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Intervista/ Assemblea del Popolo della Famiglia: ‘Siam pronti alla morte’. De Carli: No a legge Zan


di Gianluca Valpondi

Carissimo Mirko. Si avvicina ormai la data dell’annuale festa nazionale del quotidiano La Croce e della concomitante assemblea nazionale del Popolo della Famiglia. Cosa ti aspetti da questo importante evento? A che punto è, del suo cammino, il Popolo della Famiglia?

Carissimo Gianluca, sì, ci stiamo avvicinando all’appuntamento dell’assemblea nazionale del Popolo della Famiglia, ed è un momento anche di festa per La Croce Quotidiano, che, ricordo a tutti, adesso è fruibile con tutti gli articoli in chiaro sul sito LaCroceQuotidiano.it e c’è la possibilità, da abbonati, di ricevere gli albi mensili de La Croce: cento e rotti pagine di approfondimenti sulle battaglie che da sempre portiamo avanti. Il primo, che s’intitola “Siam pronti alla morte”, parla proprio del nostro impegno a difesa della vita e contro la deriva dell’eutanasia. È un importante appuntamento. Siamo uno dei pochi movimenti che con costanza e con impegno cerca di sempre praticare una democrazia interna virtuosa e positiva. Sarà un momento ricco di contenuti. Io credo che in questo momento storico c’è un grande bisogno della presenza del Popolo della Famiglia e non è un caso che le testate giornalistiche nazionali, sia dei quotidiani cartacei che televisive, danno uno spazio inedito di presenza e di rappresentanza al nostro partito, che negli anni passati non avevamo. Forse perché – essendo gli unici che su temi decisivi come l’eutanasia, come la lotta contro la legalizzazione della cannabis e, fino a poche settimane fa, la battaglia contro il ddl Zan, che ha visto vincere il fronte del “no” a questo provvedimento – si riconosce un ruolo storico al Popolo della Famiglia, di essere cioè quel movimento che ha posizioni chiare e nette contro queste derive ideologiche. Sarà un’occasione importante per fare il punto sulla nostra mobilitazione contro il provvedimento che adesso è all’ordine del giorno: basta leggere i quotidiani, ci sono paginate continue sul tema della eutanasia legale in Italia.

Si fanno forzature, come sull’omofobia si sono fatte, attraverso sentenze di tribunale, attraverso procedimenti amministrativi – l’ultimo è dell’Asl delle Marche, che vuole introdurre il suicidio assistito, contravvenendo a una legge dello Stato, che lo punisce con la galera. E questo naturalmente avviene perché si cerca come sempre di non rispettare la via del voto parlamentare, ma di utilizzare mezzi subdoli e a latere della democrazia rappresentativa per portare a casa questi risultati da parte dei nostri avversari. Sono convinto quindi che sarà un’assemblea vivace, anche perché su questi temi c’è un forte sentimento di partecipazione popolare che avvertiamo dai territori, ed essendo l’unico movimento che ha una parola chiara, netta, precisa e non ambigua di un “no” alla deriva eutanasica in Italia e di un “no” ragionato, non ideologico, credo che in tanti, anche magari attivisti di altri partiti, potranno ritrovare nel nostro impegno una comunità interessante da vivere e a cui contribuire. Il Popolo della Famiglia credo che stia, col passare degli anni, assumendo quei connotati che già si evidenziavano dal momento della sua nascita, ovvero quello di non essere un partito tradizionale, ma di essere un partito legato a campagne di azione mirate su quei temi essenziali, che sono la ragion d’essere per cui è nato. Quindi non siamo un partito di tuttologi, che affrontano tutti i temi della politica nazionale. Siamo un partito che si occupa di tematiche specifiche e su quelle si batte e declina i temi dell’attualità politica partendo da un armamentario di valori che sono propriamente connessi alla dottrina sociale della Chiesa cattolica. Questo facciamo. E naturalmente il nostro impegno non è quello di costruire l’ennesimo partito che parla di mille problemi in maniera vaga, ondivaga, ambigua e poco dettagliata. Noi ci occupiamo dei temi essenziali: la difesa e la promozione della vita, la difesa e la promozione della famiglia, la difesa e la promozione dell’impresa famigliare come luogo attraverso cui dare forza, sostegno e sviluppo alla famiglia. Questi sono i temi cardine del nostro impegno e su questi decliniamo tutte le nostre prese di posizione.

È chiaro che siamo quello che si può definire un partito radicale alternativo al radicalismo di massa, cioè adottiamo quello che è il criterio di protagonismo politico tipico del partito radicale di Marco Pannella e di Emma Bonino e lo vogliamo trasmutare dentro a un campo d’azione diverso da quello dei radicali, che è quello del cattolicesimo impegnato in politica, che è quello di un’alternativa alle sinistre, che si può costruire solo attraverso una chiarificazione dei riferimenti valoriali che devono essere precisi, netti e non ambigui. Su questo noi giochiamo un ruolo secondo me storico e decisivo.

Certo. Quindi – e qui mi piace dare spontanea vivacità al nostro dialogo – il no allo ius soli non è una priorità del PdF? Del resto, non mi pare lo sia nemmeno per il Santo Padre, autentico interprete della dottrina sociale della Chiesa, che si è invece impegnato a promuovere, da maestro di morale e quindi di bioetica oltre che di fede, la campagna vaccinale contro il Covid 19, definendo il vaccinarsi un gesto di amore verso di sé e verso il prossimo e prescrivendo l’obbligo vaccinale in Vaticano, fatti salvi i casi di controindicazioni mediche accertate e certificate. Vaccino e immigrazione (con possibilità anche di un “meticciato” per tutti arricchente): due punti su cui la dottrina sociale della Chiesa del Papa e quella del PdF non collimano del tutto? E a proposito, che succede ai confini della Polonia coi profughi siriani, iracheni, afghani, libanesi…? Quale Europa vuole il PdF? Al netto delle sicuramente aberranti strumentalizzazioni ideologiche, papa Francesco ha comunque definito positivamente “buon samaritano collettivo” la reazione globale alla morte del nero George Floyd negli States. Anche in questo caso, non siamo un po’ lontani dall’aria che tira dalle parti del PdF? 

Ci siamo battuti sul tema della difesa dello ius sanguinis come elemento a cui fa riferimento il nostro impegno per la tutela della famiglia. Lo abbiamo detto in più occasioni: siamo convinti che il punto di riferimento normativo del diritto di famiglia, il diritto civile nazionale, sia quello del legame tra genitore e figlio, e quindi la trasmissione del diritto di cittadinanza passa appunto dal rapporto sanguigno di famiglia. È un valore che raccogliamo dalle nostre radici greco-romane-giudaico-cristiane e che va preservato e tutelato. È chiaro che dobbiamo andarlo ad integrare con forme che possano cercare di conciliare questo valore, che non va mutato in nessun modo, con il contributo che può arrivare da quei flussi migratori regolari che possono esserci nel nostro Paese, legati a uno sviluppo di globalizzazione che viviamo tutti i giorni da ormai più di vent’anni. In questo senso per esempio lo ius culturae, cioè legato a dei percorsi di integrazione con degli esami di lingua e di conoscenza delle tradizioni e dei valori del nostro territorio e una reale integrazione nel mercato del lavoro di coloro che hanno dimostrato di voler contribuire al bene della collettività nazionale, può essere un percorso a latere del principio caposaldo dello ius sanguinis, che va naturalmente mantenuto. Per quanto riguarda quindi il tema dell’immigrazione il Popolo della Famiglia ha posizioni molto chiare e ancorate alla Dottrina sociale della Chiesa e a quello che dice papa Francesco.

Andrea Riccardi

Per esempio guardiamo con grande stima e con grande attenzione e riconoscenza il lavoro di Andrea Riccardi e della sua realtà (la comunità sant’Egidio) che ha fondato e presiede, con tutte quelle che sono le iniziative dei canali di immigrazione gestita e organizzata per aiutare le vite dei Paesi più martoriati da conflitti e discriminazioni a livello mondiale. I canali umanitari, i corridoi umanitari, per intenderci. E quindi le parole del Papa sono molto chiare in questo senso; e noi le facciamo nostre, le sentiamo nostre, come quelle della dottrina sociale della Chiesa, a cui facciamo forte riferimento. Per quanto riguarda il tema dei vaccini, lo abbiamo sempre detto, senza voler alimentare una dannosa e pericolosa guerra ideologica tra pro-vaccini e contro-vaccini, che la posizione anche ribadita dal Pontefice è molto chiara, molto lucida e molto intelligente: il vaccino è la principale freccia al nostro arco per contrastare la pandemia e dobbiamo cercare di far ragionare, far riflettere le famiglie affinché si vaccini il maggior numero di persone per tutelare la salute di tutti, e soprattutto dei più fragili, degli anziani, in particolar modo, che sono le fasce più colpite dal Covid 19. In questo senso quindi le strade del PdF e del pontificato di Francesco collimano, naturalmente non sovrapponendosi, perché noi siamo figli di una cultura che è frutto di una piena laicità delle istituzioni, come De Gasperi ci ha insegnato. E quindi lo Stato fa le sue leggi, in un rapporto libero, ma autenticamente rispettoso con le istituzioni religiose; in questo senso guardiamo alla morale cattolica come faro che illumina la nostra ragione nel momento in cui andiamo a costruire provvedimenti normativi, che però non possono e non devono dipendere da orientamenti religiosi precostituiti. In questo senso, guardiamo a quanto succede anche in Polonia con grande preoccupazione. Abbiamo invitato tutti a seguire la mobilitazione promossa da Avvenire dei fari verdi accesi per ricordare coloro che soffrono, coloro che muoiono ai confini, soprattutto i bambini inermi, ai confini tra Polonia e Bielorussia, e sicuramente ci stiamo molto preoccupando per quanto riguarda la drammatica situazione di tanti che soffrono per una guerra di potere tra un regime, quello di Lukashenko, e il nostro contesto europeo, con la federazione russa che soffia su questa conflittualità.

Per quanto riguarda la vicenda di George Floyd, noi non abbiamo contestato l’esecrabilità dei fenomeni di razzismo che purtroppo nel mondo sono presenti, sono diffusi e vanno condannati, come in ogni circostanza – per razza, per sesso, per scelta di vita. Non ci appartiene l’ideologizzazione di questi fenomeni e il voler a tutti i costi uniformare la platea della collettività a dei gesti che vogliono andare a creare fenomeni ideologici attorno a battaglie di buon senso. Condannare il razzismo è una cosa, fare campagne per stigmatizzare tutto ciò che è contrario a un certo pensiero unico dominante è cosa ben diversa che contrastare il razzismo. Questo è il punto. Non mi appartengono campagne ideologiche, non ci appartengono campagne ideologiche nel merito perché non possiamo ad esempio definire l’Italia un Paese razzista; non lo è, i numeri lo confermano, i numeri dei casi di razzismo nel nostro Paese; e non possiamo andare a chiedere a tutto il Paese di fare flash mob quando una persona non se la sente sulla propria pelle di farli perché se non li fai vieni tacciato di razzismo. Ecco, questa è ideologia a buon mercato, che non ci appartiene. Ci interessa la sostanza, come Popolo della Famiglia, non l’uniformarsi ideologico, e siamo in campo come abbiamo sempre detto, contro ogni ingiustizia e contro ogni discriminazione. Per questo, al di fuori del contesto del Popolo della Famiglia, ho pensato assieme ad altri amici professionisti, in particolare nel campo giuridico, di creare una fondazione, il cui comitato promotore si insedierà a gennaio dell’anno prossimo, che si chiama “Pensiero è azione”, proprio tesa a difendere – promuovendo azioni culturali oltre che legali e di informazione pubblica – coloro che sono discriminati, dileggiati e offesi dal pensiero unico rosso-arcobaleno, che tante volte censura e dileggia chi non la pensa come coloro che sono i promotori delle principali linee di pensiero che i mass media promuovono oggi.

Non può esistere anche uno ius personae legato certo all’amor soli? Un amore cioè per la propria terra, per la propria patria, radicato nell’amore per ogni “cittadino del mondo”, come base per quell’amicizia tra i popoli della stessa famiglia umana che vive anche della riconoscenza intesa come il dolce dovere di chi è stato accolto con parità di diritti? Certo che c’è il sacrosanto diritto a non emigrare, ma non c’è anche il dovere di accogliere come concittadino e fratello in umanità chi può fecondarci con la sua cultura mentre viene da noi fecondato? Ad esempio, sulla gioia di trasmettere la vita, e di trasmetterla sempre e comunque, tanti extracomunitari non possono fecondare e scaldare il nostro inverno demografico da “sazi e disperati” (per citare il card. Biffi), non banalmente fornendoci le giovani leve che a noi mancano, ma proprio contagiandoci la loro spinta vitale, il loro non scindere genitalità e procreazione, anche – perché no? – “meticciandoci” con loro, e anche nella consapevolezza, a proposito di dottrina cristiana, che il Cristianesimo è in espansione proprio in Africa e vitale e vivo in tante realtà di Medio-oriente e Asia? O siamo forse troppo malati di occidentalismo, quell’ideologia che tra l’altro impedisce anche a tanti cattolici di vedere in papa Francesco una guida da seguire e non un “papa minore” da trattare con sufficienza? E pure, anche le battaglie centrali per la vita e la famiglia sostenute dal PdF non potrebbero avere un caloroso rinforzo da quei popoli che si oppongono a quelle che il Pontefice chiama colonizzazioni ideologiche? 

Sono convinto che bisogna contemperare i diritti, contemperare gli interessi in campo. È fondamentale una posizione equilibrata su queste questioni, non posizioni che pongano al centro una visione ideologica di parte. Mantenere il primato dello ius sanguinis significa mantenere al centro della impostazione giuridica a cui fa riferimento tutta la disciplina normativa del nostro diritto di famiglia, del nostro diritto civile, la famiglia come punto nevralgico, centrale; come oggi è. È naturale, ed è fondamentale anche questo, allargarlo a contesti nuovi, cercando appunto di non staccare il contesto del legame famigliare rispetto a quello del rapporto tra Stato e cittadino. Per cui, prova a pensare, Gianluca, quando viene una famiglia attraverso il processo migratorio nel nostro Paese e magari acquisiscono la cittadinanza solo i genitori o solo i figli, e nascono dei legami sfilacciati, proprio dovuti alla cittadinanza, tra i genitori, figli, nonni e nipoti. La cittadinanza è lo strumento con cui lo Stato riconosce un rapporto privilegiato con le persone che ne fanno parte, lo costituiscono. E quindi mantenere questo legame vivo, solido e strutturato, passando per l’intermediazione della famiglia, è fondamentale. Per cui condivido l’allargamento dello ius sanguinis a forme di partecipazione; l’amor culturae, cioè creare dei canali che accorcino i tempi dell’ottenimento della cittadinanza non per rapporto sanguigno, è sicuramente una strada da percorrere, premiando coloro che attraverso degli esami particolari, attraverso un percorso di impegno sociale e civile, attraverso l’inserimento nella vita del Paese, appunto, abbiano contribuito al bene collettivo attraverso la propria presenza su un suolo diverso da quello natio; senza andare a recidere però le loro radici perché è molto importante che si mantenga comunque sempre vivo un rapporto col paese d’origine. Vale per tutti, noi italiani compresi naturalmente. Perché una persona che non ha radici è una persona che non riesce a costruire un futuro solido per sé e per la propria famiglia, e la storia ce lo insegna.

Papa Francesco

In questo senso, l’insegnamento di papa Francesco ci aiuta molto e ci permette appunto di avere la possibilità di vedere anche attraverso quelle persone che provengono da continenti, paesi dove ancora il fattore famigliare è forte, un contributo interessante e importante per ravvivare anche in Italia quel necessario primato della famiglia che fa figli, che è l’unico nucleo fondamentale per poter creare e generare futuro. In questo senso quindi è molto molto importante il dialogo e il coinvolgimento nella vita sociale e nel protagonismo collettivo di coloro che vogliono in Italia, pur venendo da altri Paesi, dare una mano. Creare Panali per allargare lo ius sanguinis a tutte queste persone è un doveroso impegno che anche come Popolo della Famiglia dobbiamo favorire.

Ho idea che se l’Italia fosse un Paese autenticamente cristiano il problema dello ius soli non sarebbe un grosso problema, dal momento che il cristianesimo, quando è genuino, crea legami ancora più forti e ancora più promuoventi lo sviluppo umano integrale degli stessi legami famigliari, a volte francamente aberranti, basti pensare anche a recenti casi di famiglie che, pur vivendo in Italia, si sono contraddistinte per forme di maschilismo patriarcale di matrice fondamentalista-islamista, ma anche al concetto altrettanto aberrante di famiglia che contraddistingue il tessuto violento delle mafie. Se poi l’alternativa è il laicismo ateo, materialista, gaiamente nichilista, edonistico, individualistico e consumista o magari un certo clericalismo, fatto di mondanità spirituale, fintamente e ipocritamente cristiano, direi che non andiamo molto lontano. Che ne pensi? 

C’è un problema di riconoscimento delle proprie radici; ce l’ha detto a gran voce san Giovanni Paolo II quando ci fu il dibattito per la Costituzione europea, che saltò, non si trovò l’accordo proprio sul riconoscimento delle radici greco-romano-giudaico-cristiane, e tutt’ora il dibattito è decisamente aperto. Il Cristianesimo è fonte di apertura all’accoglienza dell’altro e all’accoglienza dell’altro attraverso un’esperienza di comunità che permette di costruire futuro senza recidere il passato. Sicuramente il problema non è la forma giuridica con cui costruire futuro e con cui rendere possibile un rapporto di cittadinanza nuovo a persone che non sono nate da cittadini italiani. Il problema è darci delle regole che consentano di far abbracciare i valori che sono il frutto della nostra storia a persone che vengono da tradizioni diverse. Per esempio, il mondo islamico, come ci ha insegnato il card. Biffi, ha un rapporto con la violenza che è un rapporto inadeguato ed è un rapporto diverso dal nostro e inaccettabile per chi come noi promuove la carta universale dei diritti dell’uomo del ‘48. E anche la nostra carta costituzionale in tal senso parla molto chiaro. Per cui servono percorsi, percorsi differenziati, che valorizzino coloro che hanno un amor culturae vero e proprio nei confronti della nostra terra, che abbraccino i nostri valori e che contribuiscano al bene collettivo, e un forte rigore attraverso un’applicazione rigida e netta dello ius sanguinis rispetto a coloro che vogliono venire nel nostro Paese per continuare a portare avanti pratiche e disvalori che non appartengono alla nostra storia e alla nostra tradizione. Sicuramente l’alternativa del laicismo ateo, materialista e nichilista viene sconfitta nel momento in cui costruiamo percorsi che rafforzano un crescere del percorso di cittadinanza a nuove persone anche non nate da italiani che hanno una comunanza di valori propriamente connessa con le radici di cui parlavo prima.

Gianluca Valpondi


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