Ivan Cuvato e Sociatria: un binomio virale!L’interesse di Sergio Bevilacqua. La rivelazione su «Ombre e Colori».
di Antonio Rossello
Cuvato e Sociatria: un binomio che è divenuto virale. Merito dei social e della suggestione creata dell’apparentemente insolito accostamento tra il noto Maestro ed un termine quasi ancora sconosciuto? E, dunque, nuovamente ci sorprende l’eclettico interprete dell’avanguardia albisolese, ma non solo. Infatti, la foto e il relativo articolo, pubblicati a partire dal 30 giugno da varie testate online, per celebrare la sua, che è la prima vera e propria, performance d’arte sociatrica, con un titolo evocativo «Riflessi di Nuova Luce Sociale», hanno ad oggi ricevuto complessivamente quasi 6000 visualizzazioni, con centinaia di commenti e di like.
Un grandissimo risultato, ribadiamo, perché facciamo fatica a pensare che possa fare di più uno di noi, che, al di fuori dal mainstream, non sia una Chiara Ferragni
et similia, uno degli idoli o influencer del nulla, che catalizzano milioni di persone, concretizzando la banalissima banalizzazione dell’iconologia contemporanea.
Reazioni che hanno sorpreso anche Ivan, che desidera ringraziare tutti gli amici, gli appassionati d’arte e i followers che hanno apprezzato l’articolo e i relativi post. Tanti davvero. È grato per l’affetto e a loro augura ogni bene.
Manifestazioni di interesse sono giunte anche da parte di intellettuali, tra i quali il sociologo ed editore reggiano Sergio Bevilacqua, il quale talora utilizza una sua concezione, la cosiddetta «Sociatria organalitica», quale strumento introspettivo per critiche e recensioni di artisti. Questo è il testo che propone nella circostanza: «Si rileva in Ivan Cuvato una sorta di arte *impegnata* come già in altri periodi del passato, ad esempio quella che tratta problemi sociali (Pelizza da Volpedo, Inti Illimani, Siqueiros, Tina Modotti …). Per Cuvato l’impegno è sociatrico. Cioè, a differenza degli artisti che incontrano l’estetica della Sociatria Organalitica, Cuvato proprio fa, attua Sociatria. Interviene cioè con le tecniche dell’Arte nel sociale, per renderlo migliore».
Nelle parole di Bevilacqua è sotteso l’auspicio di stabilire una «liason» con il Maestro? Ma vi riuscirà? Tifiamo sinceramente per lui, ma potrebbe rivelarsi un’impresa titanica. Malgrado ciò, sarà pronto a raccogliere il guanto della sfida? Informale nell’arte, informale nella vita, Cuvato è pressoché impenetrabile ad ogni tentativo di approccio organicista e sono pochi quelli che riescono a percepire cosa si porta dentro. Passioni, tensioni e disagi che devono esprimersi in maniera del tutto libera, spontanea e violenta, attraverso il gesto e la materia, fuori da qualsiasi schema precostituito e contro ogni regola normalmente accettata.
In questo senso, non ci piove che il contrasto fra la realtà e la percezione soggettiva emerga acutamente dalla sua pittura, attraverso i riflessi di un’ampia cultura estetica e dal desiderio di esprimersi con linguaggio non convenzionale, per liberare l’uomo dall’impasse della comunicazione, dal roboare degli annunci mediatici, dalle incrostazioni degli spot propagandistici.
Ivan Cuvato è certamente il vero artista che, da un punto di vista semiotico possiamo, definire sociatrico, in quanto sua, ante litteram, è la «sociatria» («l’arte o la scienza di curare la società»), con cui l’esplosione cromatica si ribella ad un processo planetario che punta a conformare l’uomo, a ridurlo, a paralizzarlo, a inserirlo in un’area sociale condizionata dalla complessità, che è la cifra distintiva dell’era
della globalizzazione, e priva di valori.
O, meglio, si manifesta, come il fenomeno kantianamente inteso su cui insiste la via di scampo per scongiurare il crescente e pericoloso collasso dei cervelli: dopo un anno e mezzo di pandemia la parola «futuro» richiama ancor di più una presa di coscienza e di responsabilità. Da qui la cura coerente al suo stile di vita, di chi davvero vive soltanto d’arte. Coinvolgente per modernità informale e materica, sua è la cromia, in cui Ego ed Es sono mai in tragica frizione, con la quale intercettare le cupe tonalità infernali entro cui coabitano delirio, follia, surrealtà ed appunto sogno. Sua è l’urgenza di un cammino rigenerativo, da cui possa sgorgare quel lampo di luce, che, come verità, alimenta la penombra di anima e mente, rimarginandone le sofferenze, grazie ad un rispetto fisiologico, una nuova intimità con il proprio corpo e con il corpo, più ampio, dell’umanità.
Magari, a questo punto, potreste essere curiosi di conoscere se esista o meno un qualche riferimento veramente utile ad avvicinarsi all’essenza del Maestro. Se nulla è facile, niente è impossibile, allora è tempo di rivelare che il mio primo libro da singolo autore, intitolato «Ombre e Colori», uscito nel 2013 per i tipi di «Divina Follia», nella sua iniziale formulazione avrebbe dovuto essere un compendio di cenni esistenziali alle realizzazioni di Ivan Cuvato. Tuttavia, successive questioni di opportunità editoriale mi indussero a propendere per un esito diverso, ovvero un centone, cioè una giustapposizione di parti a larga azione drammatica, in buona misura liberamente ispirate alla sua vita e al suo mito.
Non una sua biografia, quindi, ma un racconto unico, polifonico e originale, in cui si riscontrano talvolta impressioni delle sue opere, specialmente laddove spicca la sua vivace intuizione figurale e la sua creativa capacità di traslazione formale e cromatica dei contenuti, con ricostruzioni di stampo espressionista e cubista, e coloriture che restituiscono esperienze d’ambito ceramico. Prova ne sia la copertina del volume, in cui l’illustrazione di Aldo De Lorenzo Bellotti evidentemente rimanda al volto e al tipico tratto pittorico del Maestro.
La copertina di «Ombre e Colori»
Un’immagine del Maestro.