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Liguria e Basso Piemonte

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Vado Ligure, carbone killer, lotta continua


A Savona siamo all’inizio del processo per disastro ambientale e sanitario contro i manager della Tirreno Power – controllata della multinazionale francese Engie e dall’italiana Sorgenia – che gestivano i gruppi a carbone della centrale termoelettrica di Vado Ligure.

Renata Vela

L’impianto fu sequestrato l’11 marzo 2014, con una coraggiosa ordinanza del Tribunale di Savona, perché la Centrale a carbone, che rappresentava una minaccia immanente per la salute della popolazione locale, era gestita violando la legge (soprattutto mancava lo SME, sistema di misurazione delle emissioni). Esattamente quello che nel 2010 aveva denunciato il Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Savona, Ugo Trucco.

Siamo a Savona perché è fondamentale sostenere e amplificare l’azione delle sei Associazioni della società civile italiana, in particolare l’associazione locale di cittadini Uniti per la Salute, che dal 2007 si sono battute contro il potenziamento dei gruppi a carbone, riconoscendo l’esistenza di effetti nocivi per la salute, a volte mortali.

Siamo a Savona per non dimenticare che cosa è stata la tragedia di Vado Ligure – una centrale a carbone attiva per decenni all’interno di un centro abitato – come se nulla fosse. Val la pena rammentare che gli effetti di quella devastazione ambientale e sanitaria continueranno a mostrarsi con nuove patologie oggi latenti e crescita ulteriore di costi sanitari.

Siamo a Savona perché la Procura della Repubblica fino alla conclusione delle indagini nel 2015 ha fatto un lavoro encomiabile e all’avanguardia a livello internazionale, utilizzando modelli ambientali ed epidemiologici che hanno svelato l’eccesso di malattie cardiovascolari e respiratorie, conseguenza di come la società gestisse l’impianto violando numerose regole, purtroppo con la connivenza di molti pubblici ufficiali. Ora è cruciale che la stessa Procura, sotto gli occhi della società civile nazionale ed internazionale, agisca con forza in questo processo e creda fino in fondo che si possa sancire un importante precedente.

Siamo a Savona perché non sono a processo i tanti amministratori pubblici locali e regionali che avevano la responsabilità di controllare l’operato dell’azienda e non sono mai intervenuti malgrado le ripetute richieste di cittadini e medici. Addirittura alti dirigenti ministeriali avrebbero aiutato ad organizzare “una porcata”, come svelato da intercettazioni imbarazzanti pubblicate sui giornali nazionali.

Siamo a Savona perché questo processo è la continuazione ideale di altri procedimenti simili, quali quelli sulla centrale di Porto Tolle, precedenti giurisprudenziali importanti per il nesso di causalità tra le emissioni di una centrale termoelettrica a carbone e gli impatti sulla salute della popolazione; è giunto il momento che ci sia giustizia per le vittime di disastri e non solo protezione per le grandi corporation ed i propri manager, che regolarmente si nascondono dietro il ricatto dei posti di lavoro; i lavoratori sono consapevoli di essere le prime vittime?

Siamo a Savona perché i gruppi della centrale a carbone sono chiusi. Ma le richieste di giustizia per quello che è stato sono sempre vive, come la volontà della popolazione locale di avere una vera bonifica delle aree ed un futuro libero da nuove opere dannose imposte per l’interesse di pochi privati (un vizio che molte amministrazioni non sembrano aver perso). Speriamo che riparlando di questa vicenda, oggi dalle aule processuali, le tante vittime di questo caso emblematico di estrattivismo ai danni di territori e popolazioni prendano coraggio e alzino la loro voce nel chiedere giustizia.

Renata Vela


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