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Liguria e Basso Piemonte

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‘Honoris causa’ a Gian Luca Vignale: in Piemonte finanziare se stessi


Non poteva finire peggio la legislatura piemontese. Un consiglio inprorogazio approva una legge contro la montagna sotto la pressione della casta Uncem e con un inciucio tra PD e centro-destra. 20 sindaci fanno ricorso. Piemonte: è rivolta  dei sindaci dei piccoli comuni delle Terre Alte 14 milioni alle Unioni, agli altri zero.

 

Gian Luca Vignale assessore alla Montagna del Piemonte

Pessima figura del Consiglio Regionale piemontese, del centro-destra e anche della Lega che dopo tanti proclami non hanno il coraggio di opporsi ad una manovra della sinistra che va contro l’autonomia dei comuni e accentua la tendenza a cancellare l’identità delle comunità locali e a concentrare il potere in quelle caste locali che sono il terminale delle segreterie dei partiti e di interessi estranei al territorio (la vicenda biomasse speculative sta lì a dimostrarlo).

Quello che è succeso è che il Consiglio Regionale ha approvato il Disegno di Legge n. 373 Legge sulla Montagna. Una legge per la quale il Consiglio Regionale , per effetto della sentenza del Consiglio di Stato di poche settimane fa, non era titolato a legiferare non risultando sostenibile accampare pretesi motivi di indifferibilità e di urgenza. Infatti il Piemonte una Legge sulla Montagna ce l’ha già: la LR 11 del 2012. E allora? Perché operare una forzatura così smaccata? Perché ci sono in gioco grossi interessi di potere, grossi interessi economici.

UNCEM, ANCI, Legautonomie (la “lobby della casta degli amministratori) e i partiti politici statalisti (in primis il PD, ma il centro-destra si accoda) intendono eliminare gli ultimi baluardi di automonia e democrazia: i comuni.

Il disegno è scoperto e non viene avanti neppure solo in Italia (è in atto persino nella senz’altro più democratica Svizzera). Si vuole concentrare il potere di amministrazione dei territori nelle mani di cerchie tecnocratiche, svincolate da mandati di rappresentanza democratica, svincolate da un mandato da parte delle comunità locali, da quelle unità primarie di organizzazione civile – prima ancora che politica-  che sono i comuni. I quali,  nonostante lo stato moderno li abbia gradualmente inquadrati nel suo apparato, sono anche incoercibile espressione della comunità.

Casoni, che non esista a dichiarare che i piccoli comuni sono stati traditi dal centro-destra con un vero e proprio inciucio con il PD. Cosa arriverà in cambio non è dato di sapere.

Tra i fautori dell’inciucio di certo ha un ruolo chiave l’assessore Vignale che, di recente, in occasione del riparto del Fondo peQuanto messo in atto va nella direzione di un ulteriore processo di esproprio di autogoverno che, in Piemonte, è stato particolarmente precoce in forza del potere sabaudo. Va in direzione opposta a quanto, invece, appare oggi necessario di fronte alla crisi, che non è solo economica e sociale ma anche crisi di un modello istituzionale che ha trasferito troppe funzioni in capo alle istituzioni politiche formali togliendo alla società e ai “corpi intermedi” capacità di autogestirsi in modo flessibile, aderente ai bisogni reali, in modo meno burocratico e più economico. Che la sinistra perseveri in quella che è la propria ragione sociale è scontato, che la “destra” si accodi è solo riflesso della sua pochezza.

Casoni: “Un inciucio ai danni della montagna vera”

Solo William Casoni di Fratelli d’Italia, ex assessore alla montagna, ha il coraggio di votare apertamente contro mettendoci la faccia e restituendo un barlume di dignità a un consiglio regionale in un clima da fine impero e di accordi sotterranei tra i partiti.  Di questi sono probabilmente mallevadori gli assessori Riccardo Molinari e Gian Luca Vignale che hanno barattato sulla pelle dei territori più deboli.

Dentro FI e la Lega il dissenso si è espresso più con astensioni e uscite dall’aula che con aperti distinguo e dissociazioni proclamate. È lo stesso r la montagna, aveva concesso la non modica cifra di 45 mila euro all’Uncem (vai a vedere)

Qualcuno sospetta che ci possa essere un avvicendamento alla guida dell’Uncem. Ma se anche così fosse si tratterebbe di un piatto di lenticchie in quanto l’ente resterebbe saldamente in mano al PD, specie se la legge approvata oggi riuscirà a scansare i ricorsi e ed entrerà in vigore.

Qualcuno ritiene che abbiano pesato sulla posizione del centro-destra i sindaci dei grossi comuni (non sono tutti PD); se così fosse si confermerebbe l’eterna debolezza del centro-destra che sacrifica gli interessi strategici e delle proprie basi sociali e territoriali a quelli momentanei e personali. Così un PD spappolato può continuare a far valere la propria egemonia.

Ad aggiungere amarezza (o rabbia a seconda dei casi) vi è, in ogni caso, anche un’ulteriore circostanza. raggiunti telefonicamente da sindaci ed esponenti locali valligiani gli esponenti del centro-destra avevano garantito che non avrebbero fatto passare la legge. Così hanno confermato solo inaffidabilità.

Un sindaco guida la rivolta diffidando il Consiglio regionale (e preparando il ricorso)

Gian Piero Pepino (nella foto), sindaco di Entraque, nella lettera di diffida inoltrata al Consiglio Regionale per indurlo, senza successo, a desistere dall’approvazione del DDL n. 373,  ha usato parole molto chiare per delineare la nuova situazione in cui i comuni – sotto il ricatto finanziario – sono forzati. costretti ad entrare nelle Unioni montane, Unioni di comuni che fanno rivivere sotto mentite spoglie le vecchie e fallimentari Comunità Montane

 “Il disegno di svuotare di ogni ruolo i Sindaci legittimamente eletti, di ridurli a mere figure di rappresentanza che firrmano le carte di identità e inviano la letterina di Natale ai loro Cittadini è sicuramente funzionale alla bramosia di potere degli organismi sopra citati e di altri che per questione di spazio ho omesso di citare, ma non potete anche pretendere di spacciario come un intervento a favore della Montagna o almeno non potete seriamente pensare che siamo tutti disposti a essere consapevoli complici di questo disegno scellerato”.

Il sindaco di Entraque incalza:

“Secondo gli ispiratori del DL 373, dovremmo tutti aderire alle Unioni di Comuni, ovviamente se molto grandi è ancora meglio, per consentire ai potenti, o aspiranti tali, di turno di decidere nelle segreterie dei partiti o nei CAL o in qualche altro luogo della NON democrazia, chi sarà il “super sindaco” chiamato ad approvare le uniche cose che veramente interessano: gestione dell’acqua, gestione dei rifiuti, produzione di energia nelle varie forme, gestione delle risorse (comunitarie, nazionali e regionali) destinate agli investimenti. Il DDL 373 serve sicuramente a costoro ma non serve alla Montagna e non serve a chi in montagna ci vive e ci lavoral Gli Enti che desiderano costituirsi in Unione Montana lo possono già fare oggi in base alla normativa statale e alla LR 11 2012 che è la Legge Regionale sulla Montagna del Piemonte”. Pepino è stato seguito da altri 20 sindaci.

Comuni vasi di coccio

Che peso avranno nelle Unioni i comuni con poca popolazione ma un vasto territorio da gestire? La fine dei vasi di coccio. Le loro esigenze saranno automaticamente fatte passare in secondo piano rispetto a quelle di comuni con indici di montanitàmolto più bassi ma demograficamente più importanti, più vicini alla pianura e alle città e ai centri del potere. Una logica opposta a quella della giustizie e della solidarietà. Se qualche comune delle Terre Alte ha la fortuna di ricavare risorse significative dallo sfruttamento idroelettrico, esse finiranno nel calderone delle Unioni invece che essere utilizzate sul posto per controbilanciare lo svantaggio delle valli meno facilmente accessibili. Al di là di queste considerazioni politiche va detto che il pressing dell’Uncem si spiega anche con considerazioni molto più terra-terra.

L’Uncem è divenuta negli anni, come tanti enti in Italia, un’agenzia, un’azienda di servizi che campa (fa campare i suoi dirigenti e le cerchie collegate) vendendo agli enti locali servizi più o meno indispensabili. Essa vanta crediti per parecchie decine di migliaia di euro nei confronti delle Unioni dei comuni per corsi di formazioni (utili – a prescindere dagli obiettivi formativi – a distribuire un po’ di risorse ai giri clientelari). Non serve particolare malizia per intuire che il sigolo comunello difficilmente abbocca di fronte all’offerta di servizi da parte dell’Uncem o di altre agenzie. In un’Unione dove chi decide non deve spiegare di persona ai suoi cittadini ed elettori come spende i soldi in tempi di crisi, dove le decisioni sono demandate a figure tecniche (o pseudo tali) vicine o dentro le cerchie è più facile “vendere” servizi per l’automantenimento di caste e clientele.

L’Uncem con il presidente nazionale Borghi (PD) e quello piemontese Lido Riba (nella foto – pure PD) si camuffa da partito delle Terre Alte… ma ha sempre in testa le centrali a biomasse

Nelle Alpes piemontesi dopo lupi e linci arrivano i gattopardi

L’Uncem Piemonte (fortemente targata PD) per le prossime elezioni comunali gioca al gattopardo e lancia el liste civiche Alpes. Facendo il verso un po’ all’antipolitica un po’ ad iniziative locali che si richiamano alle Terre Alte come dimensione di una iniziativa politica autonoma (dai partiti di destra, centro e sinistra). Indecoroso il richiamo alla Carta di Chivasso e lo sbandieramento di valori quali Libertà, Autonomia, Partecipazione, Sussidiarietà

La dirigenza dell’Uncem è espressione di una casta politica che sfrutta l’elezione a sindaco in un paese di montagna per proiettarsi sulla scena politica, per entrare nel “giro”. Ad essere buoni è un “sindacato degli amministratori”, che tutela sé stessi e quelli che sono collocati in enti che appartengono al sistema dei “vasi comunicanti” e che consente ha chi è cooptato di restare sempre a galla con una cadrega e una prebenda.

Oltre alle Comunità montane ci sono i BIM, i Consorzi, le Fondazioni, le Multiutility. Ad essere meno buoni la cupola Uncem è una “cabina di regia” che promuove progetti che con la valorizzazione delle Terre Alte hanno ben poco a che fare ma che consentono lucrose ricadute per gruppi politico-economici. La politica dell’Uncem a sostengo della realizzazione di centrali a biomasse – lanciata già da almeno 6 anni orsono con le teorizzazioni di Enrico Borghi sulla “green economy” ne è lampante dimostrazione. E così molti sindaci delle Terre Alte, quelli che accettano la carica non per entrare nei “giri” ma per spirito di servizio verso comunità in difficoltà, vedono l’Uncem più come una controparte (e come una casta) che come una struttura di rappresentanza delle comunità di montagna. Tanto più che è palese la subalternità politico-culturale dell’Uncem all’Anci (dominata dagli interessi delle grandi città).

Lasciate stare la Carta di Chivasso e i veri autonomisti

Non è la prima volta che, in vista di un appuntamento elettorale, pezzi della partitocrazia si camuffano da autonomisti. Il 10 giugno scorso, in vista delle elezioni politiche a Chivasso si radunarono alcuni politici di varie regioni. A tirare le fila era Lorenzo Dellai, l’ex presidentissimo del Trentino. Un personaggio totalmente inserito nei giochi politici italiani (a differenza dei politici valdostani e dei sudtrolesi) ma che pretende di poter mantenere per il “suo” Trentino tutte le prerogative dell’autonomia. Dellai riuscì a radunare alcuni politici valdostani in disaccordo con il principale movimento autonomista della Vallèe, l’Union Valdotaine a capo del governo regionale.
Piemontesi (PD) e trentini (“autonomisti” dell’ultima ora dell’UPT come lo stesso Dellai) e un ladini in disaccordo con la SVP. Tra i politici che affluirono a Chivasso alcuni erano in carica altri desiderosi di riciclarsi. Erano presenti Enrico Borghi, presidente dell’Uncem e altri prodi dell’Uncem che in questi giorni stanno replicando la sceneggiata “autonomista“.

Che fine (misera) fece l’Alleanza alpina di Dellai è noto. Il presidentissimo preferì saltare sul carro nazionale di Mario Monti (un carro che sa più di massoneria, Bce, Bilderberg che di valli alpine), con la prospettiva di conquistarsi posizioni governative. Invece sfumò anche la presidenza della Camera che gli fu soffiata dalla Boldrini. Gli sfolgoranti successi di “Scelta civica” (e l’evidente bruciacchiatura della pelliccia della volpe Dellai) sono cronaca.

Apparentemente immemori di questo recente precedente i “nostri” dell”Uncem ci riprovano con il loro teatrino che non rinuncia, ancora una volta, ad uno sgradevole richiamo alla Carta di Chivasso. Sgradevole e vagamente blasfemo perché nel 1943 a Chivasso c’erano personaggi di grande levatura morale e intellettuale, a partire da Emile Chanoux,il leader dell’antifascismo valdostano, di marcata impronta autonomista e francofila (poi trucidato dai fascisti su soffiata dei comunisti che lo avversavano non meno dei neri).

Emile Chanoux


Nel richiamarsi alla Carta di Chivasso Dellai & c. ieri, Borghi & c. oggi forse non si sono resi conto che le parole utilizzate dai federalisti di allora per denunciare la politica fascista ai danni della montagna alpina potrebbero essere utilizzate per condannare allo stesso modo la politica dei regimi succedutisi nel dopoguerra. E dei partiti a cui – pur nel cambiamento di sigle – sono stati legati o sono comunque affini i protagonisti delle attuali operazioni (palesemente legati al PD, il bastione della continuità del regime).

… i vent’anni di mal governo livellatore ed accentratore sintetizzati dal motto brutale e fanfarone di «Roma ladrona» hanno avuto per le nostre valli i seguenti dolorosi e significativi risultati: oppressione politica […], rovina economica […], distruzione della cultura locale […]

Nei decenni succeduti alla caduta del fascismo le Terre Alte hanno subito uno spopolamento feroce, uno sfruttamento – senza contropartite – delle risorse (vedasi idroelettrico). Con la parziale eccezione delle regioni e provincie autonome è proseguita l’opera del fascismo di distruzione delle culture delle lingue locali (la legge sulle minoranze linguistiche è del 1999 e nulla prevede per la tutela del piemontese, del lombardo, del veneto).

Appuntamento a Torino

La nuova patacca dei soliti noti questa volta si chiama “Alpes” nientemeno che “Autonomia, Libertà, Partecipazione, Energia, Sussidiarietà”. Non si può dire che non abbiano lesinato in snocciolamento di “valori fondanti” i “cervelli” dell’operazione: Enrico Borghi e Lido Riba. Con loro, almeno per per ora, ci sono solo una decina tra sindaci e presidenti di comunità montane. Tutti della stessa colorazione politica. Si prefiggono di “presentare le liste civiche e il simbolo Alpes su tutte le Alpi”. Ma l’operazione è chiaramente made in Piedmond. I promotori assicurano non voler rappresentare l’anticamera di un nuovo partito (e su questo non abbiamo difficoltà a crederci visto che sono legati a mamma PD).

Visto l’esito dell’operazione guidata da Dellai lo scorso anno è da ritenere che tutto si limiti ad un po’ di restyling e che l’operazione, guadagnata un po’ di visibilità elettorale, non sortirà in alcuna aggregazione stabile.

L’Uncem si mette la maschera

Da qualche anno a questa parte l’Uncem aveva puntato a costruirsi un’immagine manageriale, modernista, senza esitare ad assumere una visione tecnocratica, da “teste d’uovo” (con apporto di guru come Aldo Bonomi). Una delle trovate della “Nuova Uncem” era stato lo slogan “la montagna da problema a risorsa”. Con l’avvento della “green economy”, che ha aperto la prospettiva di facili guadagni speculativi per gruppi spregiudicati, provvisti di buoni agganci politici, la “montagna risorsa” è stata intesa dalle teste d’uovo dell’Uncem nell’accezione predatoria di sfruttamento della montagna quale fonte di energia. Sfruttato sino all’ultimo rivolo l’idroelettrico si doveva puntare sul “petrolio verde” sui boschi.

In realtà la retorica delle biomasse, dell’energia rinnovabile nasconde la pura speculazione di chi realizza e gestisce centrali che producono energia elettrica super incentivata regalando alle comunità locali traffico pesante inquinamento (le centrali sono spesso costruite vicino a case e scuole perché devono dimostrare di sfruttare l’energia termica sotto forma di acqua calda). Il costo del cippato importato è però pari alla metà di quello locale e i piani dell’Uncem di sfruttamento forestale gestiti dalle Comunità Montane sono una foglia di fico che consente l’approvazione dei progetti delle centrali. Poi useranno altro.

Il business biomasse richiede sindaci e presidenti di comunità montane conserzienti, che fingono di credere alle storielle delle biomasse “pulite e rinnovabioli” e “a km 0”.

Ora, senza lasciar cadere la vocazione “energetica” dell’Uncem e di Alpes si cerca di confondere le acque mettendo in sordina l’arroganza tecnocratica e prendendo a prestito slogan come “partecipazione”. Una bella faccia tosta perché uno dei requisiti per poter veder autorizzate le centrali a biomasse è l’assoluta mancanza di partecipazione delle comunità interessate che, quando informate per tempo, costituiscono comitati e si oppongono strenuamente a iniziative che hanno il solo scopo di arricchire i furbi (e chi da loro una mano).

La politica Uncem sulle biomasse si colloca sul gradino sotto zero della scala di Arnstein della partecipazione ovvero è sul gradino della “manipolazione” (tenere nascoste le informazioni e propalare informazioni false del tipo: “le biomasse non inquinano”). Quanto agli altri “valori” di Alpes (eccetto “energia”) possiamo dire che sono messi lì solo perché servono a comporre l’acronimo.

Quasi un plagio (ma è solo apparenza)

Il finto rivendicazionismo in nome delle Terre Alte dell’Uncem in versione Alpe echeggia (superficialmente) le elaborazioni sviluppatesi (dal basso) in questi anni. Proprio in Piemonte, nelle valli cuneesi, è nata lo scorso anno l’associazione Alte Terre. Essa pone il problema di una rappresentanza dei territori alpini che superi i criteri “un uomo un voto” che penalizzano comuni, valli, territori ampi ma scarsamente popolati attraverso un disegno delle circoscrizioni (per il parlamento nazionale e regionale) che tenga conto del fattore territorio oltre a quello del peso demografico. Una rivendicazione che difficilmente l’Uncem legata al carro dell’Anci e del PD (che ha maggiori consensi nei centri urbani) potrà mai sottoscrivere.

Più concretamente Alpes non potrà mai approvare gli altri punti del programma di Alte Terre: utilizzo dell’energia per usi locali e per facilitare l’attività delle piccole imprese, no alla produzione di energia da biomasse per produrre energia elettrica da immettere nelle reti nazionali, si al controllo dei lupi che mettono ancora più in difficoltà le attività di allevamento nelle valli (quelle che più di ogni altra esprimono un legame territoriale e possono rappresentare occasioni di lavoro e reddito per le famiglie dei piccoli centri delle alte valli). Su tutte queste questioni concrete e “cartine al tornasole” di una posizione a favore o contro le Terre Alte l’Uncem, o i singoli personaggi che si sono espressi a favore dell’operazione, o non dicono nulla o dicono cose che vanno in senso opposto. Così al primo confronto serio Alpes verrà smascherata per l’operazione di maquillage che è. Le Alpi non sono terra per i gattopardi. Se ne facciano una ragione.

Dove vanno i fondi della Regione Piemonte per iniziative finalizzate alla valorizzazione e salvaguardia del territorio, delle tradizioni e culture locali e di promozione all’occupazione?

Terre Alte prese in giro

Dove fanno i fondi in Piemonte?

Anche se, dati i tempi, si corre il rischio di sparare sulla Croce Rossa può essere utile andare a vedere come la Regione Piemonte “Fondo per la montagna” ha elargito i “contributi per lo sviluppo delle Terre Alte e la salvaguardia delle loro culture e tradizioni”

I media preferiscono soffermarsi sulle mutande e le miserie dei rimoborsi perché parlare di criteri dalla spesa regionale troppo spesso attenti alla spartizione e a compensare gli amici o comunque chi è capace di attirare l’interesse dei politici, ma disattenti ai bisogni dei territori e al sostegno delle forze sociali vive.  Sono criteri  “trasversali”. Riguardano le vecchie e le “nuove” forze politiche: la destra, il centro e la sinistra.

Chi lascia la guida della Regione e chi si assume a riprenderla e a rinfrescare consolidate posizioni di potere. Va da sè che quello che succede in Piemonte trova riscontro in regioni vicine e meno vicine. Parliamo del Piemonte per due motivi: 1) perché, a differenza di altre regioni ha un Assessorato alla montagna e ci tiene a dimostrarsi sollecito verso le Terre Alte; 2) perché nel caso dell’Assessore alla Montagna siamo di fronte ad un politico che … ha finanziato sé stesso con grande sensibilità per il “conflitto di interesse”.

L’assessore annuncia il piano dei riparti dei fondi per le Terre Alte

L’obiettivo – dichiarava l’assessore regionale all’economia montana Gian Luca Vignale – è di promuovere una politica di sostegno alle attività e alle iniziative in grado di valorizzare le tante risorse della montagna e contemporaneamente lavorare in sinergia con Comuni, Comunità montane e Associazioni. In particolare le misure finanziate vogliono attirare l’interesse dei giovani verso la montagna, dando al contempo nuovo impulso alle tante attività sportive, economiche, turistiche, enogastronomiche e culturali  presenti nei territori montani”. Belle parole. Come al solito. La realtà è, come vedremo subito, più prosaica, anzi squalliduccia.

Come diceva Vignale le attività capaci di fornire nuovo impulso allo sviluppo delle Terre Alte sono tante. Tantissime. E visto che i fondi sono quelli che sono andrebbero selezionate quelle in grado di promuovere modelli virtuosi in grado di raccordare tra loro valenze culturali, turistiche, e gastronomiche. Che senso ha promuovere il modello del turismo della neve ormai più che maturo? Un modello che implica – a differenza delle nuove forme di turismo rurale- pesanti investimenti, cementificazione, concentrazione di flussi e presenze turistiche, scarsissima integrazione con la dimensione culturale.

Sempre neve (altro che Terre Alte)

Eppure tra gli interventi a favore delle Terre Alte troviamo che 37.000 euro sono stati assegnati al Cus per un progetto di interazione tra la scuola, la pratica degli sport invernali e il mondo della montagna. Con la scusa di “avvicinare i govani alla montagna” (ma non funziona meglio in estate?) si giustificano i fondi con il “sostegno dell’economia montana nel suo insieme (imprese di risalita e gestori di anelli di fondo, albergatori, ristoraratori, associazioni culturali, guide alpine, etc.)”.

Ancora una volta, va sottolineato che il turismo legato allo sci è quello che ha creato località artificiali, violentando paesaggio e culture locali e concentrando risorse e sottraendole alle aree prive di impianti sciistici ma caratterizzare da valenze naturalistiche e culturali.  A conferma di una linea che con le Terre Alpe c’entra poco ma che punta a sostenere gli interessi dell’industria della neve sono stati stanziati altri 30.000 euro per azioni di promozione del sistema neve piemontese, con particolare attenzione agli strumenti di comunicazione multimediale quali l’implementazione e la redazione sito web “Piemonteneve.com”, oltre che la creazione di App per dispositivi mobili. E se non bastasse: ” Sono stati anche destinati contributi al Comune di Traversella e al Comune di Groscavallo diciassette mila euro di contributi per la messa in sicurezza del comprensorio sciistico di Palit e della Pista di Fondo “8 Villaggi“.

Veniamo poi all’automantenimento dell’apparato istituzionale parassitario: “Per meglio definire delle linee strategiche e gli ambiti di intervento del Programma europeo Leader 2014/2020 e assistere i GAL piemontesi nelle azioni finalizzate alla chiusura del periodo di programmazione ed alla costituzione dei partnernariati locali sono stati assegnati contributi all’associazione Assoleader” (organismo di rappresentanza dei progetti Leader locali). Sempre a favore di strutture che consentono ai politicanti (in piena attività e in disarmo) di sbarcare il lunario altri 45.000€ di contributo istituzionale all’Uncem Piemonte.

Per le Terre Alte?

Poi ci sono 38.000 € euro per il finanziamento del secondo festival di PiemontedalVivo, un circuito di eventi culturali, spettacoli, concerti che riguarda solo in piccola parte le Terre Alte e in massima parte circuiti che coinvolgono il pubblico cittadino, quel ceto intellettuale che la sinistra (ma anche la destra) “si tiene buono“. Tra le tante iniziative spot che beneficiano non già le Terre Alte ma in questo caso i fortunati che si sono fatti pagare le loro iniziative (e i loro banchetti): € 3.000 al Museo del Gusto di Frossasco per la realizzazione di uno spettacolo con banchetto a conclusione di un laboratorio teatrale franco-italiano al Colle del Moncenisio.

Dulcis in fundo uno stanziamento di € 17.000 all’Associazione  Rete di Cultura Popolare come contributo per la realizzazione dell’Archivio della cultura popolare. L’Associazione in questione nasce nell’ambito del Festival delle Provincie (quindi istituzionale). Patrocina un’idea di “cutura popolare” tra il folklore e una “integrazione di culture” che si traduce nel declinare al popolare le iniziative dove si fa folklore napoletano e calabrese (a Torino). L’Archivio della cultura popolare promosso dalla Rete è un insieme eterogeneo di pubblicazioni, iniziative testimoni locali dei cultura popolare che sfiora appena le Terre Alte.  

Le perplessità su questa voce di spesa lasciano il posto ad altre considerazioni quando si constata che il direttivo dell’associazione è composto da: Città di Torino – Maurizio Braccialarghi, Regione Piemonte – Gian Luca Vignale – AICS – Ezio Dema (nella foto) -Associazione Teatro delle Forme – Valter Giuliano- Provincia di Sassari – Alessandra Giudici.  Vignale ha finanziato sè stesso. Normale in Piemonte e in Italia ma non per questo meno scandaloso. E offensivo per le tante iniziative, sostenute in larghissima misura dal volontariato che vengono promosse nelle Terre Alte e le tengono vive ma che quando chiedono modesti sostegni alle istituzioni si sentono ripetere che: “non ci sono più soldi“.

A cura di Mauro Arneodo

ULTIMA ORA – Al Comune di Briga Alta non passa la delibera consigliare di Unione dei Comuni. Vedi ordine del giorno del consiglio comunale di martedì 8 aprile 2014 (leggi).

Tra i consiglieri presenti, Giorgio Ferraris, assessore, candidato sindaco di Ormea che pare abbia perso il controllo della situazione. Si trattava di approvare un regolamento partorito da Ferraris ed affini, per un’unione di comuni da lui concordata. Per funzionare, oltre il regolamento approvato,  ci vuole una deroga. Hanno votato a favore in 6: il sindaco, i suoi 2 figli (consiglieri), il vicesindaco (cugino primo della moglie del sindaco), il futuro sindaco (?) di Ormea   (assessore),  il fratello (assessore) di quello che alcuni anni fa, con un gesto estremo, ci ha lasciati. Contro in 5, chiedendo di lasciare la decisione ai futuri eletti. Un astenuto:  Enrico Toscano. Un assente. Bisognerà aspettare le prossime mosse.


 


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