Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Le domande di Bertoldo e gli allocchi 2.0. Coppie omosessuali e benedizione ‘breve’. Vanacore e i senza cuore e pudore


Ogni giorno una nuova notizia testimonia lo scorrere della vita. Bertoldo, come tutti, legge, ascolta, discute e, non potendo interrogare gli  altri, interpella sé stesso, nell’attesa di risposte che magari verranno domani o, forse, non arriveranno mai.

di Filippo Maffeo* 

Procediamo con ordine.

  1. Allocchi, balocchi ed Il pan d’oro.

    Li noti. Hanno l’occhio appannato, inespressivo, stanco, stressato dall’uso compulsivo degli schermi del telefonino, del tablet, del laptop, del desktop PC.; hanno un occhio di colore uniforme, indefinibile; il loro sguardo è perso nel nulla e questo dettaglio potrebbe indurre qualcuno a pensare che siano poco intelligenti. Sarebbe un grave errore, un’ingiustizia odiosa, come quella commessa contro l’allocco (uccello notturno, gufoide) , che è un formidabile e scaltro predatore. Eppure lo sguardo spento dell’allocco ha dato origine ad un equivoco di successo, tanto da generare il modo di dire “è un allocco”, con la trasformazione del nome dell’uccello in un aggettivo che sta a significare citrullo, tonto, sciocco et similia. No, l’occhio spento di costoro è solo la normale e fisiologica reazione all’uso compulsivo degli schermi retroilluminati; gli occhi incollati per ore su schermi televisivi etc. si asciugano, la normale lacrimazione, che serve a mantenere umida e pulita la superficie della cornea e della congiuntiva, si inceppa, rallenta e l’occhio soffre. E lo sguardo si spegne. Non sono sciocchi, hanno soltanto lo sguardo inespressivo dell’allocco (uccello); sono gli allocchi 2.0. Ad onta dell’occhio sono svegli, intelligenti e spesso iperattivi.
    Cliccano freneticamente, pigiano sulla tastiera, chattano, twittano e ritwittano mandano e ricevono mail e screenshot. Leggono, si informano, apprendono. Tanti compulsano, a milioni, fedeli, i post dell’influencer preferito-a e si fanno condizionare, senza rendersene ben conto. Realtà virtuale e realtà vera diventano per loro un tutt’uno. Il “metaverso” e il mondo concreto, uno a lato dell’altro, hanno portoni (e portali) di comunicazione con porte girevoli, esci da uno ed entri nell’altro; sono, per loro, sovrapponibili, quasi indistinguibili.

    Avviene così che una bionda fatina mangi, a favor di telecamera, una fetta di Pandoro e si porga, benevola, allo sguardo degli allocchi 2.0. Col pandoro, che, leggiadra, sbocconcella, li porta nel mondo delle favole e dei balocchi, fatto di belle ed insinuanti immagini, che stimolano la fantasia. A quel punto l’allocco 2.0, pur intelligente e preparato, viene coinvolto nel gioco e, con le difese attenuate, finisce per fidarsi; confida che mai potrebbe mentire una persona col volto angelico (i truccatori ed il gioco delle luci fanno miracoli), i biondi e lunghi capelli, gli occhioni ben in evidenza, le grandi ciglia, la bocca armoniosa, abbigliata col vedo e non vedo ed accessori di gusto. L’allocco passa dal verso al metaverso, dalla veglia al dormiveglia; si fa convincere. La belloccia filiforme accenna ad opere di beneficenza e l’allocco 2.0 entra nel mondo del balocco, quello nel quale il pane è sostituito con il pan d’oro. Prende la decisione nel metaverso (dove tutto si vede e nulla si tocca), rientra nel mondo reale (dove tutto è concreto e tangibile) e si fionda a comprare il pan d’oro proposto, senza preoccuparsi del prezzo (il triplo di quello consueto), perché piace alla bella fatina e perché, acquistandolo, fa del bene. Non si cura l’allocco 2.0 del prezzo che paga e neppure si chiede il sovraprezzo è congruo e quanto del maggior prezzo andrà ai bimbi gravemente malati, asseritamente destinatari della beneficenza, quanto all’ influencer e quanto al produttore del soffice dolce. Non si fa domande, non si chiede se è beneficenza vera o pelosa; mette mano al portafogli paga con la carta di credito perché dà credito alla favola bella. Bertoldo osserva, prende nota e si chiede perché mai questo accada in assenza di norme che impongano la chiarezza necessaria. Beneficenza? Bene, quanto prenderà l’influencer, quanto l’industria e quanto i destinatari? Perché il consumatore viene abbandonato a sé stesso? E’vero che lo Stato non può diventare il difensore di tutti i grulli, ma una leggina, tra le tante, potrebbe pur scriverla, magari prevedendo nuove sanzioni penali e inasprendo quelle già esistenti in tema di pubblicità ingannevole o truffe, per difendere meglio i consumatori contro i disegni sopraffini delle fervide menti dei “creativi” della pubblicità. Perché lo Stato si distrae? Perché mette tasse su ogni cosa ( anche sull’aria, chissà, mai dire mai) e trascura il fatto che tanti influencer, che in Italia operano, ciamano e rastrellano, hanno la sede fiscale in Dubai egli influenzati (da virus) affollano le astanterie dei pronto soccorso? Questo si chiede Bertoldo.

    E si consola rileggendo la canzone CXXVI (126) del Canzoniere di Petrarca: “Chiare et fresche et dolci acque ,ove le belle membra pose colei che sola a me par donna…….” E pensando a Laura, descritta come bellezza angelica, delicata, leggiadra, sofisticata ed elegante, tanto da farla sembrare irreale.

    Laura, che incantava il Petrarca e non faceva beneficenza usando il Pan d’oro.

  1. Le coppie omosessuali e la benedizione “breve”

    Conosciamo tante forme di brevità. La lectio brevis, che a scuola, rallegra; dura poco ed anticipa le vacanze. Le “vie brevi” che inquietano, per la violenza che richiamano. Il breviario che attrae, per la sintesi e la rapidità, al pari dei Bignami. Il segmento, la linea più breve tra due punti; la brevitas della poesia neoterica.

    In questi giorni giganteggia nella cronaca la “benedizione breve”, quella che la Chiesa “nuova” dovrebbe dispensare alle coppie omosessuali. Breve, della durata di pochi secondi, scrive il nuovo Sant’Ufficio. Quando si può dire che una benedizione è breve? Dopo due secondi o cinque o dieci o venti o ancora di più? E’ venuto in nostro soccorso Il Cardinale Fernandez, nuovo dominus dell’ex Sant’Ufficio, che ha spiegato che è “breve” è la benedizione che dura 10-15 secondi. Quindi l’officiante dovrebbe munirsi di un cronometro o di un contasecondi preciso. Epperò, per esperienza di tutti, le benedizioni solenni, come quella impartita dai Pontefici nella Domenica di Pasqua, durano molto poco, il tempo di pronunciare le parole: “Ego benedico vos in nomine Patri, Filii et Spiritus Sancti“; parole che possono essere dette in 3-5 secondi. Quindi la benedizione “breve” dovrebbe durare il triplo di quella solenne. E che dire della “postilla”, sempre del Sant’Ufficio, che chiarisce che non muta affatto la nozione canonica di “matrimonio”? A prima vista è del tutto inutile, perché tutti sanno che una semplice benedizione mai potrebbe avere un effetto equivalente al matrimonio, che richiede una forma specifica e ben normata; non sembra, poi, inutile ricordare che il matrimonio canonico è l’unione tra una donna ed un uomo e richiede una ritualità precisa; si può anche evidenziare
    che il vincolo è, tendenzialmente, indissolubile, vale per l’intera vita ed sono necessari, a monte, il consenso, frutto la libera volontà, dei nubendi e la finalità della procreazione e, a valle, la consumazione. Questo è il matrimonio della Chiesa Cattolica, da sempre professato ed elevato a sacramento dallo stesso Gesù, come unione fondamentale e qualificante, tesa al raggiungimento della grazia divina. Un vincolo di questo genere non può certo essere assunto in una celebrazione che si esaurisce in una benedizione di pochi secondi. Se questo è il matrimonio cattolico, da sempre, ci si deve chiedere perché l’ex Sant’Ufficio ha avvertito l’esigenza di precisare che la “benedizione breve” non è matrimonio. Non era necessaria, è ribadisce l’ovvio. Necessario era invece, ed è, capire se e come la “benedizione”, sia pure breve, incide sulla valutazione religiosa delle pratiche sessuali, delle relazioni ed addirittura della convivenza tra persona dello stesso sesso. E’ ancora un peccato o non lo è più, posto che la “benedizione” di un peccato (e dei peccatori che insistono nella condotta peccaminosa) non è ammissibile. E’ ancora peccato- anche se il Cardinale non si sofferma sul punto; lo ha affermato l’ex Sant’Ufficio recentemente ed in precedenti pareri; lo ha ribadito lo stesso Papa in carica, il quale, però, ha ritenuto di dover contestualmente precisare che l’omosessualità è sì un peccato, ma non è un crimine. E così cresce lo sconcerto di Bertoldo e di quanti pensavano che la qualifica di una condotta come crimine spettasse allo Stato laico, e che, per contro, soltanto l’Autorità religiosa può solo pronunciarsi in materia di violazione di regole della morale religiosa. “Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” (art. 7 della Costituzione); il primo, lo Stato, individua i crimini e fissa le relative pene per in caso di violazione, la seconda, la Chiesa, si occupa dei peccati, vale a dire della violazione delle proprie regole morali e religiose, fissando le sanzioni di carattere religioso. L’omosessualità, peraltro, è considerata crimine in un terzo circa degli Stati al mondo, quelli l’Islam impera, ed è sanzionata, talvolta, persino con la pena di morte. Che il Papa volesse indirettamente criticare la religione islamica e gli Stati che ad essa si ispirano in tema di repressione dell’omosessualità? Tant’è. Eppure questo Papa tutto sembra tranne che un papa re. Per concludere: sbaglia il cardinale Gerhard Ludwig Mueller, teologo e già a capo dell’ex Sant’Ufficio, con Benedetto XVI al soglio pontificio, quando, con sincerità e candore cristiano, afferma che la “benedizione breve”, non liturgica, è soltanto una “trovata” gesuitica? “Anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto ad una certa età“, cantava Lucio Dalla; gli artisti, si sa, sono tali quando riescono, con una semplice battuta, a descrivere una realtà complessa.

    Bertoldo gradirebbe lumi; nell’attesa mestamente constata che le benedizioni, anche quelle, non sono tutte uguali.

  2. Vanacore e i senza cuore e pudore

    Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, recita un noto broccardo. E, rovesciando il principio, quelle dei figli non dovrebbero coinvolgere i padri. Nella vicenda della ragazza di Roma, uccisa a Roma trent’anni fa da mano sconosciuta, questa regola è stata violata. Il padre avrebbe pagato, sia pure a livello di sospetti e di processi, per le malefatte del figlio. Avrebbe, perché anche il figlio non è colpevole ed anzi, a differenza del padre, il processo non lo vedrà -verosimilmente, ma non sempre le decisioni della dea bendata sono prevedibili- neppure da lontano, perché l’informativa dei Carabinieri ed i loro sospetti hanno preso (dovrebbero prendere) direttamente la strada dell’archivio. A carico del figlio non ci sarebbero elementi tali da giustificare il processo, ritiene il P.M. competente; i Carabinieri sospettano il peggio contro il figlio, ma senza reale costrutto. Tot capita tot sententiae dicevano gli antichi e tra le varie opinioni prevale quella di chi formalmente può pronunciarsi per ultimo. Quella da lui affermata non è la verità storica; è solo la verità formale, rilevante solo a livello processuale. Tant’è. Ma il povero Vanacore figlio, con o senza condanna, da oggi sino alla fine dei tempi, porterà sul gobbo il peso del sospetto per un crimine infame. Bestia da soma, dovrà portare questo peso immane. Dovrà portarlo, senza neppure la possibilità di ottenere un indennizzo, nel caso dell’archiviazione che non eliminerebbe i definitivamente i sospetti ma darebbe qualche sollievo, almeno a livello economico. Dovrà subire l’infamia del sospetto, punto. La Kronaka, uber alles. Ma tutto questo, con questa tempistica, ha diritto d’esistenza in uno Stato che si dice “civile”? I Carabinieri, hanno seri sospetti che, verosimilmente, elevano al rango di indizi ed informano denunciando chi di dovere. Il P.M. è di contrario avviso. Fa parte delle regole del gioco. Ma tutto ciò non poteva restare, coperto dal segreto d’ufficio e dalla privacy, nelle carte del processo, al riparo dallo sguardo curioso di estranei? Ed invece dalle carte del processo il sospetto dei Carabinieri e la decisione del P.M. sono passati, dritti dritti, sulla carta dei giornali. E il primo giornale ad essere “avvisato” ha fatto lo scoop, con tutti gli altri relegati ad un affannoso inseguimento. Perché un giornale prima degli altri e di soppiatto? E’ andata così e Vanacore figlio, senza difese, subisce l’indiretto linciaggio mediatico, magari non voluto, ma certamente prevedibile. Davvero una notizia di questo genere, prima dell’avvio del processo, giustifica il male gratuitamente cagionato ad un innocente, allo stato, da uomini dello Stato, con il sovrapprezzo non certo irrilevante del clamore mediatico? E che dire dell’esperto, che, interpellato, come sovente avviene, da un giornalista televisivo, alla domanda :” ma può Vanacore Mario (il figlio ndr) essere l’autore dell’omicidio?”, risponde, sereno, che non sta a lui dirlo (evita di formulare ipotesi), ma, subito dopo precisa che c’è corrispondenza tra le caratteristiche dell’ignoto autore e quelle di Mario (pugnalate inferte con la mano sinistra, schiaffo con la sinistra etc). L’assassino ignoto era mancino, come Mario. C’è differenza? Come può concludere l’ascoltatore di media diligenza? Eppure tutti sanno, o almeno dovrebbero sapere, per dirla col Maestro Rossini, che all’inizio
    La calunnia è un venticello,
    Un’auretta assai gentile……omissis….
    Alla fin trabocca e scoppia,
    Si propaga, si raddoppia
    E produce un’esplosione
    Come un colpo di cannone,

    Un tremuoto, un temporale,
    Un tumulto generale,
    Che fa l’aria rimbombar.
    E il meschino calunniato,
    Avvilito, calpestato,
    Sotto il pubblico flagello
    Per gran sorte ha crepar.

    Già, crepare. E Bertoldo si chiede se e quanto il clamore ed il pubblico flagello abbiano inciso sul suicidio di Vanacore (padre).

  3. Parola d’onore

    I politici, come Bruto, sono uomini d’onore, degni di fede, anche perché la fiducia, di fatto, l’hanno ricevuta col voto. La fiducia nel politico, in democrazia, è un postulato, dal quale non si può prescindere. Se un politico fa un’affermazione, fino a prova contraria, anche Bertoldo deve credergli. Se ti permetti di essere scettico mini nel profondo le regole di convivenza. Se un Sindaco ti dice, con o senza sussiego, che ha a cuore la sicurezza dei cittadini, tutti devono credergli, anche Bertoldo. Ma può capitare che quel Sindaco installi un autovelox affermando che lo fa per ridurre gli incidenti stradali e non certo per fare cassa. Epperò l’autovelox finisce tra le frasche ombreggianti ed oscuranti, alla fine di un rettilineo in discesa, dietro una curva e, più in generale, dove anche l’automobilista prudente può essere colto in fallo. Mistero dell’amministrazione. Mistero che si tinge di tinte fosche, perché lo spietato strumento non viene adeguatamente segnalato (qui e là provvedono alla segnalazione , col fai da te, amorevoli altruisti che non amano la pubblicità e preferiscono l’anonimato) e fa sterminio non dei pirati della strada che sfrecciano a cento all’ora (e più) e non hanno neppure l’attenuante del dover andare a trovare la bimba loro. No, lo strumento fa strame degli sprovveduti che sforano il limite di una manciatina di Km. E che dire del Sindaco che vuole vigilare sul rispetto delle segnalazioni semaforiche? Vuole impedire che criminali su due o quattro ruote passino col rosso. E castiga i distratti che fermano diligentemente il loro veicolo, ma qualche decina di centimetri oltre la fatidica striscia bianca d’arresto. O quel sindaco che vuole migliorare la sicurezza del traffico veicolare, dei pedoni e della proprietà e, per fare questo, spegne la città, sotto illumina le strade, installando surrogati di lampioni che sprigionano solo luci da fuochi fatui, nel nome del risparmio energetico e della riduzione, udite udite, dell’inquinamento luminoso.

    Il buio è bello, tutela l’ambiente. Lo sanno bene i ladri, gli scippatori i rapinatori, i molestatori o violentatori di donne, giovani e diversamente giovani. E Bertoldo, non potendo, per definizione, ritenere che questi Sindaci mentano spudoratamente si chiede: se non sono bugiardi che cosa sono? Certamente, pensa, quando installano i mezzi elettronici di rilevamento delle infrazioni, sono altruisti, perché potrebbero tenere per sé, o, meglio, per le casse comunali, i cospicui proventi della macchine castigamatti; ed invece no, dividono con i privati; sono tanto generosi che non dividono neppure a metà, fifty fifty, come dicono a Fucecchio o a Montelupo fiorentino; no, sono tanto generosi da sfiorare la prodigalità ed al privato imprenditore, notoriamente ben attento al profitto, elargiscono il sessanta-settanta per cento degli incassi. E Bertoldo si chiede perché. E non riesce neppure a formulare ipotesi o a fare domande quando riflette sulle luci che abbagliano e feriscono gli occhi di chi le guarda ma non illuminano.

*Filippo Maffeo

magistrato


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