Durante le ricognizioni sul territorio, intervistando gli anziani, spesso e volentieri è emersa la leggenda del tesoro nascosto, spesso una giara, un pentolone o un vaso, pieno di monete d’oro, seppellito a suo tempo.
di Giuseppe Testa
La leggenda ha molti tratti comuni: sono stati i soldati francesi a fare bottino e, impossibilitati a portarlo con se, questo bottino veniva nascosto col proposito di recuperarlo a suo tempo. Qualcuno però moriva in battaglie successive, ed il tesoro era dimenticato per sempre.
Altri anziani giurano di avere incontrato recentemente persone straniere, con delle mappe in mano, che chiedevano indicazioni su località della zona. La leggenda l’ho riscontrata a Pian Marino, sulla Caprazoppa, a Monticello, a Perti, Le Manie, nella chiesa di San Giacomo sul Passo (qui era dentro la chiesa medievale oggi zona rifugio, e sicuramente vi era lo scavo) e da molte altre parti.
Nei pressi di San Giacomo si racconta che è stato seppellito addirittura un cannone, pieno di ori e gioielli, poi nascosto in una grotta. La storia è sempre la stessa: chi la racconta aggiunge che da sempre frequentava quel posto, o si sedeva su una pietra, o pregava davanti ad una cappelletta e poi, un giorno, ha trovato uno scavo con una forma che indicava la (ormai mancata) presenza di un contenitore. Ognuno era sempre stato vicino al tesoro, senza saperlo! Emerge da queste storie il desiderio ed il sogno della povera gente di sfuggire, grazie al tesoro, alla miseria della vita nei campi, e la rassegnazione alla condanna che ciò sarà sempre impossibile. Rimane lo stupore e lo sconforto di avere sfiorato la ricchezza: saranno altri a trovare il tesoro.
Oltre ai pentoloni nascosti voglio citare anche due storie un po’ diverse di tesori. Dentro il “Castello Loccella” a Calvisio (vedi foto) vi era un affresco con la Madonna, il cui sguardo puntava per terra in un luogo strano. Alcuni bambini di allora (oggi ottantenni) decisero che la Madonna indicasse il tesoro ma… lo scavo, dentro la corte della costruzione, non diede frutti.
Altra leggenda (citata in altro articolo) narrava di un tesoro in una grotta di Vezzi, difeso da un terribile basilisco: chi lo avesse sconfitto avrebbe recuperato il tesoro. Nel 1700 circa la grotta (oggi cappella rupestre, detta “della Madonna della Rocca degli Uccelli”), fu tamponata con un muro e realizzato un affresco. In seguito, alcuni cercatori di tesori, incuranti del sacro dipinto, hanno sfondato il muro e… non sappiamo se sono diventati ricchi!
Ho documentato nelle mie interviste molte altre storie di tesori sfiorati. Naturalmente se qualcuno lo avesse trovato non lo avrebbe mai ammesso, e lo capisco. E’ anche vero che in tempi senza banche e cassette di sicurezza, i contadini nascondevano le poche cose in giro, nei momenti di pericolo. Cose che qualcuno può trovare, come è successo a me, in una zona disabitata dell’altopiano di San Bernardino. Abbandonato il sentiero, e addentratomi nella macchia alla ricerca di funghi “ruscin”, frugando col bastone è emerso un cofanetto di gioielli e collane. La mia gioia si è spenta subito, in quanto mi sono accorto che era bigiotteria ed anche di pessima qualità, seppellita fuori mano nel bosco chissà da quanto tempo. Chi può averlo fatto e perché è un mistero: forse volevano fare uno scherzo, ma erano anche quasi nulle le probabilità che qualcuno potesse rinvenire questo “tesoro”. Lì lo ho lasciato, per il prossimo beccaccione che, come me, ci abboccherà.
erò devo ammettere che due pentoloni li ho trovati! Zappavo nei pressi di casa mia quando ho urtato qualcosa: col cuore in gola ho visto l’imboccatura di una giara: oggi l’ho recuperata e usata in giardino). Dopo avere scavato ed averla estratta, l’ho svuotata ed era piena di… terra! Il mio convincimento, avvalorato da testimonianze raccolte da altre persone, era che i contadini che possedevano stalle con i maiali sistemavano i servizi igienici sopra le stalle: popò e pipì finivano nel pantano degli animali che la riciclavano. Se questi non c’erano, i bisogni venivano fatti in aperta campagna, poco distanti da casa (per consentire un po’ di privacy), in una giara, o contenitore simile. Quando era piena si svuotava e si concimavano le colture: in campagna non si buttava via niente! Quindi la giara non conteneva oro ma … cacca! Dovrebbe portare fortuna anche questa.
In questi giorni ho ritrovato una seconda giarain un sito agricolo ormai abbandonato. A giorni la recupererò: se c’è il tesoro ve lo farò sapere ma, per l’esperienza che ho già fatto, la storia …puzza! Io mi accontento di recuperare la giara, anche se quelle usate per quello scopo erano venate e danneggiate. Questa infatti presenta l’imboccatura rotta e malamente incollata con cemento (vedi foto). Essendo questa di dimensioni ridotte, formulo l’ipotesi che, piena d’acqua, poteva mantenere al fresco l’immancabile bottiglia di vino del contadino. Oggi il vino è un vezzo, vista l’abbondanza dei cibi disponibili. Anticamente era soprattutto una fonte calorica, in una dieta povera, che potesse dare energia a chi (come anche i muratori), svolgevano mansioni faticose.
Giuseppe Testa
PS- Notizia curiosa, ma non me ne vogliano quelli di Pia: ogni rione aveva un soprannome “ingiurioso” da parte degli uomini degli altri quartieri. Siccome a Pia per questa pratica di raccolta feci e urine si usavano i garosci rotti o danneggiati, ed ormai inservibili (ripeto, in campagna non si butta niente), la definizione “Garosci” sarebbe da intendere non tanto per i contenitori in se, ma anche riferito all’uso finale che se ne faceva, paragonabile alla definizione “latrina”.