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Liguria e Basso Piemonte

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Intervista/ Irene Borgna, antropologa alpina, a 7 anni fonda un’associazione. All’Università (Filosofia) trova un clima imbevuto di ideologia cattolica. Il suo libro ‘Cieli neri’ vince il premio Rigoni Stern. L’amore per le Alpi Marittime. Vive in Val Gesso. Guida naturalistica e scrittrice


Irene Borgna, savonese, laureata in Filosofia a Genova, antropologa alpina, dalla Riviera si è trasferita in Val Gesso. Guida naturalistica, scrittrice.

di Gian Luigi Bruzzone

 Gentile Dottoressa Borgna, ci parli della sua famiglia, se non le dispiace.

Irene Borgna, savonese, laureata in Filosofia a Genova, antropologa alpina, dalla Riviera si è trasferita in Val Gesso. E’ guida naturalistica e scrittrice.

Mio papà all’anagrafe si chiama Giovanni, ma per il resto del mondo è semplicemente Piero. È nato a Mondovì, ma ha vissuto a Savona da quando aveva cinque anni. Maestro elementare a Marmorassi e al Santuario, quindi per un breve periodo professore alle medie, ha insegnato per parecchi anni Storia e Filosofia prima al liceo Della Rovere e infine al Grassi. Mia mamma è savonesissima, con un passato da impiegata poi sacrificato per allevare la sottoscritta. Da entrambi ho ereditato la passione per la natura, per la lettura e per la letteratura – mia mamma scrive molto bene! – e per la montagna. La mia è sempre stata una famiglia bonsai: sono figlia unica e non ho cugini di primo grado. Il lato positivo di avere una famiglia ai minimi termini è che viene voglia di espanderla scegliendo da chi farti circondare: i parenti capitano, gli amici devi meritarli.

E del suo corso di studi. Da quale insegnante ha appreso una lezione di vita?

Ho frequentato il liceo classico Chiabrera: ai tempi esisteva una maxi-sperimentazione linguistica, grazie alla quale si potevano studiare tre lingue. Fra i professori decisivi per il mio destino c’è stata sicuramente Giosiana Carrara, esempio concreto di passione e di competenza. Siamo in contatto ancora adesso, anzi meglio: siamo amiche.

Com’è sbocciata la sua passione per l’ambiente?

Ho sempre avuto la passione per l’ambiente e da bambina avrei voluto fare la guardia forestale. Da piccolina abitavo a Marmorassi, frazione collinare di Savona: sono cresciuta in campagna arrampicandomi sugli alberi di ulivo, andando per boschi e cascando giù dalle fasce (i risultati si vedono). Con il mio amico e vicino di casa Alessio abbiamo fondato la nostra prima associazione di tutela della natura all’età di sette anni: da qualche parte ho ancora la tessera fatta a mano…

Quali le sue impressioni sugli anni universitari?

L’ambiente accademico genovese, per quanto riguarda il corso di laurea in Filosofia, contava alcuni professori e ricercatori molto in gamba (per esempio Flavio Baroncelli, Valeria Ottonelli, Dario Palladino, Claudio Penco, Simone Regazzoni), ma in generale si respirava un clima un po’ asfittico, autoreferenziale e sempre più imbevuto di ideologia cattolica per i miei gusti. Se non avessi incontrato, grazie agli esami a scelta di antropologia culturale, il professor Marco Aime con cui ho fatto il dottorato, dopo la laurea sarei fuggita a gambe levate.

Da Savona alla montagna, ossia il fascino del mare ed il fascino dei monti.

La montagna: Irene Borgna e Emanuele Gallo con il fido amico

Per me Savona è sempre stata Savo, oppidum alpinum: una città di montagna affacciata sul mare, porta d’accesso all’entroterra più che località da spiaggia. Non mi piace la folla e nemmeno la “vita da bagni attrezzati”: l’unica spiaggia buona è la spiaggia libera, ma solo fino a giugno oppure dopo la metà di settembre. Da bambina ho sempre collegato le vacanze alla montagna: dal rifugio Ciarlo-Bossi del Gruppo Escursionisti Savonesi in alta Val Tanaro, dove ho passato molti bei momenti, alle montagne delle Alpi piemontesi e valdostane. Con una certa coerenza, il mio tempo libero e liberato, dall’adolescenza in avanti, è sempre stato o a scalare nel Finalese, o in grotta oppure sopra i 1000 metri.

Ai suoi dispiacerà la lontananza di Irene…

Per niente, perché si sono avvicinati: adesso abitano a Pianfei, in provincia di Cuneo. Sempre in campagna, ma con gli orti più accessibili e meno verticali che a Segno.

Lei ha percorso le Alpi Marittime come Horace Bénédict de Saussure!

Oddio, magari! A fine Settecento lui ha percorso delle Alpi selvatiche e rigogliose di ghiacciai, io un po’ meno. Nell’impietoso confronto, inoltre, de Saussure forse era un pochino più carente di me sul versante arrampicata, ma parecchie spanne avanti dal punto di vista della cultura… e con molti più denari in saccoccia. In comune abbiamo soltanto una dose fuori dal comune di curiosità per le terre alte.

Fiat lux! Tenebrae factae sunt...

La citazione riporta all’ultimo mio libro, Cieli neri, che descrive un viaggio in camper a caccia di notti ancora intatte: negli ultimi quarant’anni l’inquinamento luminoso ha bandito il firmamento dalla nostra esperienza, ma nessuno sembra dare importanza alla cosa. In parte perché esiste un enorme pregiudizio favorevole nei confronti della luce: sembra sempre buona, pare non basti mai. In parte perché pochi hanno capito quale sia la posta reale in gioco – io l’ho scoperto in viaggio e lo racconto nel libro. La dicotomia fra luce e oscurità è l’impalcatura su cui abbiamo costruito la cultura occidentale. Nel libro della Genesi, subito dopo aver creato il cielo e una terra informe, deserta e buia, Dio la rischiara: «Sia la luce». Soddisfatto del risultato, separa la luce dalle tenebre e chiama la luce giorno e tenebre la notte. Tutto ciò che è bene splende sotto il sole, invece le azioni da condannare si svolgono col favore delle tenebre. Abbiamo tantissime espressioni e modi di dire che chiamano in causa la luce in chiave positiva e il buio come antitesi negativa. Vogliamo vederci chiaro e tentiamo di fare luce su qualcosa che non quadra. Ci spaventa a morte l’idea di brancolare nel buio o di essere tenuti all’oscuro di qualcosa di importante. Sul lavoro tentiamo di metterci in luce con il nostro operato. Di una persona saggia diciamo che è illuminata, la mente di chi sragiona è ottenebrata e partorisce mostri. Una buona idea la definiamo luminosa e il suo simbolo consacrato dai fumetti è una lampadina accesa. Quando qualcuno esce di senno perde il lume della ragione, se ci ruba il cuore diventa la luce dei nostri occhi, se si converte alla vera fede diventa un figlio della luce, illuminato dalla grazia divina. Per converso, il contrario della luce è il ricettacolo di tutti i contrari negativi: le tenebre sono lo spazio che ospita il dubbio, l’errore e il terrore, la notte è il tempo in cui il male dispiega le sue forze. L’opposizione luce-tenebra, generatrice di infinite metafore, è così centrale e pervasiva perché è basata sulla vista, dei cinque sensi quello su cui gli esseri umani fanno maggiore affidamento. Con poca luce ci sentiamo persi, per questo di luce ci sembra che non ce ne sia mai abbastanza: ma anche la luce può far male – alla Terra, agli animali che hanno bisogno di una notte buia, agli esseri umani che appassiscono nella salute e nell’animo a vivere immersi anche dopo il crepuscolo in un perpetuo chiarore. È la dose che fa il veleno. 

Le farà piacere presentare i suoi volumi…

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Il primo libro scritto è Profondo verde (Mimesis, 2010), la mia tesi di laurea in filosofia dell’ambiente: col senno di poi, lo riscriverei al netto dei tecnicismi da giovane filosofa entusiasta. Tuttavia i contenuti li condivido oggi come allora. Poi c’è Montagna femminile plurale (Zandegù, 2014), un ebook scritto a quattro mani con Giacomo Pettenati: si tratta di una raccolta di storie vere di donne di montagna. Nel 2018 è uscito Il pastore di stambecchi (Ponte alle grazie), che è il racconto in prima persona della vita avventurosa di Louis Oreiller, montanaro valdostano classe 1935 che ha attraversato il Novecento portando in dote al terzo millennio parecchia saggezza e un pizzico di ironia. Infine, nel 2021 è stato pubblicato il libro di viaggio Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte, che ha vinto il premio Mario Rigoni Stern: racconta di un viaggio in camper dalle Alpi Marittime al Mare del Nord sotto ai cieli meno inquinati dalla luce artificiale che (r-)esistono in Europa centrale. Il diario di viaggio si mescola alla presa di consapevolezza di un problema che – letteralmente – è sotto agli occhi (e sopra la testa) di tutti.

Ha scritto anche per ragazzi, non è vero?

Nel 2020 ho pubblicato il libro per ragazzi Sulle Alpi (Editoriale scienza), che racconta l’arco alpino dall’orogenesi alla fusione dei ghiacciai in corso, descrivendo la biodiversità naturale e culturale di questo continente verticale nel cuore dell’Europa e la sua conquista alpinistica e turistica: mi sono divertita a tradurre in un linguaggio adatto ai più piccoli i miei studi da antropologa alpina. Nella primavera 2022 uscirà per Salani una guida dedicata ai giovani escursionisti, Il manuale per giovani stambecchi.

Che pensa della divulgazione? Oggi è di moda quella scientifica.

Penso che ci sia disperatamente bisogno di divulgazione fatta bene – documentata e comprensibile, umile e senza toni paternalistichi o invettive fuori luogo. Anzi, di più: se abbiamo qualche chance di salvarci come specie, molto dipende, oltre che dalle azioni concrete che metteremo in campo, anche dalla qualità della comunicazione – scientifica e non – che faremo.

Come vede la situazione culturale del Ponente ligure?

Sinceramente, non ho la più pallida idea di quale sia la situazione culturale del Ponente ligure, quindi non so esprimermi in merito.

Quali i lati dell’indole ligure da lei apprezzati? E quelli dei montani?

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Ammesso che esista qualcosa come un’indole ligure, la capacità di incassare i colpi mugugnando sempre, gettando la spugna mai è una caratteristica notevole. In montagna ho trovato da subito più solidarietà e apertura – nei locali e nei forestieri naturalizzati come me – di quante ne avessi mai esperite nei miei primi 25 anni di vita in terra ligure. Mi sembrava di essermi trasferita a Disneyland.

Eventi memorabili della sua esistenza…

Gli eventi davvero memorabili sono quelli che ricordo solo con gli amici più cari, tutto il resto è curriculum.

Che cos’è la verità?

Se l’avessi saputo non mi sarei iscritta a filosofia, se pensassi che sta sempre da una parte sola avrei buttato al vento gli studi di antropologia, se non mi interessasse capire cos’è e farla emergere non avrei capito niente nella vita.

Un progetto accarezzato.

Al momento ho più progetti per la testa che tempo per realizzarli. Non ne parlo volentieri perché, in linea di massima, preferisco prima fare le cose e poi annunciarle: il contrario è azzardato e porta pure un po’ di rogna. Comunque in questo momento sto aiutando una produttrice italo-tedesca a realizzare un film dedicato all’estinzione delle stelle e del silenzio a causa dell’inquinamento luminoso e acustico: un gran bel progetto che spero vada a buon fine.

A ruota libera.

Non ho mai amato le domande a scelta, nemmeno agli esami: mi mettono in crisi. Quindi passo…Cerco di sopravvivere ai molti impegni dei prossimi mesi e all’avventura di crescere un bambino: devo impegnarmi molto per essere una buona scolara, perché mi insegna parecchio ogni giorno.Oggi come domani, fare la mia parte perché il mondo non diventi inospitale, come habitat naturale e umano.

Che cos’è la felicità?

So solo che ha che fare con l’amore, quello che inizia con l’affetto per le persone e va oltre, abbraccia ogni cosa.

Grazie, Gentile Signora, per aver accolto le mie domande. Le auguro quanto desidera per Lei e per Emanuele.

Gian Luigi Bruzzone


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