Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Una strega a processo. Nel ponente fu una vera e propria psicosi. Morivano sotto i supplizi del boia tra Triora, Badalucco e Castel Vittorio


Il paese di Triora è famoso per essere stato sede di uno dei più importanti processi alle streghe, celebrato nel 1587. Tra leggenda e storia.

Eccone la storia. A Triora infuria la carestia da anni e il popolo ha bisogno di un colpevole; così alcune donne sono accusate di avere provocato la carestia con le loro pratiche e quindi colpevoli di stregoneria.  Viene così imbastito un processo contro trenta donne. Due di loro muoiono dopo pochi giorni, una a causa delle torture e una gettandosi dalla torre dove era tenuta prigioniera. Tredici donne, tra cui quattro con meno di 14 anni, e un bambino si dichiarano colpevoli. L’autorità civile di Genova inasprisce il clima di terrore ed estende la ricerca delle streghe anche ai borghi vicini, come Badalucco e Castel Vittorio, dove continuano torture, supplizi e morti con l’effetto di indurre le donne a confessioni e rivelazioni che hanno l’unico scopo di fermare i supplizi sui loro corpi. La tortura viene considerata dai giudici un modo per sconfiggere la resistenza del maligno dentro le donne e costringerle dire la verità, in realtà, queste per far cessare il supplizio ammettono di essere streghe e per di più inventano ulteriori particolari per evitare di essere sottoposte a torture.

Isotta Stella, 60 anni, che non regge alle sofferenze muore per le ferite provocate dalle torture, un’altra precipita dalla finestra da cui tentava di fuggire. E la lista delle streghe dopo le “confessioni” si allunga. Da venti si arriva a più di duecento nomi. Il ponente ligure è attraversato da una vera e propria psicosi. Il Doge di Genova preoccupato per l’andamento di questo processo chiede, attraverso il vescovo, delle spiegazioni all’inquisitore ottenendo delle risposte che lasciano intendere chiaramente l’idea che il principale responsabile del processo si è fatto: “La donna morta era stata torturata senza riguardi perché era robusta e perché era rea confessa di adorazione del demonio (… )Che la donna che era caduta dalla finestra si era suicidata su istigazione del diavolo (…) Che le bruciature alle piante dei piedi delle donne erano lievi e queste erano riuscite a tornare in cella sulle loro gambe e infine (…) Che la stanza della tortura era troppo piccola per fare un buon lavoro “.

A quel punto, arrivò a Triora, inviato da Genova, un commissario civico che riprese le indagini e gli interrogatori. Morirono ancora altre donne sotto i supplizi del boia. Non ci furono però i roghi che tutti si aspettavano anche se furono individuate altre quattro streghe nei paesi vicini a Triora, Andana e Montalto. Dopo un certo periodo avvenne una svolta importante: il processo fu trasferito a Genova dove tredici donne, quattro bambine e un bambino insieme a un uomo, vennero rinchiusi nella torre Grimaldina. Fu istruito, così, un altro processo e arrivarono a Genova anche le ultime persone arrestate. Nel 1588 arrivarono le condanne al rogo per tutti gli imputati. Nel frattempo, erano morte per gli stenti e i maltrattamenti altre cinque donne.

Come di svolgeva un processo- La stregoneria era un complesso di pratiche magiche e rituali simbolici messe in pratica dalle cosiddette “streghe”, considerate esseri soprannaturali maligni o persone comuni che praticavano magia nera; di solito si trattava di donne sole, vedove, forestiere o che avevano una “cattiva fama”.Molte delle donne incolpate erano guaritrici che avevano la capacità di curare le malattie con rimedi magici e conoscevano lutilizzo di medicinali fatti con erbe e piante ; la maggior parte delle persone infatti non poteva permettersi di consultare un medico e quindi ricorreva a queste donne guaritrici.
Se riuscivano a guarire erano santificate, se fallivano erano considerate spiriti malvagi.
Tra le credenze popolari c’era anche quella che riteneva che le streghe potessero trasformarsi in animali, in particolare in gatti, l’animale per eccellenza associato al diavolo. Altri credevano che potessero mutarsi in lupi mannari aggirandosi di notte alla ricerca di prede. Si pensava anche che avessero potere nei confronti degli elementi della natura, che potessero scatenare temporali e fulmini.
Questo alterava la normalità della vita di un borgo, perché tutto ciò che esulava dalla ” normalità”, il diverso, era guardato con sospetto ed era fonte di timori. Per questa ragione chi era sospettato di stregoneria era ripudiato e viveva ai margini della società e il suo comportamento era denunciato alle autorità ecclesiastiche e a quelle civili, che sottoponevano l’accusata a un vero e proprio processo.

Esso si divideva in diverse fasi: la denuncia, l’inchiesta e il processo vero e proprio. Bastavano due testimoni “attendibili” per una condanna. Diversi erano i casi di denunce di vicini o di chi era desideroso di “disfarsi” di donne non gradite.
La denuncia poteva venire sia da un accusatore che aveva delle prove, sia da un accusatore senza prove, ma che godeva di buona fama. Il giudice avviava il processo e davanti a un notaio si faceva dire dall’accusatore se le accuse presentate erano per esperienza diretta o per sentito dire. Si procedeva, poi, con l’inchiesta che era la prima fase per giudicare una persona, con l’interrogazione non solo dei testimoni diretti, ma di gran parte del popolo. A questo punto il tribunale pubblicava due editti: l’editto di Grazia, con cui si assolveva chi si fosse spontaneamente denunciato entro un determinato lasso di tempo, e l’editto di Fede, con cui si obbligava chiunque fosse stato a conoscenza dell’esistenza di una strega a farne pubblica denuncia. Dopo l’inchiesta l’imputato veniva arrestato oppure rilasciato su cauzione. L’imputato non poteva sapere né per cosa era stato accusato né chi fossero i testimoni fino al momento del processo.

Miniatura che raffigura la tortura e il rogo per stregoneria

Per ottenere la confessioni si usava spesso ogni forma di tortura, “citra membri diminutionem et mortis periculum“, salvo mutilazione e pericolo di morte: le più comuni erano la corda, la ruota, la frusta e la lapidazione. Alcune streghe resistevano alle torture e venivano rilasciate, altre non ce la facevano e confessavano anche reati non commessi, per evitare di soffrire.

La sentenza poteva essere di assoluzione (previa condanna a pene lievi, di natura più che altro morale: penitenze, pellegrinaggi, preghiere), prigionia ( temporanea o a vita) o di morte sul rogo o per lapidazione.

L’incisione si riferisce al processo di Triora

Medicamenti, malefici e sortilegi- Come detto i medici mantenevano grande riserbo sulla propria arte. Proprio per questo ricette di ogni genere per i mali del corpo come per quelli della mente circolavano nella cosiddetta Sapienza popolare venendo appuntati anche nei registri dei notai. Dal cartolari presso l’archivio di Stato di Savona che si riferisce agli anni 1213 1216 si ricava un processo per stregoneria in cui l’imputata era accusata di fare uso come medicamento di grande quantità di melograno in infuso di vino e due libbre di zucchero.

Altri medicamenti citati nelle annotazioni dei notai liguri, in particolare di Genova, sono la radice di galanga (pianta della famiglia delle zenzero e del cardamomo) che serviva per alleviare i dolori di stomaco, favorire la digestione, combattere l’emicrania, la stitichezza, la melanconia, il mal di pietra o mal d’amore e perfino per rallentare la vecchiaia. Ugualmente citata più volte è la liquirizia , in polvere o in succo, contro la tosse, i bruciori di stomaco, i dolori al fegato e al petto e perfino nella medicazione delle ferite. Il muschio è citato come rimedio contro la peste e la corruzione dell’aria e con esso « si conforta il cervello, il cuore e specialmente la matrice (disturbi dell’utero).». Arnaldo di Villanova lo indica come componente del suo celebre «letificante, acqua nobilissima et perfecta a tutte passione e schiara la vista, conforta la digestione, reduse bono stomaco,retarda li peli bianchi, zua a la vista et a la testa e lieva la sua graveza, aida la virtude naturale, conforta tutti gli spiriti.» [Laura Balletto, Medici e farmaci, scongiuri e incantesimi nel medioevo genovese, Collana storica di fonti e studi, Genova, 1986].

Contro la scabbia, che doveva essere diffusa tra i fondaci dei porti, il notaio Lamberto di Sambuceto annota che è ottima medicina « Primo de comino, de melle, de sale, de sulfaro et de trementina, et pistare ben insimul (pestare il tutto) . Et postea accipe de olleo, de maschio (muschio) et argento vivo (mercurio) et fac simul bollire bene,pone in quondam buxola (scatola) et habebis bona aromata (otterrai un ottimo unguento).» [L. Balletto, ibidem]

Tra le formule magiche più diffuse è annotata la seguente:

+ agl

+aglala

+aglalata

Che deve essere formulata mentre si segna una croce sulla fronte di chi si sospetta indemoniato o posseduto da entità soprannaturali . La parola «aglia» era celebre nel medioevo, considerata la sovrana fra tutte le formule cabalistiche capaci di scacciare i demoni e gli spiriti maligni o di rendere invulnerabili coloro che la portavano con sé.

Formule magiche medievali

Gli scongiuri, l’incantesimo e il profetismo, tra loro strettamente associati e tipici della società medievale non erano affatto estranei alla mentalità e agli usi della società genovese. Così l’arcidiacono della cattedrale di Genova maestro , futuro arcivescovo della cittGiovanni di Cogornoà, possiede un “Liber pronosticorum futuri seculi et de paradiso“, in cui sono contenute predizioni sul futuro della città e non solo e pratiche per garantirsi il Paradiso, citato dal notaio Ruggero da Palermo che operava in Genova nell’anno 1256.

Tiziano Franzi

Dal libro: Tiziano Franzi, Viaggio nella Liguria medievale, Erga ed., Ge, 2025


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T.Franzi

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