni di persone, non mi interessano i nomi, ma -per fare un esempio- a voi pare normale che a quel GIP che per 5 volte (cinque!) ha negato a Sorbara addirittura gli arresti domiciliari, nonostante il ripetuto parere favorevole della Procura titolare della inchiesta, oggi nessuno possa dire né ai né bai? Nulla e nessuno, a nessun titolo. Nemmeno dirgli: magari per qualche anno ti occupi di questioni diverse. Nulla. Non è previsto dall’ordinamento, non è materialmente possibile che accada qualcosa, che qualcuno possa farne oggetto di una valutazione di professionalità. Ed ancora: visto che queste tragedie accadono quasi sistematicamente in quel terrificante buco nero, in quell’onnivoro mostro giuridico che è il “concorso esterno” in associazione mafiosa, forse sarebbe finalmente il caso di riaprire una riflessione forte e coraggiosa sulla natura indecentemente arbitraria ed indeterminata di quella fattispecie. Ed ancora: è possibile chiedere alle singole Procure, ma ancor più ai relativi uffici GIP, impegnati in quelle delicatissime inchieste di criminalità organizzata, un proprio bilancio -quadriennale, va!-  tra imputazioni e condanne, e più ancora delle detenzioni cautelari ingiustamente inflitte? Possiamo chiederlo, senza per questo essere additati con sospetto, come fossimo bestemmiatori in una cattedrale? Prima ancora che sentirci ingiungere di cambiare questa o quella legge perché attentatrice della “sicurezza nazionale”, troveremmo molto più sensato e doveroso che ci venissero raccontati e spiegati i perché ed i per come dei tanti Sorbara, dei tanti uomini e donne assolti dopo essere già stati ridotti a cadaveri, zombie definitivamente condannati, per fatti che “non sussistono”, a vagolare per tutto il resto della propria vita prigionieri del proprio incubo.
Il senatore savonese avv. Giancarlo Ruffino, con il presidente della Repubblica Francesco Cossiga in visita a Cairo Montenotte
E QUANDO PAPA’ GIANCARLO RUFFINO CANDIDATO AL SENATO
E SCRIVEVA  AGLI ELETTORI DEL SUO COLLEGIO
ARTICOLO DE LA STAMPA DEL 2016
1975 – ELEZIONI REGIONALI. LA SINISTRA HA STRAVINTO
E VA AL GOVERNO DELLA REGIONE


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