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Savona abbandonata: lavoro e vertenza industria, dramma trascurato a Palazzo Sisto


Attraverso questo intervento si cerca di sollevare con forza la “questione lavoro” nella provincia di Savona e l’avvio di una vera e propria “vertenza industria”. In questo senso debbono essere sollecitate le organizzazioni dei lavoratori a un’iniziativa molto più pregnante sul piano della capacità propositiva e della mobilitazione rispetto a quella, un po’ rassegnata, portata avanti in chiave meramente difensiva.Da diversi giorni, complici probabilmente le festività, non si hanno notizie riguardanti il drammatico tema del lavoro in Provincia di Savona.Un tema che appare del tutto trascurato dalla gran parte degli amministratori pubblici in particolare da quelli del Comune capoluogo che sembrano proprio non accorgersi del progressivo spegnersi della Città.

di Franco Astengo

Savona sta vivendo un momento di vero e proprio “abbandono” nella presenza di storici esercizi commerciali: un segnale di ulteriore aggravamento della crisi, in una Città percorsa stancamente da croceristi che spingono improbabili trolley verso la meta delle loro vacanze, oppure invasa dai banchetti di mercati sempre più spesso presenti a cercare di raccogliere quel poco che rimane.Un’impressione davvero triste che lascia la visione di una Città che un tempo era una delle più vivaci del triangolo industriale: quello che trainava l’economia di tutto il Paese.

E’ il caso, però, di fare il punto su alcune situazioni:

1)    Restano completamente in sospeso i casi di Piaggio e Bombardier: le due aziende più importanti della nostra provincia sono in difficoltà da tempo, all’interno di un quadro di grande trascuratezza per l’industria. Esistono problemi di commesse e d’innovazione tecnologica, problemi di carattere economico derivanti anche dalle proprietà multinazionali. Piaggio si trova commissariata in amministrazione straordinaria, Bombardier dipende dalle scelte industriali della casa – madre canadese e delle sue filiali europee, con il sito di Vado fortemente a rischio. Tra Bombardier e Piaggio sono in ballo più o meno 2.000 posti di lavoro che, nel deprecabile caso di un tracollo complessivo, finirebbero con il far salire la quota di disoccupati in provincia a circa 10.000 unità. Oltre al clima d’incertezza che pesa ancora sulla vertenza Piaggio Aerospace, ecco un’altra mazzata per l’indotto e che arriva direttamente dalla Laerh di Albenga, azienda del settore aerospaziale insediatasi ad Albenga nelle aree ex Fruttital dopo l’accordo di programma per Piaggio del 2014. Nel frattempo i lavoratori della Laerh si trovano in cassa integrazione;

2)    Istituzioni, imprenditori e sindacato hanno puntato molto sulla costruzione della piattaforma Maersk a Vado Ligure allo scopo di incrementare traffici portuali e logistica. Addirittura si è parlato di Vado come uno dei terminali della “nuova via della seta” che l’espansionismo economico cinese sta aprendo tra l’Estremo Oriente e l’Europa. Sulla piattaforma Maersk si presentano, comunque, due questioni molto complesse: la prima di carattere ambientale; la seconda di carenza infrastrutturale nel complesso dell’area. Due punti che lasciano tutta la vicenda gravida di grandi incognite;

3)    Istituzioni e sindacati (questi ultimi in particolare) hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa di proclamazione, per alcuni comuni della provincia in particolare Vado Ligure e Val Bormida, di “area industriale di crisi complessa”. A giudizio dello scrivente quest’adesione mascherava semplicemente l’opportunità – per l’appunto molto gradita dalle OO.SS – di poter usufruire di agevolazioni dal punto di vista degli ammortizzatori sociali. Il sistema “Invitalia” ha mostrato, in assenza di un piano industriale preciso, tutte le lacune che già si erano evidenziate nell’azione di questa agenzia statale in altre parti d’Italia. Al termine di un itinerario molto complesso e sfibrante ci ritroviamo con 15 domande di aziende che intenderebbero occupare aree nel nostro comprensorio al fine di insediarsi oppure di allargare la loro presenza. L’occupazione prevista sarebbe di circa 900 unità (il 10% della disoccupazione presente) per una richiesta di contributi per circa 60 milioni di euro. La somma disponibile per l’area industriale di crisi complessa è di 20 milioni. Se non ci saranno incrementi è evidente che ci si troverà di fronte ad una necessità di diniego per alcune aziende con la probabilità che, completato l’iter, i nuovi posti di lavoro saranno non più di 2-300. Ipotesi comunque anch’essa molto ottimistica.

4)    Cancellata colpevolmente la presenza industriale a Savona Città dallo scambio deindustrializzazione /speculazione edilizia che ha visto nel corso degli anni protagoniste l’Unione Industriali e le amministrazioni comunali di centro – sinistra e di centro – destra (a partire dalla “questione morale” di stampo teardiano e poi da Magliotto a Ruggeri fino a Berruti come sindaci da una parte e Gervasio primo cittadino dall’altra), il nodo più intricato del rapporto lavoro/territorio nell’area vadese e in quella della Val Bormida è stato rappresentato dal rapporto lavoro/ambiente emblematizzato da due vertenze storiche: quella ACNA durata decenni e diventata “caso europeo” e quella Tirreno Power. Assieme alla (altrettanto colpevole) dismissione di Ferrania dovuta alla miopia di quella dirigenza industriale in una fase di radicale trasformazione tecnologica del settore, le vicende ACNA e Tirreno Power hanno posto in evidenza il tema delle aree dismesse e del loro necessario riutilizzo e bonifica. Se per l’area Tirreno Power si è avuto l’intervento di Vernazza, che comunque non è azienda produttiva e per l’area di Ferrania potranno essere possibili insediamenti in ragione di assegnazioni derivanti dall’area industriale di crisi complessa, il caso clamoroso rimane quello dell’ACNA. A 20 anni dalla chiusura dello stabilimento e a fronte d’investimenti ad hoc il grado di bonifica dell’area si trova allo 0% (zero per cento), dopo che erano stati promessi mari e monti: addirittura i campi da golf. Il caso della mancata bonifica dei terreni ACNA appare quello più clamoroso ed evidente della trascuratezza (per usare un eufemismo) che le istituzioni a partire dalla Regione, l’Unione Industriali, i sindacati hanno dimostrato nel corso degli anni per, l’industria in provincia di Savona.

Con questo intervento si trascurano, per ragioni di spazio, una serie di considerazioni che pure dovrebbero essere svolte al proposito di diversi argomenti (invecchiamento della popolazione, migrazione, fuga dei cervelli, importante presenza di piccola industria e artigianato).

Lo scopo di questo testo è soltanto quello di riavviare una discussione sui nodi di fondo: senza una presenza industriale adeguata, anche e soprattutto dal punto di vista della qualità tecnologica, non sarà possibile alcun rilancio: i servizi fuggono (logicamente) e il turismo è di secondo, se non di terz’ordine e in ogni caso settore sempre e comunque complementare in una situazione come la nostra e più in generale, siamo vicini, ma non siamo la Costa Azzurra (sul cui territorio comunque non sono rose e fiori).

L’idea sarebbe quella di riflettere su di una “vertenza industria” da supportare con un’adeguata capacità di programmazione, individuando settori e aree d’insediamento e partendo da Piaggio e Bombardier: assicurando la presenza di questi due stabilimenti sul nostro territorio e curandone la capacità tecnologica di competitività a livello internazionale.

Mentre in Francia si stanno esprimendo forme abbastanza classiche di conflitto sociale in una fase di assenza della politica e comunque in linea con la tradizione di quel paese, in Italia potrebbe aprirsi, invece, una forma del tutto inedita di conflitto istituzionale. Il riferimento per questa affermazione è rappresentato dalle dichiarazioni rilasciate dai sindaci di diverse grandi Città, in particolare le due capitali del Sud Napoli e Palermo, circa il “non riconoscimento” e la conseguente “non applicazione” della legge sulla cosiddetta sicurezza approvata dal parlamento in sede di conversione di un decreto del governo.

Franco Astengo

Il conflitto istituzionale, politico e sociale

Il ministro Salvini ed il sindaco di Palermo Orlando

Non è capzioso far notare come l’oggetto del contendere sia una legge di conversione: una legge per l’approvazione della quale si è richiesto, come accade quasi sempre da qualche tempo, un’azione di mera ratifica da parte del Parlamento al riguardo dei cui componenti si sta tramando l’abolizione dell’articolo 67 della Costituzione che non prevede il “vincolo di mandato”.

Verificheremo se l’azione dei sindaci andrà avanti e come questa si espliciterà con atti amministrativi e non semplicemente con prese di posizione poste esclusivamente sul piano della dialettica politica: cioè se, come avrebbe annunciato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, sarà adottata una delibera di “sospensione degli effetti della legge” sul territorio cittadino di competenza oppure nei termini di un eventuale ricorso all’autorità giudiziaria (in ogni caso con provvedimento di sospensione degli eletti di legge)

Fondamentale sarà la motivazione sulla base della quale l’eventuale delibera di “sospensione degli effetti della legge” sarebbe adottata: in particolare nel caso in cui si segnalasse non soltanto la difficoltà (o l’impossibilità) di applicazione ma proprio un giudizio prima di tutto di peggioramento che l’applicazione della legge porterebbe ai termini – in questo caso – di sicurezza sul territorio e in secondo luogo di valutazione preventiva di incostituzionalità (configgendo così oggettivamente con la valutazione del Presidente della Repubblica che ha promulgato questo stesso provvedimento.)

Sarà questo, nell’eventualità si verificasse, un fatto di grande interesse sul piano istituzionale perché porrebbe a diretto confronto diversi organi dello Stato come l’esecutivo centrale, la giunta di una città, la stessa Presidenza della Repubblica chiamando in causa di conseguenza la Corte Costituzionale e ponendo questioni molto complesse.

Si porrebbe comunque un tema di fondo circa le modalità del conflitto a tutti i livelli istituzionale, politico, sociale.

A questo punto andrebbero in discussione sia le capacità di produrre iniziativa da parte dei nuovi movimenti sociali, sia la dimostrazione di sintesi tra conflitto e proposta storicamente esercitata dai partiti (compito cui hanno abdicato ormai da tempo) quanto l’espressione istituzionale della rappresentanza politica.

Ci si troverebbe, insomma, a un punto di svolta della stessa crisi della democrazia liberale.

Si evidenzierebbero così domande non facili cui fornire risposte lineari:

Dove possono stare i termini del conflitto, superata la stagione della materialità immediata della contraddizioni sociali ormai estesesi a una complessità di “fratture” fin qui non valutate nell’elaborazione dell’analisi teorica e politica? . Dove potrebbero stare, in questo quadro, i termini della ribellione?

In una sottrazione individuale ai canoni della sorveglianza imposta o in un recupero dell’identità collettiva legata alle contraddizioni sociali?

Potrà risultare ancora possibile il richiamo all’organizzazione politica intesa come strumento per la realizzazione di una mediazione intesa come collocata oltre, come si vorrebbe oggi, al tecnicismo giuridico, alle “regole”?

Paiono le domande decisive sul nodo della legittimità del potere e del conflitto.

Ed è su questo che, a mio giudizio, sarebbe necessaria una riflessione teorica adeguata, anche se l’urgenza della quotidianità impone visioni di ben più corto respiro.

Qualcuno aveva accennato al tema della “disobbedienza” civile, ma l’azione dei Sindaci si colloca già più avanti entrando direttamente nello schema del conflitto tra istituzioni ponendo questioni di competenza, legittimazione, rappresentanza.

Competenza, legittimazione, rappresentanza: tre nodi che lo svilimento dell’istituzione centrale, dell’architrave del nostro sistema rappresentato dal Parlamento pongono in evidenza come difficili da sciogliere salvo che non li si voglia affrontare attraverso il taglio gordiano dell’autoritarismo.

La lunghissima “transizione italiana”, ancora stretta tra superamento incompleto e imperfetto della “Repubblica dei Partiti”, “federalismo intravisto”, presidenzialismo senza Presidente, potrebbe entrare in una fase diversa da quella del ritorno alla “sovranità” e della sperimentazione della democrazia diretta cui sembravano puntare (divergendo tra loro) i “contractor” (proprio nel senso di occasionali mercenari della politica) del governo.

Franco Astengo


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F.Astengo

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