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Liguria e Basso Piemonte

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Savona, il poliziotto: ‘Questa notte mai visti tanti daini, cinghiali e…’ La notizia shock
del nonno suicida. ‘Che prego Dio sia falsa’


Ferdinando Molteni e la sua pagina Facebook, i suoi racconti, testimonianze, riflessioni, commenti. Giorni pasquali. Ecco. “Erano davvero bellissimi, persino incredibili. Sono uscito dal parcheggio sotterraneo e li ho visti: venti, venticinque anziani, forse trenta, sulle panchine a prendere il sole, quelli che potevano. A chiacchierare nel vicolo, in ombra, gli altri”.

Li conosco quasi tutti e li ho riconosciuti anche con le mascherine, nel giorno 28 di questa colossale menata che si chiama quarantena. Chiacchieravano, ridevano. Prendevano il sole della Riviera di Ponente che, stamattina, mi è sembrato più bello del solito.
Sono gli ospiti di una bellissima casa di riposo. Un edificio magnifico stretto tra i vicoli di una cittadina bellissima.
Io non sono molto poetico nel parlare della natura (ha già detto tutto Pascoli) ma il mare di oggi dimostrava in maniera lampante non solo l’esistenza di Dio, ma anche che i decreti di Conte hanno i giorni contati (l’assonanza non è voluta).
L’ho fatto notare anche a mia mamma (cui oggi ho detto che è tecnicamente un’ottuagenaria e si è messa ridere) e devo dire che anche lei un mare così bello non se lo ricordava.
E’ incredibile quanta vita ci sia in un gruppo di vecchi di una casa di riposo, quanta voglia di stare al sole. Mi è tornato in mente De Gregori e il suo Titanic: “Ma quando fa bello veniamo fuori”.
Ecco. Stiamo ballando sul ponte del Titanic? Me lo chiedo da un po’. Ma credo di no, anche perché ne abbiamo viste di peggiori. Come Paese almeno.
Tuttavia ci sono cose che io, ormai non più giovane ma non ancora del tutto vecchio, non avevo mai visto. Stavo facendomi largo tra i miei amici vecchi che chiamavano, e salutavano, e parlavano ad alta voce (sono notoriamente ipoudenti i vecchi, beati loro) per raggiungere un altro vecchio che staziona nei pressi a chiedere un obolo alle persone di buon cuore.
Sono andato a cercarlo, soprattutto perché quando gli allungo un euro lui mi dice: “Grazie, Maestro“. E a me, al contrario di tanti che si schermiscono, a me piace essere chiamato “Maestro“.
La prima volta capitò quando ero nella Marina Militare, a Bari, se non ricordo male. Ero un pischello appena salito a bordo, ma toccava a me fare gli allacci elettrici della nave. E per la prima volta, un vecchio portuale, quando ci incontrammo sulla banchina mi chiamò: “Maestro”. Tra gente di mare s’usa così.
Comunque il vecchio questuante non c’era. E mi è dispiaciuto. Non so dove fosse, ma spero che stia bene. E’ molto bello, dignitoso e ciarliero. Gli vogliono bene tutti, ma lui non credo abbia un posto dove andare (#iorestoacasa, sticazzi se una casa non ce l’ho).
Ho attraversato il budello e, mentre aspettavo mamma che comprava i pesci per i gatti, ho letto la locandina del Secolo XIX, quella che parla del nonno che si è ammazzato perché non poteva più vedere il nipotino. Ecco, io una notizia così – che prego Dio sia falsa – non l’avevo mai letta. Ma se fosse vera sarebbe la pietra tombale morale sulla fottuta quarantena.
Comunque oggi c’era un sacco di gente in giro, dappertutto.
Che bello che è il Ponente ligure. Bellissimo. Quando non sono arrabbiato mi sembra più bello della California, della Grecia, della Costa Azzurra. Oggi, con la tristezza nel cuore, l’ho nuovamente abbandonato. Per tirarmi su ho messo “Natty dread” di Bob Marley. Non lo ascoltavo da una vita, ed è un disco bellissimo. Bob ha ancora una voce giovanile, ma canta bene, modula, improvvisa.
Stavo sognando la Giamaica, dove peraltro non sono mai stato, e mi è toccato conversare con un poliziotto, all’uscita del casello di Savona. Voleva sapere dove andavo. Niente di che. La cosa sarebbe finita lì.
Ma lui, il poliziotto, era distrutto, non ce la faceva più, aveva voglia di parlare con qualcuno.
Così si è lasciato andare: “Speriamo che finisca presto”.
E io: “Certo che per voi è dura”.
Lui: “Dura? Durissima! Questa notte l’ho passata su una provinciale dell’entroterra”.
Io: “Controllate quelli delle seconde case che invadono la Riviera?”.
Lui: “…”
Io: “Intendo dire, quelli che scappano dalla quarantena?”.
Lui: “Questa notte ho visto un sacco di daini, persino dei cinghiali e altri animali che non ho riconosciuto. Ma neanche una macchina. Neanche una”.
Io: “Buona Pasqua, agente”.
Lui: “Altrettanto a lei”.
Ferdinando Molteni
LETTERA DI UN MEDICO
“Se ne vanno.  Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze…
Dott.  Fulvio Marcellitti

 


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