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Monte Beigua caccia alla preziosa pietra rossa. Progetto Titanio: spianare il verde. La Regione: Scopi scientifici, atto dovuto


Monte Beigua. Progetto titanio: spianare il massiccio verde all’inseguimento della preziosa pietra rossa. Dal taccuino del cronista Anni ’80 spuntano aspetti inquietanti nella vicenda “sondaggi” su terreni ai limiti della zona del GeoPark. Ieri come oggi a fare gola è un giacimento di 400 milioni di tonnellate di rutilo. I fantasmi di una desertificazione di un vasto comprensorio verde sono reali e di stretta attualità. Ora qualche canguro sembra già arrivato anche qui.

di Angelo Verrando

Monte Beigua: I Bucaneve (Galanthus nivalis) sono tra i primi fiori dell’anno, e devono il proprio nome al fatto che, in alcuni casi, bucano la neve coi loro bianchi campanellini. Per questo motivo nel linguaggio dei fiori rappresentano la speranza, e sono associati alla festa della Purificazione in quanto simbolo di purezza e candore. Nell’antica Grecia erano legati al Mito di Icaro: sull’isola di Nikaria, dove Dedalo seppellì il figlio, nacquero questi piccoli fiori dalle lacrime del vento.

I politici di oggi assicurano: sul Beigua non sta succedendo niente di strano. Gli ambientalisti ribattono: sondaggi del terreno allarmanti. Al di là delle ragioni, dei torti e del gioco delle parti, c’è da ricordare quanto sia datata la vicenda delle ricerche minerarie sul massiccio alle spalle di Varazze. Questo per denunciare subito la “disattenzione” nei lustri della politica amministrativa, ossia dei tanti Comuni del Parco, ma anche della Provincia di Savona e della Regione Liguria, di fronte a una questione che sin dagli Anni ’80 del Novecento apparve immediatamente come una potenziale calamità.

Nelle agende dei diversi Enti, allora, il permesso si effettuare sondaggi sui terreni del Beigua, accordato a livello ministeriale sin dal 1974, a parole suonò come un autentico affronto. Levate di scudi contro i cattivi politici di Roma; ordini del giorno infuocati a sostegno del comprensorio verde; proteste contro le imprese che avevano già inviato uomini e mezzi sul posto; accorati comunicati ai quotidiani locali, i quali – è da rilevare con mestizia – ignorarono gran parte delle istanze ambientaliste del tempo. Addirittura si creò una sorta di tam-tam per segnalare a una centrale dati ogni movimento dei tecnici.

Un grande daffare che, tuttavia, oggi possiamo definire insufficiente, poco decisivo, solo di maniera. Niente di veramente rilevante per bloccare il progetto all’inseguimento della pietra rossa. Prima che la vicenda fosse nuovamente ricoperta dalla nebbia dell’oblìo generale, qualcuno del posto riuscì a ricostruire faticosamente il senso originario della cosa. E ne venne fuori un quadro a dir poco inquietante. Purtroppo sottovalutato dai più.

ROCCIA E PARK FRANTUMATI – A indicare l’oggetto delle ricerche odierne nelle viscere del Beigua è il titanio. Dal taccuino del cronista dell’epoca, negli Anni ’80 si parlava più precisamente del rutilo (o rutìlio), il minerale che costituisce la fase tetragonale del biossido di titanio. Non per fare dell’enciclopedia spicciola, ma per sottolineare come la percentuale utile per l’industria rappresenti la minima parte della roccia lavorata. E il resto è destinato a diventare solo materiale di scarto, e polvere. Allora perché tanto interesse? Perché la pur bassa percentuale di rutilo rilevata all’epoca sotto il Beigua, costituiva almeno il doppio di quella di un giacimento in attività in Australia, l’unico al mondo in quel momento storico. Quindi di tutto interesse minerario.

Roccia “lavorata”, ma in che modo? Le notizie dall’altra parte del globo non tardarono ad arrivare anche senza internet. Questa la sequenza accertata al tempo: giganteschi impianti di estrazione lasciano spazio ad altrettanti enormi trituratori per provvedere ad isolare il minerale utile, da passare successivamente a una fase di “lavaggio” che ottiene finalmente il titanio depurato da destinare alla realizzazione di acciai speciali, tanto richiesti dal mercato, ma pure componenti per vernici, rivestimenti, plastiche e carta. Risultato: lo spianamento di interi massicci montagnosi, l’accumulo di immensi cumuli di detriti polverosi, fortemente inquinanti e – assolutamente non trascurabile – un pesante e repentino cambiamento climatico.

La desertificazione provocata, quindi, in nome del progresso tecnologico e delle logiche di mercato. Abbastanza da far sobbalzare più di un politico legato saldamente alla poltrona. O magari no. Anche se l’idea del GeoPark e della Riviera del Beigua, cominciò a farsi decisamente strada proprio in quegli anni. All’epoca, tuttavia, raccontando vicende australiane, si rischiava di farsi rispondere da qualche sindaco: ce ne occuperemo solo quando qui arriveranno… i canguri. La battutaccia è purtroppo reale, anche se il commento fu destinato a qualche soluzione giudicata troppo avveniristica in arrivo dall’altra parte del mondo per il trattamento dei rifiuti urbani. L’atteggiamento culturale era di grande supponenza.

PARTECIPAZIONI E INTERESSI – Ancora sul piano della ricostruzione della “filiera” del rutilo, negli Anni ’80 si scoprì come dietro le imprese operative impegnate ad eseguire sondaggi, carotaggi, ricerche, ci fosse un soggetto forte: l’Eni, all’epoca ente delle famigerate Partecipazione Statali che tanto hanno contribuito al debito di questo Paese. Un colosso che incuteva – e incute ancora – tanti timori reverenziali. Ma come? Una società a capitale misto pubblico-privato che normalmente si occupa di idrocarburi, ora punta al minerale di titanio? Che sta succedendo?

Domande al tempo rimaste in gran parte senza risposte. Una sola asserzione tuttavia arrivò rapida: se l’estrazione della cosiddetta pietra rossa del Beigua finisce per essere considerata un’attività a prevalente interesse nazionale, cosa potrebbero mai fare piccole amministrazioni locali, ambientalisti, semplici cittadini, per arginare un progetto così poderoso? Proteste sempre più vaghe, opposizioni di facciata e un certo ambientalismo modaiolo e irritante, proseguirono ancora per un po’. Poi il silenzio. Assordante, ma carico di significati sconosciuti, soprattutto sul fronte delle imprese minerarie.

PAZIENTI CONCESSIONI – Il rutilo degli Anni ’20 del terzo millennio viene definito come prodotto secondario di minerali che

Una gita familiare al Beigua sulla neve ghiacciata

contengono titanio. Oggi è considerato molto diffuso in natura. Trovandosi in grandi quantità, ad esempio in Norvegia e in alcuni siti degli Usa, può venire “coltivato” in vista della preparazione degli acciai al titanio, di vernici speciali, di rivestimenti indistruttibili. Allora è cambiato tutto! Non più un unico giacimento australiano, quindi, e di conseguenza non più un interesse “prevalente” per il Beigua? L’industria mineraria nostrana ha dimostrato di attendere con pazienza il proprio momento, come da sempre fa certa speculazione edilizia. Mai alimentare la polemica, mai rispondere colpo su colpo.

Non avere fretta, ma aspettare che le acque su calmino, prima dell’affondo. Anche se debbano trascorrere cinquant’anni e decine di amministrazioni di colore diverso. Mantenendo sempre ben viva la concessione per i sondaggi, e nascondendo altri permessi pronti al via, che ora si possono solo – e facilmente – immaginare. Ma rimaniamo agli atti pubblici. La Regione Liguria ha oggi autorizzato la Compagnia europea del titanio (C.E.T. srl) ad effettuare ricerche su 229 ettari a ridosso del Parco del Beigua, tra Sassello e Urbe.

Per i prossimi tre anni l’azienda potrà svolgere le proprie indagini per definire precisamente le concentrazioni di rutilo nel sottosuolo. Niente di invasivo, per carità. All’inizio. Ma l’obiettivo è altro. Gli ambientalisti di oggi denunciano che da metà degli Anni ’70 l’industria mineraria (ecco i cinquant’anni) tenta di mettere le mani su un giacimento di quasi 400 milioni di tonnellate di rutilo, in concentrazioni di poco più del cinque per cento della roccia da frantumare. La quale, tra l’altro, conterrebbe pure amianto. Secondo alcune stime, in meno di trent’anni si potrebbero verificare tali sconvolgimenti che neanche un terremoto potrebbe operare. Troppo pessimismo? La Regione parla di “scopi scientifici” dei sondaggi, di un suo “atto dovuto” nei confronti della società concessionaria, ma il rischio che venga avviata un’attività mineraria vera e propria, è reale. Con un impatto ambientale devastante.

Ritornano così i fantasmi degli Anni ’80: spianare l’intero massiccio per frantumare roccia; devastazione delle sorgenti di acqua potabile nel vasto comprensorio; aria irrespirabile; immensi cumuli di detriti ovunque. Forse quelli erano solo incubi australiani…

Angelo Verrando

 

 


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