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Savona, la mia notte in autostrada A6. 2/Non capisco lo sciopero generale. E il primo partito? Gli astensionisti


Notte in autostrada. Tutt’oggi difficilmente appannatosi nella mente per l’A/6 l’appellativo, per le vecchie generazioni, di “Autostrada della morte” dinanzi a primati denunciati nel numero di incidenti stradali in trascorsi lunghi decenni.

di Sergio Ravera

In verità della Savona-Torino ho usufruito allorquando i tempi di lavoro lo avessero richiesto. Pur se il tragitto da Altare verso la Riviera di Ponente certo non ne sollecitava l’uso, né induce tuttora ad optarne l’utilizzo.

Siamo sulla Verdemare. Stante i lavori in corso, non è neppure consigliabile entrare a Ceva pensando di uscire al casello di quel centro artistico-industriale che fu l’Altare di secoli or sono. Pochi chilometri di strada  in meno rispetto alla rete statale, una decina di minuti risparmiati.

Ma per chi percorra oggigiorno quei 20 e poco più chilometri, quand’anche incombe la notte, si trova – direzione Savona –  in un unico corridoio nel susseguirsi di scambi di corsia, di continue curve delimitate da protezioni che ne impediscono qualsiasi uscita. E chiedi qualche attimo di respiro, mentre dinanzi trovi altre autovetture e restanti mezzi a seguirti appresso in un turbinio di luci che ti auguri rifuggire.

Auspicando  in cuor tuo la meta.

2/Continuo a non capire.

Avanti con gli anni, si diventa filosofi, saggi di una sapienza casereccia, tradizionale. Finendo per trovarsi gli anziani e, a più largo raggio, gli stessi popoli fuori da un mondo indescrivibile quanto inafferrabile. Nondimeno, dove le classi sociali tendono a manifestarsi con le stesse caratteristiche di millenni addietro, mentre dispute ad ogni livello nascondono insidie di primati attesi quanto incontrollabili, irraggiungibili in ogni continente. Certo, tra Occidente ed Oriente spiccano le guerre tra russi ed ucraini, tra israeliani e palestinesi, quasi un “extra” per la Comunità Europea, indubbiamente pericoloso che pesa in denaro più che in coscienza.

Perciò, mal si comprende lo sciopero indetto da due dei principali sindacati italiani per il prossimo venerdì di novembre, che troverebbe migliore  significatività in specifici argomenti: sia per salari minimi inaccettabili, quanto per retribuzioni in stand by: una lista d’attesa che dura ormai da troppo tempo. Per non parlare di tributi, imposte e tasse che pesano maggiormente su lavoratori e pensionati, mentre agli alti livelli molti cittadini ed imprese sfuggono ad un pedaggio configurabile, oltre tutto, in un dovere morale con l’aggravante di compierlo a discapito soprattutto di deboli e bisognosi.

Incomprensibile. Come d’altronde inafferrabile in questo Paese  è il quadro offerto dalla sanità pubblica; presenza, del tutto insoddisfacente, che pesa sulle condizioni di vita dei cittadini. In questa Italia dove un Pnrr in ritardo non produrrà gli effetti positivi attesi; dove imprese medie e piccole stanno rinunciando ad investire: un 40 per cento del totale trovando difficoltà nel reperire crediti; dove la Banca d’Italia sta tagliando le stime sul Pil confermando una ormai storica crescita altalenante sullo 0 e decimali.

Dove il primo partito è formato dagli astensionisti. Atteggiamento, ripeto, quello delle forze politiche assolutamente inintelligibile, tra l’altro dispensatore di risorse che provocano inusitati dissensi tra status sociali e proteste tra le stesse categorie economiche. E’ il risultato di un quadro di politica economica dissennata in cui non trova spazio un disegno a valenza nazionale di medio e lungo termine.

D’altronde, siamo in presenza di governanti in affanno, mentre sono tuttora alla ricerca di un campo largo gli oppositori in parlamento. Partiti che guardano non ad una situazione delicata, compresi come sono nelle  elezioni con il pensiero rivolto ai voti  da conquistare alle europee di giugno e, in primavera, al consenso in quattro regioni italiane. Ovvero, due-tre partiti, i maggiori che cercano gli spalloni per conquistare un potere sempre peggio amministrato.

Sergio Ravera

 


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