“Ho lasciato la massoneria perché ha troppe oscurità, anche sulla mafia”: parla l’ex vicecapo del Goi.
A cura di Fabrizio Capecelatro
L’ex Gran Maestro aggiunto del Grande Oriente d’Italia spiega a Fanpage.it le troppe oscurità della massoneria in Italia, soprattutto in tema di lotta alla mafia, e perché ora auspica un cambiamento, anche se lui ha deciso di uscirne.
Claudio Bonvecchio è entrato nel Grande Oriente d’Italia nel 1991. Nel corso del tempo è diventato Maestro Venerabile, rappresentante presso gli Stati esteri, poi Grande Oratore e, infine, Gran Maestro Aggiunto.
In sostanza è stato il vicecapo della massoneria italiana, fino al novembre del 2022, quando ha deciso di lasciare completamente l’organizzazione e, il giorno dopo, è stato espulso. In un’intervista a Fanpage.it spiega perché ha deciso di lasciare la loggia italiana della massoneria: “Già da almeno un anno, un anno e mezzo prima, mi ero accorto che c’erano delle cose che non funzionavano”.
“Mi ero accorto anche – spiega – che il GOI non faceva quello che doveva fare, perché lei avrà capito che una struttura di questo genere non può solo chiudersi nelle sue logge, deve anche intervenire nella vita sociale e dire quello che cosa pensa, se vuole il perfezionamento degli uomini”.
I silenzi della massoneria sulla mafia- Secondo quanto racconta a Fanpage.it, uno degli aspetti che attualmente ha meno convinto Claudio Bonvecchio della massoneria italiana è il suo modo di approcciare al fenomeno mafioso: “Se io avessi le prove che c’è un filo diretto, andrei in Procura. Non avendole non posso dire niente. Però cito le tre scimmiette: non vedo, non sento e non parlo. Ci si limita a quei provvedimenti di routine, mentre io credo che, visto che più ci sono dati più di un caso in cui sono emersi delle connivenze, magari locali, magari note note da tempo, una precisazione maggiore ci vuole”.
Secondo l’ex Gran Maestro aggiunto, invece, “bisognerebbe cercare di parlare con lo Stato per trovare un accordo in maniera tale che questa associazione, che nel passato (vedi la P2) ma anche adesso, ha dato dei problemi abbia protocolli chiari a cui attenersi. Sennò c’è il rischio è di trovare sempre un mondo separato con conseguenze di ogni tipo”.
Ma poi ci vuole “una chiara definizione di lotta alla mafia all’infiltrazione mafiosa, che ci può essere. I nomi non devono essere riservati. Come cittadino, io penso che i nomi di tutti gli iscritti dovrebbero essere consegnati al procuratore generale della Cassazione”.
Infine “ci vuole chiarezza sul fatto che quelle che sono le regole comportamentali all’interno hanno un valore interno al GOI, ma quelle che ostano con le leggi dello Stato evidentemente non possono essere seguite“.
Il mancato riconoscimento dello Stato- Bonvecchio poi si concentra sul fatto che il Grande Oriente d’Italia non abbia mai chiesto il riconoscimento allo Stato italiano, una formula prevista per le associazioni ma che secondo lui – in virtù del numero di associati (circa 23 mila in tutto il Paese) e degli scandali che in passato l’hanno colpita – non è coerente con la massoneria.
“Io – racconta – più di una volta ho fatto presente alla giunta di provare questa strada. Addirittura avevo proposto di chiedere una specie di concordato con lo Stato. In questo modo quando uno entra sa che entra in un luogo che è soggetto, non solo a parole, alle leggi dello Stato”.
“Altrimenti – spiega Bonvecchio – chiunque può formare una loggia massonica, poi cosa decide sono fatti suoi. Se decide di fare traffico di armi, nessuno glielo vieta, se non le leggi dello Stato. Però non è stato mai nemmeno tentato questo approccio. Perché? Perché in fondo, forse fa più comodo a tanti che le cose restano così in questa nebulosa rotante in cui poi tutto è possibile”.
A maggior ragione se poi “è stata fatta una circolare, firmata dal Gran Segretario e avvalorata però dalla Giunta, in cui si ribadisce che le leggi interne della massoneria hanno la prevalenza sulle leggi dello Stato. Nemmeno la P2 aveva osato fare tanto. Io mi meraviglio che la magistratura, che in Italia è così attenta anche al minimo frusciare di foglia, non si sia preoccupata di un attentato che non è solo alla normativa ma anche alla Costituzione della Repubblica”, conclude l’ex Gran Maestro aggiunto che, per questo, ora auspica un cambiamento all’interno del Grande Oriente d’Italia.
Fabrizio Capecelatro*
(Giornalista, capo area Milano di Fanpage.it e già direttore responsabile di Notizie.it. Autore di tre libri inchiesta sulla criminalità organizzata)
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NOTA DI TRUCIOLI.IT – Eravamo agli inizi degli anni ’80-’85. Il Secolo XIX Savona è stato il primo quotidiano in Italia a pubblicare, con il cronista di giudiziaria Luciano Corrado, l’elenco dei ‘fratelli massoni’ di quattro obbedienze della provincia di Savona e in parte Imperia. Una diretta conseguenza dell’inchiesta sullo ‘scandalo Teardo (già presidente della Regione e allora prossimo alla candidatura in Parlamento per il Psi). Pare doveroso ricordare che sarebbe un errore, oggi come ieri, scrivere che gli iscritti in loggia erano tutti coinvolti in ‘comitati d’affari’ dediti a violare o aggirare le leggi. Una grandissima maggioranza non è stata mai inquisita ed eventuali sospetti non equivalevano a certezze di loschi ed oscuri intrallazzi poco encomiabili. La lista finì sia in un rapporto giudiziario (Teardo e C.) a firma di Nicolò Bozzo (comandante provinciale dei carabinieri), sia negli atti che erano a disposizione dei difensori di imputati e successivamente delle parti civili. Ora possiamo rivelare che fu proprio un avvocato, grado 33 della massoneria (e non più in vita da qualche anno), a dare l’opportunità al cronista di pubblicare l’elenco completo dei ‘massoni’ savonesi. La sua ‘obbedienza di fronte a certe connivenze decise di ‘ una radicale pulizia’. Per la storia il primo a rivelare l’esistenza ed i nomi della sua loggia fu il compianto Renzo Bailini (ha abitato con i genitori, albergatori, prima a Loano poi a Borghetto, infine a Milano dove è deceduto), massone ‘pentito’ di una loggia con sede a Imperia. Il primo magistrato che si occupò di una loggia ‘riservata’ di Savona, in cui figuravano anche sette funzionari dello Stato (e per questo processati in quanto la logge lo vietava) è stato Filippo Maffeo all’epoca sostituto PM alla procura della Repubblica. Successivamente in conseguenza della scandalo P2 fu varata la legge Spadolini contro le logge segrete e deviate. Maffeo dispose numerose perquisizioni e si trovò al centro di un esposto accusatorio alla Procuratore generale di Genova a firma di un ‘venerabile gran maestro’ in Liguria che fu sentito come testimone della pubblica accusa al processo Teardo.
Per oltre un decennio le affiliazioni massoniche nel ponente ligure crollarono (Il Secolo XIX pubblicò in gran parte pure le liste dei massoni imperiesi) e soprattutto quella di ‘Piazza del Gesù’ subì una profonda riorganizzazione al punto che alcuni aderenti si trasferirono in logge e obbedienze della costa Azzurra. Negli ultimi anni è invece riesplosa la vocazione massonica. In cui figurano deputati e senatori liguri, eletti in seno al consiglio regionale, sindaci ed ex sindaci, assessori ed ex, consiglieri comunali soprattutto del centro destra. Le categorie più rappresentate sono quelle dei medici, commercialisti, avvocati, architetti, ingegneri, geometri, funzionari di banca, pochi notai, diversi imprenditori in attività varie, alcuni rappresentati di associazioni di categoria, qualche giornalista ed editore locale. Un paio di logge, nel ponente, sono anche caratterizzate da una presenza femminile. E non manca la loggia ‘spuria’ (vedi Alassio). Mentre nel gergo della massoneria si dice che un fratello è «in sonno» o «dormiente» quando questi non partecipa volontariamente per un protratto periodo di tempo alle tornate rituali. E nel savonese sarebbero una settantina su almeno 450 praticanti. Il doppio nell’imperiese da sempre ‘piccola e radicata capitale storica’ della massoneria in Liguria.