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Liguria e Basso Piemonte

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Esclusivo! Savona e le mancate stragi
Nel libro un segreto spaventosamente grande
Intervista a Massimo Macciò: E Gelli mi disse: ‘Lasci perdere’. La Cia: ‘No comment’. Ma Vinciguerra ‘soldato politico’ parla di esecutori e fiancheggiatori. Lettere di Taviani


A 45 anni di distanza dalle “bombe di Savona” un libro apre uno squarcio inedito e probabilmente decisivo sul mistero degli attentati savonesi. A sorpresa, Massimo Macciò ha infatti dato alle stampe “Una storia di paese – Le bombe di Savona 1974 – ’75” che racconta, sulla base di un’amplissima documentazione e l’ascolto di testimoni mai sentiti prima, la vera storia di questa vicenda apparentemente di periferia e che nasconde, invece, un “segreto spaventosamente grande” tale da poter mutare, a un certo punto, addirittura gli equilibri politici dell’Italia degli anni ’70. Ne abbiamo parlato con l’autore in questa intervista esclusiva per “Trucioli”.

La prima domanda è d’obbligo: dove nasce l’interesse per questa vicenda ormai così lontana nel tempo ?

Il volume fresco di stampa, 290 pagine, non sparge veleni, non spara nel mucchio, l’autore ha provato a raccontare il frutto di anni di ricerche. Nella prefazione scrive: Sono convinto che in questa storia vi siano molte verità che non sono state ancora narrate e spero di aver fornito uno stimolo perchè i depositari si decidano a rivelare le loro. Il primo capitolo sviscera l’attentato, il primo, nell’androne del palazzo dove abitava Varaldo, senatore Dc. L’ultimo la cronologia 1972 -’75 opera del ‘soldato politico’, detenuto a Opera, Vincenzo Vinciguerra. Nella bibliografia anche la relazione presentata all’Anpi della provincia di Savona dall’avv. Carlo Trivelloni (La Loggia P2 e le ‘bombe di Savona’. Trivelloni è stato consigliere comunale della Sinistra Indipendente e nel Cad della Carisa, fu lui, con una lettera aperta al Secolo XIX che diede lo spunto per un’indagine sull’attività del Cad 2. E il presidente della Regione Alberto Teardo, con una nota del suo legale Silvio Romanelli, il 19 novembre 1981: “In merito agli esposti – denuncia su disinvolte operazioni immobiliari e il Savona Calcio non abbiamo alcun timore. Siamo invece preoccupati dall’atmosfera di inquisizione che sta avvolgendo il paese. C’è il rischio che ogni cittadino possa essere criminalizzato in base a semplici illazioni”. Nella bibliografia del nuovo libro di Maccio anche ‘Documenti della resistenza armata savonese – Diario Garibaldino di Franco Pollero, edito da Sabatelli nel 1978. E di Michele Ruggero L’Arma, i piduisti, i golpisti, i brigatisti, le coperture eccellenti, gli anni di piombo nel racconto del generale Nicolò Bozzo, Frilli editori 2006.

“Il mio interesse per le bombe di Savona è figlio, in realtà, di quell’orrendo crimine che fu la strage di Ustica. Nel 2004 ero andato a Roma con Daria Bonfietti per assistere alla sentenza sui cosiddetti depistaggi seguiti all’abbattimento del DC9. Qui ho incontrato Andrea Speranzoni, un giovane patrocinatore legale (al tempo non era ancora avvocato) il quale si era offerto di poter far riaprire il “caso Savona”, sulla base a suo dire di carte dimenticate in alcuni archivi dei servizi segreti a Roma, e di poter aiutare quindi le famiglie dei caduti e dei feriti a ottenere l’indennizzo previsto per le vittime del terrorismo nero. Le carte, in realtà, erano già state consultate, ma la vicenda è stata riaperta e con esso anche il mio interesse per questa peculiarissima storia. Così, ho scritto dapprima un libro di testimonianze (“Le bombe di Savona: chi c’era racconta”, ndr) e poi ho tentato finalmente di capire la verità sulle bombe”.

Per curiosità, ha poi rivisto Speranzoni?

“No, dopo un paio di suoi interventi a Savona e dopo la sua promozione ad avvocato, non ho più alcun contatto con lui da almeno dieci anni”.

Dal sito di Amazon l’autore Massimo Macciò, con Anna, la compagna.

Durante i quali lei ha approfondito il tema delle bombe savonesi, fino a giungere al libro che, inaspettatamente, è giunto nell’edicola di Amazon non più tardi di una settimana fa.

“Prima di iniziare qualsiasi discorso sul libro è necessaria e, anzi, doverosa una premessa: tutte le persone che, a qualsiasi titolo, sono state oggetto d’indagine per le bombe di Savona sono state assolte o prosciolte dai magistrati e sono quindi innocenti. Questo deve essere chiaro. Le considerazioni che sono svolte in questo libro possono servire per una ricostruzione storica dell’evento ma, in nessun modo, indicano una responsabilità che è stata definitivamente esclusa dalla magistratura.

Passando alle ipotesi, le bombe di Savona sono sempre state considerate dalle forze politiche savonesi, in particolare da quelle di sinistra, come una sorta di “prova del fuoco” per la tenuta democratica del paese.

“Sì una tenace vulgata savonese che ancora oggi fatica a diradarsi parla addirittura di “bombe come test”: Savona sarebbe stata scelta quale città democratica e antifascista da parte dei golpisti di destra per compiere una specie di esperimento: se Savona non avesse reagito come ha fatto alle bombe, ci sarebbero state tutte le condizioni per fare un colpo di Stato nel nostro paese. Ma grazie alle ronde, alla vigilanza, al controllo popolare Savona avrebbe sventato questo tentativo e, in pratica, avrebbe salvato l’Italia”.

La teoria, peraltro, non la convince.

“Intendiamoci: Savona ha reagito alle bombe con una partecipazione e un’organizzazione spontanea, “dal basso”, che ha davvero pochi eguali nell’Europa occidentale. E qui non posso non ricordare mio padre che le sere pari faceva la vigilanza al porto e le sere dispari controllava il quartiere con tanti altri operai e lavoratori. Ma la spiegazione “Savonacentrica“, oltre a non essere suffragata da alcuna prova, risente di un autocompiacimento e di una autoglorificazione davvero provincialistica. Che poi, in fondo, è ciò che mi ha dato la spinta iniziale per tentare di capire qualcosa di più su questa vicenda. Così ho iniziato a esaminare tutte le ipotesi, anche quelle palesemente inconsistenti, e mi sono fornito nel tempo di una documentazione, che, al di là delle conclusioni, fa di “Una storia di paese” un libro indubbiamente molto ben documentato”.

Insomma ha cominciato a indagare sul serio.

“Ho avuto la possibilità di consultare i sedici faldoni, ognuno contenenti migliaia di pagine, sull’argomento, presenti nel 2007 nell’archivio della Questura di Savona, oltre a un gran numero di altri documenti sparsi tra le procure e altri uffici. Poi, ho avuto l’aiuto di persone rare, primo fra tutti il Generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo che mi ha dato una mano enorme e ha saputo indirizzarmi per primo lungo la strada giusta. Inoltre, ho consultato un gran numero di persone o di enti che, da versanti differenti, potevano fornire risposte interessanti”.

È così è nata, ad esempio, la storia della CIA e della base americana di Pian dei Corsi ?

“Utilizzando il Freedom of Information Act ho chiesto a moltissime amministrazioni USA se avessero informazioni o materiale sulle bombe di Savona. Ma mentre FBI, US Army e  altri enti hanno risposto negativamente, la CIA, riguardo alla base di Pian dei Corsi, mi ha scritto e poi confermato di non poter “né confermare né smentire” l’esistenza nei propri archivi di informazioni relative alle bombe, perché il fatto stesso dell’esistenza o della non esistenza delle informazioni richieste è “currently and properly classified” in quanto le fonti d’intelligence e i metodi d’informazione non possono essere svelati”

Un fatto davvero singolare.

“Già, un fatto piuttosto singolare di cui nel libro viene spiegato il perché. Ma, in generale, sono state davvero molte le richieste che io ho posto a chiunque che, a ogni livello potesse avere qualcosa da dire sulle bombe”.

Con quali risultati ?

“Moltissimi tra gli uomini politici (vedi Arnaldo Forlani), semplicemente non hanno risposto. Altri (Licio Gelli, ad esempio) mi hanno benignamente consigliato di lasciar perdere. Vi sono poi esponenti degli apparati o dei servizi segreti – alcuni di caratura davvero mondiale – che mi hanno permesso di chiarire particolari spesso fondamentali. Molti di questi mi hanno chiesto di mantenere riservata la loro comunicazione, e io intendo rispettare il loro segreto.

Le risposte più complete le ho avute tra coloro che avevano fatto parte dell’universo del terrorismo di destra. Tra questi, un posto particolare spetta a Vincenzo Vinciguerra, definitivamente condannato all’ergastolo per la strage di Peteano e che attualmente sconta la sua pena nel carcere di Opera. Ma Vinciguerra è in realtà un personaggio molto peculiare: né pentito né dissociato, egli si considera un “soldato politico” che ad un certo punto della sua vita ha rinunciato a quella che lui reputava in buona fede la “lotta contro gli apparati dello Stato” e si è fatto incarcerare volontariamente con l’obiettivo di “fare chiarezza“, di smascherare cioè coloro che, dietro il velo di un millantato neofascismo, agivano in realtà per conto o addirittura quali agenti (spesso con regolare stipendio) dei servizi segreti, con il compito reale di “destabilizzare per stabilizzare”. Già dal 2001 e ancora recentemente Vinciguerra è considerato dal Presidente della Commissione Bicamerale d’Inchiesta sulle Stragi Giovanni Pellegrino uno degli storici più avvertiti della “strategia della tensione“.

Pare di capire che con Vinciguerra ci sia stata una svolta.

“In Vinciguerra (che, tra l’altro, ha scritto le 40 pagine della “cronologia ragionata 1972 – ’75”, poste in fondo al volume e che danno un quadro sconvolgente sulla “lotta tra sciabole e manette” a metà degli anni ’70) ho trovato una disponibilità al ragionamento politico e all’approfondimento storico inusuale. Ci siamo scambiati decine di lettere e da lì, dai nostri scambi epistolari è nato il quadro che a mio avviso permette una ricostruzione del tutto diversa rispetto a quella “tradizionale” e che, soprattutto, permette di mettere al posto giusto ogni tassello, anche le lettere non firmate di Paolo Emilio Taviani che da testimonianza di un ego ipertrofico diventano improvvisamente qualcosa di molto diverso. Così, le “miratissime” bombe di Savona assumono connotati del tutto nuovi, che fa diventare questa storia apparentemente di paese un nodo centrale nel momento decisivo della “strategia della tensione“. Ecco allora che vanno a posto i vari pezzi: i mandanti, gli esecutori “nazionali” con nomi e cognomi, i fiancheggiatori locali, tutto.

Macciò, mi perdoni: ma non le sembra correre un po’ troppo di fantasia?.

“A distanza di 45 anni mancano inevitabilmente molti riscontri documentali. La “pistola fumante” non si è trovata e non si troverà più. Ma in realtà, a saper leggere bene le carte (la “relazione Virdis“, ad esempio) si scopre che vi sono dei testimoni che mai erano stati considerati dai precedenti inquirenti e le cui testimonianze avrebbero potuto fornire (e, in parte, forniscono) un quadro nuovo. E saltano fuori carte che misteriosamente scompaiono e poi riappaiono, bravi ragazzi che compaiono e scompaiono, e persone apparentemente estranee che spariscono dalla scena per poi riapparire sotto altre vesti. Vinciguerra parla dei mandanti, ma in realtà non c’è soltanto Vinciguerra: c’è molto di più: i fiancheggiatori, gli esecutori materiali… il tutto alla ricerca del riscontro storico-politico rispetto a ciò che è avvenuto.Questo, insomma, non è un romanzo di fantasia ma un libro eccezionalmente documentato che formula delle ipotesi e cerca e trova i riscontri”.

Massimo Macciò, 56 anni, savonese, insegnante e scrittore, da anni impegnato nelle ricerca della verità sulle bombe di Savona del ’74-75, imbattendosi nel ‘giallo’ della base americana di Pian dei Corsi, nella foto intervistato per la Rai. Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza  nella sessione di laurea del 16 aprile a Roma (voto: 108/110), all’Università Telematica Internazionale UniNettuno (che, sia detto per inciso, è un’ottima università da consigliare). La prima laurea era in Scienze politiche ad indirizzo economico (all’Università di Genova). Successivamente  laurea anche in Esperto Legale in Sviluppo ed Internazionazionalizzazione delle Imprese (un indirizzo della facoltà di giurisprudenza di UniNettuno). Chi gli chiede perchè be tre lauree risponde: “Mi sono servite e mi servono per il mio lavoro, mi sono voluto togliere qualche soddisfazione e studiare serve a concentrarmi sugli obiettivi, è una sorta di sfida intellettuale…”

 

 

 

 



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