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Intervista a Mirko De Carli sull’Europa
Gillet gialli: “grillinismo” in salsa francese. C’è del buono? Meglio stare alla larga?


La data delle elezioni è dietro l’angolo: rieccoci  a parlare di Europa. Fa molto discutere la nuova “via della seta” cinese. La Cina rispetta i diritti umani fondamentali, in primis la libertà di coscienza? Va da sé che altrimenti ogni forma di colonizzazione opprimente diventa possibile. Scriveva Mario Mauro nel 2007: «La battaglia del Preambolo, la battaglia cioè sulla menzione delle radici cristiane dell’Europa non è stata banale, perché è stata una battaglia in difesa, non tanto del cristianesimo, quanto delle istituzioni che consentono la libertà. È evidente che come politici popolari non miriamo ad impartire una lezione di stampo teologico, ma una difesa accorata di tutti quegli elementi che predispongono alla libertà stessa. La “questione cattolica” è la questione dell’uomo in quanto tale, la questione della persona in quanto tale, della libertà in quanto tale». Mirko De Carli, leader del “Popolo della Famiglia”.

Mirko De Carli

1. Ciao Mirko. La data delle elezioni si fa sempre più prossima: rieccoci dunque a parlare di Europa. Fa molto discutere la nuova “via della seta” cinese. La Cina rispetta i diritti umani fondamentali, in primis la libertà di coscienza? Va da sé che altrimenti ogni forma di colonizzazione opprimente diventa possibile. Scriveva Mario Mauro nel 2007: «La battaglia del Preambolo, la battaglia cioè sulla menzione delle radici cristiane dell’Europa non è stata banale, perché è stata una battaglia in difesa, non tanto del cristianesimo, quanto delle istituzioni che consentono la libertà. È evidente che come politici popolari non miriamo ad impartire una lezione di stampo teologico, ma una difesa accorata di tutti quegli elementi che predispongono alla libertà stessa. La “questione cattolica” è la questione dell’uomo in quanto tale, la questione della persona in quanto tale, della libertà in quanto tale». Parole laicamente profetiche?

Sono convinto che la nuova “via della seta” ci interroghi inevitabilmente a pensare a quale visione di Europa vogliamo prospettare per i prossimi cinquant’anni.
Credo che un interlocutore con la Repubblica Democratica Cinese rappresenti per l’Italia un’opportunità mancata.
Mi spiego meglio: pensare di poter diventare partner commerciale strutturato della prima Superpotenza economica mondiale a tasso democratico pari allo zero è pura follia dannosa per il nostro stesso Paese.
Occorreva interloquire con le principali economie europee che avrebbero tratto benefici dalla nuova via della seta: penso ad esempio ai vari Paesi dell’est Europa che già oggi riconoscono al porto di Trieste una rilevanza strategica davvero di prim’ordine nelle relazioni commerciali (non era ovviamente pensabile un dialogo con Francia e Germania in quanto la nuova via della seta danneggerà i porti del nord Europa come Rotterdam).
Ovviamente la questione democratica legata ai diritti negati in Cina non può essere trattata in maniera sbrigativa: l’Unione europea per poter competere tra le superpotenze globali ha prioritaria necessità di riscoprire nei suoi valori fondanti la sua stessa ragion d’essere. Il richiamo improcrastinabile a riavviare un nuovo percorso costituente europeo in grado di riconoscere nelle radici greco romano giudaico cristiane la sua principale matrice unitiva credo debba essere quel “preambolo” in grado di concretizzare nel prossimo Parlamento di Bruxelles la svolta che noi chiamiamo “sovranismo europeo”: dare all’Europa oltre a un corpo, un’anima. Questa sarà la sfida che il Partito Popolare Europeo insieme al fronte sovranista dovrà affrontare per i prossimi cinque anni.

2. L’Europa ha le carte in regola per essere nel gruppo dei 4 big mondiali assieme a Usa, Cina e Russia? Si parla di popolo russo, di popolo cinese e di popolo americano (intendendo gli States). Ma non si parla di popolo europeo, semmai di popoli europei, al plurale. Ciò cosa comporta? Che significa?

Io credo che l’Europa, oggi come oggi, non sia pronta per una competizione di questo genere.
Oggi la direzione che auspichiamo venga presa nel prossimo Parlamento è quella degli Stati Federati d’Europa: le differenze tra le varie regioni europee dobbiamo riconoscerle come un arricchimento per tutti e non un problema.
Per questo modificare i trattati istitutivi dell’Unione europea dando piena e compiuta sovranità ai cittadini è una sfida decisiva per trasformare le spinte dell’antipolitica in azione propositiva capace di garantire una prospettiva di benessere diffuso.

3. Gillet gialli: “grillinismo” in salsa francese? C’è del buono? Meglio stare alla larga?

Meglio stare alla larga. Occorre, come stiamo facendo in Italia col PdF e in Europa col Ppe, irrobustire una proposta politica capace di raccogliere il malcontento popolare e tradurlo in azione concreta con effetti immediati sull’economia reale. Un esempio? Il reddito di maternità europeo: affrontare l’emergenza natalità riconoscendo giuridicamente ed economicamente il ruolo della mamma.
4. Come declinare in chiave europea i principi di sussidiarietà e solidarietà? Quali politiche dovrebbe attuare la Ue per ridurre il divario di sviluppo esistente tra le diverse regioni europee, salvaguardando il principio della sussidiarietà e responsabilità locale? Sei sempre per l’Euro a due velocità? Ha detto papa Francesco in un’intervista: «L’economia liberale di mercato è una follia. Abbiamo bisogno che lo Stato regoli un pochino. Ed è proprio questo che manca: il ruolo dello Stato come regolatore.

Ecco perché, durante il mio discorso per il premio Carlo Magno, ho chiesto all’Europa di abbandonare l’economia liquida per tornare a qualcosa di concreto, cioè l’economia sociale di mercato. Ho tenuto il mercato, ma «sociale» di mercato (…) C’è un problema in Europa. L’Europa non è libera. L’economia europea non è un’economia produttiva della terra, un’economia concreta. Ha perso la sua “concretezza”. È un’economia liquida. La finanza…È per questo che i giovani non hanno lavoro…È il virtuale contro il reale. Il virtuale allontana dalla realtà, e il suo unico metodo di azione è fautore di distruzione». I vari parametri (di Maastricht, Bruxelles…) sono atti a mantenere la finanza e le politiche monetarie entro i limiti di una ragionevole attinenza all’economia reale? Quali sono e/o sarebbero incentivi reali ad una reale economia sociale di mercato in Europa? In Italia il risparmio privato supera il nostro stellare (quasi mitico) debito pubblico. L’Europa dovrebbe obbligarci o stimolarci pian piano a riempire il debito muovendo il risparmio? O non è forse lo stesso debito pubblico a finanziare indirettamente il risparmio?
Credo che sia necessario ritornare all’economia produttiva, non si può pensare di poter crescere solo con l’economia finanziaria. Per questo è importante sostenere uno sviluppo che non prescinda dal settore manifatturiero, che ha sempre caratterizzato il nostro territorio, nazionale ed europeo, non vincolandolo però a schemi della globalizzazione ma legandolo alle vocazioni specifiche dei territori, attraverso le cosiddette certificazioni, come il made in collegato al territorio di produzione e di realizzazione di un determinato prodotto. Ritengo anche opportuno e necessario che si passi da una Europa che pone dei paletti a volte distruttivi per le economie nazionali – penso al rapporto deficit/Pil al 3% – al poter invece concepire gli investimenti produttivi come elemento svincolato dal trattato di Maastricht.

5. «Io credo che l’Europa sia diventata una “nonna”. E invece vorrei vedere un’Europa madre. Sul fronte delle nascite, la Francia è in testa ai Paesi sviluppati, con oltre il 2%, mi pare. Ma l’Italia, che si aggira attorno allo 0,5%, è molto più debole. Stessa cosa per la Spagna. Così l’Europa rischia di smarrire il senso della sua cultura, della sua tradizione. Pensiamo che è l’unico continente ad avere prodotto una tale ricchezza culturale, e questo è da sottolineare. L’Europa deve ritrovare se stessa tornando alle proprie radici. E non avere paura. Non avere paura di diventare l’Europa-madre. Ecco cosa dirò nel discorso per il premio Carlo Magno» (Papa Francesco). Fabrice Hadjadj ha scritto che la denatalità in Europa è direttamente proporzionale al calo della fede, nel senso che il chiudersi di una prospettiva di eternità ci mette davanti ad un’altra prospettiva: quella di mettere al mondo dei condannati a morte, cibo per vermi. E allora forse non ne vale la pena. Quale nesso tra fede, cultura e vita in Europa?

C’è assolutamente un nesso tra cultura, fede e vita. Oggi purtroppo non basta solo un’azione politica, che può misurarsi con sostegno economico e riconoscimento giuridico, che sono le due leve che ha la politica per potere intervenire – e in questa ottica va la nostra proposta di mettere al primo posto dell’agenda di Bruxelles un impegno per tutti gli Stati europei ad intervenire con misure economiche e giuridiche a favore della natalità e per contrastare l’inverno demografico. Occorre affiancare a questo una forte cultura della vita, che possa rimettere al primo posto dell’agenda, soprattutto dei valori dei più giovani, quello di fare famiglia e fare figli; ma oltre a questo occorre un sempre maggiore riconoscimento del valore pubblico della fede, che purtroppo sta diventando invece un elemento ricondotto solo alla vita privata delle persone. Il riconoscimento del valore pubblico della fede, soprattutto quella cristiana che rappresenta le fondamenta del nostro continente, è un passaggio decisivo per ristrutturare anche l’identità europea.

6. «Vi è una vera e propria emergenza dal punto di vista della tutela dei diritti umani alle frontiere esterne e interne a causa della mancanza di vie legali di accesso in Europa e della chiusura delle principali rotte migratorie da parte degli Stati dell’Unione Europea. Queste politiche, che costringono le persone bisognose ad affidarsi ai trafficanti, non ne proteggono la vita, come a volte si sostiene, ma spesso riescono a far sì che la loro sofferenza abbia sempre meno testimoni (…) Purtroppo in molti casi i richiedenti asilo si trovano isolati, espulsi dal sistema di accoglienza e del tutto in balia di trafficanti che lucrano sulla loro disperazione, anche in territorio europeo» (Aggiornamenti Sociali, gennaio 2019). Chi arriva in Italia, arriva in Europa; chi ottiene un permesso di soggiorno italiano, dovrebbe, a certe condizioni, ottenere un permesso di soggiorno europeo. È così? Cosa sta facendo, e cosa dovrebbe fare, l’Europa per assicurare vie legali all’immigrazione? E per l’integrazione? La “cultura dell’indifferenza” ha intaccato l’Europa? La paura e l’odio irrazionali per la paventata “sostituzione etnica” e per il terrorismo islamista possono portare in menti squilibrate e cuori ottenebrati dal male ad atti folli e diabolici, come quello tristemente recente in Nuova Zelanda contro i musulmani o quello di Breivik in Norvegia contro chi apre le porte all’ “invasione” degli immigrati in Europa. C’è un modo ragionevole di affermare la propria identità anche etnica? C’è un modo ragionevole di combattere il terrorismo in Europa? Quali decisioni e azioni concrete potrebbe assumere e compiere l’Europa per destrutturare le povertà strutturali che spingono molti ad emigrare dall’Africa e dal Medioriente, e prospettare una via per l’autonomia e lo sviluppo di quelle aree, tenendo conto per esempio che tra i Paesi che più accolgono profughi e rifugiati (migrazioni intra-africane…) ci sono Paesi già a loro volta sottosviluppati o comunque poveri?

Occorre innanzitutto modificare i trattati di Dublino, superandoli e facendo sì che ci sia il riconoscimento di un diritto d’asilo europeo, per cui le persone che arrivano come migranti clandestini nel nostro territorio, se hanno diritto al riconoscimento del diritto d’asilo, gli sia riconosciuto a livello europeo e non dallo Stato di primo approdo. Questo permetterebbe poi alle persone di avere un periodo di formazione nello Stato dove vengono accolte, con una ripartizione per quote anno per anno definita a Bruxelles, che sia capace di rendere quella formazione fruibile per un posto di lavoro riconosciuto negli Stati europei che hanno necessità di manodopera nei vari settori produttivi dov’è richiesta. Oltre a questo è naturale che sia fondamentale rimpatriare le persone che sono clandestine nel nostro territorio, attraverso un vero e proprio “piano Marshall”, dove le persone vengono riportate nei loro Paesi d’origine (immigrati clandestini per motivi economici, naturalmente) creando le condizioni perché abbiano in questi Paesi una casa, un lavoro e una possibilità di stabilità economica. Questo è il grande intervento che va fatto a livello europeo con canali umanitari organizzati dalle realtà più esperte, più pratiche su questi settori – penso ad esempio alla comunità di sant’Egidio per l’Italia. Dall’altra parte occorre naturalmente che ogni anno per i migranti economici ogni Stato definisca quale quota serva e si vadano a definire con canali umanitari regolarmente riconosciuti quelle che sono le quote che devono entrare in Europa, ma attraverso un pieno rispetto della sovranità nazionale: ogni Stato decide; se uno Stato decide che deve avere zero migranti economici, quella decisione dev’essere rispettata.

7. Chi sostiene l’Ungheria di Orban e di Fidesz nel Ppe? La maggioranza nel Ppe è più per Orban o contro Orban? Quali sono, che tu sappia, i rapporti di Orban con la Santa Sede e con papa Francesco? Se il candidato alla Presidenza della Commissione europea, Weber, è lo stesso per Orban e per il Ppe, ciò non significa che Orban sta perfettamente a suo agio nel Ppe? Chi, in Italia, alle europee voterà esponenti della Lega, voterà per un Ppe “formato Orban” o per qualcos’altro? Il Ppe “formato Orban” ha a che vedere con il (fu?) centrodestra italiano? Cosa rappresenta il PdF dentro il Ppe?

Il PdF dentro il Ppe rappresenta una novità. Abbiamo come visione quella di essere ancorati alla matrice identitaria cristiana e al primato di vita, persona e famiglia, che sono nel Dna del Ppe e che hanno ispirato quello straordinario discorso nel 2006 di Benedeto XVI, che affidò la difesa e promozione dei cosiddetti principi non negoziabili al Partito popolare europeo. Per questo intendiamo anche favorire un rinnovamento della classe dirigente che già si mostra con la candidatura di Manfred Weber a presidente della Commissione europea e che già porta alcuni temi come il riconoscimento delle radici cristiane e un processo per l’istituzione di una difesa comune dei confini europei, come già voleva il padre fondatore Alcide De Gasperi, come elemento di rinnovamento. In questo senso condividiamo anche le critiche mosse alle precedenti gestioni a livello di Partito popolare europeo da Viktor Orban e siamo anche tra coloro che ritengono che vada superata l’alleanza con i socialisti, che ha portato a colonizzazioni ideologiche pericolose anche nella classe dirigente del Ppe nel corso degli ultimi 5 anni – penso a tutte le azioni contro la famiglia, la persona e la vita e a favore di quella che noi chiamiamo cultura di morte (eutanasia, utero in affitto…) – per un’alleanza con i partiti sovranisti e con il fronte liberale, mettendo al centro il tema della modifica dei trattati istitutivi di Bruxelles, dando veramente democrazia rappresentativa alle istituzioni, in primis con l’elezione diretta della Commissione europea, ma blindando tutto quello che è una cultura di vita che possa ritornare protagonista a Bruxelles, cancellando quelle devianze ideologiche che portano il nome di eutanasia, aborto, utero in affitto et similia.

Gianluca Valpondi


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