Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Vangelo e Costituzione 6ª Puntata


La sinagoga. Col prete Gesù non andava troppo d’accordo, o meglio dialogava con tutti, aiutava tutti, ma con le autorità… Don Salvatore non era cattivo, ma era un prete, un potere, la sua parola era incontestabile, come quella del professore, del poliziotto, del capopalazzo, del camorrista… L’adolescente Gesù non voleva ubbidire acriticamente, ma essere consapevole, condividere…

Quello che proprio non gli entrava in testa era il diavolo. Una volta interruppe addirittura l’omelia di don Salvatore durante la messa:

– Sto diavolo vi serve solo per farci paura! Dio è amore, non è timore! Qua se ne parla come se fosse un energumeno che ci aspetta per riempirci di mazzate! Io non lo concepisco un padre che mi fa nascere e poi mi fa gonfiare da un suo ex garzone infedele!

– Fuori! Fuori! Offendi il Signore! E poi con questo linguaggio da bar. Fuori!

– Perché quelli che vanno al bar non sono cristiani? E poi io posso anche parlare raffinato. Non è il linguaggio che cambia la sostanza. Il diavolo non è una persona, è una cosa… una situazione… spirituale! È il male che è dentro ognuno di noi, la parte cattiva, la parte egoista, falsa, violenta, camorrista. Non è invincibile, ma c’è. Pare che dorme, ma sta in agguato. E quando più siamo sicuri… ci sale per le gambe… fino al cervello. A volte ce lo strozza come un cravattaro, ma il Padre nostro ci ha lasciato la capacità di resistere, di vincere le tentazioni. Dipende da noi. Il diavolo come lo dipingete voi preti sta solo nei quadri. Che ve ne fate di fedeli che hanno paura del diavolo, ma fanno peccati a non finire. Non sarebbe meglio cercare di convincere gente come me, che sente qualcosa dentro e vuole capire.

– Fuori! – Rispose senza rispondere il gran sacerdote.

Fuori c’era il campetto, arido come la mente di don Salvatore: neanche le porte, la rete, solo due bidoni ad imitare i pali. Dal terreno battuto emergeva qua e là uno scoglio che non voleva affogare. Come Anita, desiderosa di giocare a pallone, ma rifiutata dai maschi. Secondo lei, rompere le corna a qualche bulletto e sbatterlo sulle pietre per insanguinarlo, era il modo migliore per farsi rispettare. Ecco perché si allenava da difensore: i più aggressivi si piccavano di essere goleador e lei si vendicava giocando, ma a testate e calci negli stinchi.

Gesù si era accovacciato sul lato lontano del terreno di gioco: era stato cacciato dalla chiesa, ma voleva tornarci. Già la scuola aveva scartato parecchi suoi amici, che anche la chiesa escludesse gli sembrava una bestemmia. Una mano si posò sulla sua spalla:

– Non vorrai mica arrenderti? – Era il giovane viceparroco colombiano.

Gesù lo squadrò diffidente quasi fosse il diavolo appena rinnegato.

– No, non sono il diavolo. Sono Juan. Sono il figlio del padre. Il padre del figlio. Quello che ascolta

insomma!

– E perché sei stato zitto, allora!

– Perché sono quello che ascolta.

– Cioè sei come Ponzio Pilato, fai finta di niente? Anche se Ponzio Pilato era molto più furbo e navigato di quello che appare.

– Ora ascolto, domani parlo, dopodomani agisco.

– Ma io non ho molto tempo.

Don Juan era piccolo e tozzo, un fiasco di vino buono, capelli neri, folti come le sue idee. Era a Scampia da un anno e ne aveva poco più di venti. A casa sua, in Sudamerica, si mangiava una volta al giorno, poco e male. La madre aveva convinto il missionario che il figlio aveva qualità e il figlio che avrebbe mangiato tre volte al giorno. Juan senza rendersene conto si era ritrovato con la tonaca addosso e tanta voglia di capire, come Gesù.

I loro dialoghi divennero frequenti, anche se Gesù a volte gli inviava un sms per disdire l’appuntamento. Una mattina il colombiano lo aspettò contrariato fuori alle Vele e gli comunicò:

– Tu non diventerai mai sacerdote.

– No, sei tu che sei malato! – Lo apostrofò Gesù. – Mio padre mi ha sempre augurato di essere felice. E io quando sto con Serena, la prendo per mano, sono felice. Perché mio padre dovrebbe punirmi? A te non viene mai voglia? Se dici no, sei un ipocrita.

– Sì che mi viene, ma ho sposato il Signore.

– Anche io credo in mio padre e voglio diffondere la sua parola, ma lui non ha mai detto che non posso amare una donna o che non devo avere figli.

– Non solo il Vecchio ma anche il Nuovo Testamento lo vietano.

– Testamento, testamento, ma parlate ancora di morti? Io voglio parlare di vivi, portare gioia, speranza, giustizia!

– Ma chi supponi di essere, il Messia?

– Eh, eh, lo capisci che sono dovuto tornare! Duemila anni fa cercai di essere chiaro, ma hanno annacquato i miei discorsi. E allora sono tornato, per una interpretazione autentica del mio pensiero.

– Tu sei pazzo!

– Anche duemila anni fa me lo dissero.

Il sole domenicale era un acquerello soffuso, quasi vezzeggiava il calcestruzzo senza fiori, lo dirozzava e lo invogliava alla riflessione, alla malinconia allegra dei ricordi, alla ricongiunzione delle voci, alla unicità dell’insegnamento.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente… non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare (Matteo, 23:13).

Non è il Dio dei morti, ma dei viventi! (22:32).

Michele Del Gaudio



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