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La Corte di Cassazione: i siti di rete Natura 2000 sono aree naturali protette


Anche i siti della Rete Natura 2000 sono aree naturali protette.Importante pronuncia della Corte di cassazione in materia di aree naturali protette.

La sentenza Corte cass., Sez. III, 15 luglio 2022, n. 27466 ha affrontato l’ampiezza della qualifica di “area naturale protetta”. In particolare, secondo la Suprema Corte, “va ribadito il risalente insegnamento secondo cui il concetto di ‘aree naturali protette’ è più ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette (così, infatti: Cass. pen., Sez. III, 24 marzo 2017, n. 14488; Id., Sez. III, 22 novembre 2003, n. 44409). Ed invero, anche i siti di importanza comunitaria (SIC) sono classificati come aree protette, giusta la previsione di cui alla Delib. Ministero dell’Ambiente 2 dicembre 1996, art. 1 adottata, ai sensi della L. n. 394 del 1991, art. 3, comma 4, dall’allora competente Comitato per le aree naturali protette”.

Il nòvero delle “aree naturali protette” non comprende soltanto i parchi nazionali e i parchi naturali regionali, le riserve naturali statali e regionali, i parchi naturali interregionali, le zone umide di importanza internazionale, ma comprende anche i siti rientranti nella Rete Natura 2000cioè i siti di importanza comunitaria (S.I.C.), le zone di protezione speciale (Z.P.S.), le zone speciali di di conservazione (Z.S.C.), individuate ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e seminaturali, la fauna e la flora e ai sensi della direttiva n. 09/147/CE sulla salvaguardia dell’avifauna selvatica..

Una considerazione ampia che costituisce un forte sostegno alla salvaguardia ambientale del Bel PaeseCass. Sez. III n. 27466 del 15 luglio 2022 (CC 12 mag 2022)

Pres. Aceto, Estensore Scarcella Ric. Fiorini

Beni Ambientali. Aree naturali protette.

Il concetto di “aree naturali protette” è più ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette. Ed invero, anche i siti di importanza comunitaria (SIC) sono classificati come aree protette, giusta la previsione di cui alla Delib. Ministero dell’Ambiente 2 dicembre 1996, art. 1 adottata, ai sensi della L. n. 394 del 1991, art. 3, comma 4, dall’allora competente Comitato per le aree naturali protette.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con ordinanza 30.12.2021, IL tribunale del riesame di Siracusa ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro emesso in data 14.12.2021 dal PM presso il medesimo tribunale, in relazione ai reati di cui agli artt. 11 e 3, lett. a) ed f), l. 394 del 1991, avente ad oggetto due fucili e relative custodie, oltre ad 83 cartucce cal. 12, reati per i quali sono indagati i ricorrenti FIORINI CARMELO e PULINO SEBASTIANO.2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, i predetti propongono ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i cinque motivi di seguito sommariamente indicati.
    2.1. Deducono, con il primo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 355, co. 2, c.p.p., sostenendo la nullità del provvedimento impugnato per la violazione degli artt. 125, co. 3 e 253, c.p.p., che impone per l’applicazione del sequestro l’indicazione specifica della finalità probatoria, essendosi omessa la motivazione in ordine al mantenimento in sequestro delle res sequestrate.
    In sintesi, si sostiene che la motivazione del sequestro circa le concrete esigenze probatorie non sarebbe sussistente, essendovi solo un riferimento alla necessità di sottoporre i fucili agli opportuni accertamenti in ordine alla loro funzionalità, mancando però la motivazione quanto al mantenimento del vincolo cautelare con riferimento alle cartucce, allo zaino sequestrato ed alla custodia delle armi.
    2.2. Deducono, con il secondo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge sotto il profilo del vizio assoluto di motivazione laddove il sequestro è stato disposto nonostante il tribunale, nel rigettare l’istanza, abbia dato atto che uno dei due indagati, pur trovandosi a notevole distanza, si sarebbe spontaneamente avvicinato, dimostrando in tal modo la sua buona fede e la mancanza di conoscenza del divieto.
    In sintesi, si duole del fatto che il tribunale ha valorizzato elementi e circostanze estranee ai fatti (ossia che i due indagati dimorassero in zona; che praticassero abitualmente la caccia; che fossero preesistenti cartelli successivamente rimossi o danneggiati per eludere il divieto), anziché tenere in considerazione l’elemento fattuale sopra descritto dell’essersi l’indagato Fiorini avvicinato spontaneamente ai controlli.
    2.3. Deducono, con il terzo motivo di ricorso, il vizio di omesso esame dei punti decisivi per l’accertamento del fatto su cui è fondata l’emissione del sequestro “preventivo”.
    In sintesi, richiamato quanto già esposto al secondo motivo, la difesa sostiene che il tribunale avrebbe dovuto attribuire natura decisiva al comportamento spontaneo del Fiorini in quanto elemento comprovante la mancanza di consapevolezza di praticare la caccia in zona vietata, anziché valorizzare elementi estranei quali quelli sopra evidenziati, richiamando giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 38850/2018).
    2.4. Deducono, con il quarto motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 11, co. 3, l. 394 del 1991.
    In sintesi, si sostiene che, mancando l’elemento essenziale della “tabellazione” delle zone sottratte all’esercizio venatorio, non sussisterebbe il reato ipotizzato, non essendo peraltro reperibile la cartografia cui i verbalizzanti ed il tribunale del riesame avrebbero fatto riferimento, non avendo i ricorrenti accesso ad internet. La conoscenza della natura della zona, interdetta alla caccia, non potrebbe ritenersi presunta, come provato dal fatto che nemmeno i verbalizzanti erano a conoscenza esatta dell’ubicazione di “cava cardinale”, tanto da aver sbarrato l’iniziale indicazione del comune di Palazzolo Acreide, aggiungendo l’indicazione del comune d Noto dopo aver assunto informazioni in zona. Non sarebbe quindi fondata l’affermazione del tribunale che ritiene i due indagati consapevoli di trovarsi all’interno di una zona protetta, potendo consultare la cartografia da un sito internet liberamente consultabile o alla conoscenza pregressa della zona da parte degli stessi indagati. Diversamente, richiamando giurisprudenza di questa Corte (Cass. 13357/2020) la difesa sostiene che avrebbe dovuto essere il PM a dover fornire la prova che i trasgressori fossero a conoscenza del divieto, richiamando altresì Cass. 17102/2016, per sostenere che, essendo ambedue gli indagati residenti a notevole distanza dal luogo dei fatti, non poteva ritenersi che gli stessi ne avessero una conoscenza pregressa né gli stessi risulta abbiano mai esercitato la caccia all’interno del sito, non essendo stata fornita prova del contrario.
    2.5. Deducono, con il quinto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al fumus del reato ipotizzato.
    In sintesi, i giudici avrebbero errato nel tener conto solo della normativa nazionale, ossia della l. n. 394 del 1991, senza invece ritenere la prevalenza della normativa regionale di cui alla l.r. Sicilia n. 33 del 1997, con conseguente inesistenza della motivazione, richiamandosi a sostegno, in quanto relativa a caso analogo, una sentenza di questa Corte (Cass. 33286/2005), di cui viene illustrata la motivazione con ampi riferimenti alla vicenda processuale, riportata integralmente.
    3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta datata 8.04.2022, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
    Il PG, in particolare, ricorda che, come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, il decreto di sequestro probatorio – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve sempre contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (cfr. Sez. U, n. 36072 del 2 19/04/2018, PM in proc. Botticelli e altri., Rv. 2735489). Inoltre, va, peraltro, ricordato che il Tribunale è chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti acquisibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell’autorità giudiziaria (Sez. 3 n. 3465 del 03/10/2019 Cc. Rv. 278542 – 01). Infine, anche l’utilizzazione di formule estremamente sintetiche o prestampate non inficia, di per sé, la validità del provvedimento di sequestro probatorio quando, avuto anche riguardo agli atti in esso richiamati, siano adeguatamente esplicitate le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità delle cose sequestrate (in tal senso, Sez. 3 n. 7160 del 07/11/2018; Sez. 3, n. 29990 del 24/06/2014, Lombardi, Rv. 259949; Sez. 3, n. 45851 del 23/11/2012, non massimata).
    Tanto premesso, nel caso in esame, secondo il PG, il Tribunale del riesame ha evidenziato, correttamente, tutti gli elementi sui quali fondare la sussistenza del fumus commissi delicti, richiamando anche pertinenti e condivisi principi fissati da questa Corte sul punto e rispondendo a tutte le doglianze prospettate dalla difesa. Infine, il PG rileva che la motivazione sulla finalità del sequestro delle armi comprende implicitamente anche quella dell’equipaggiamento idoneo alla caccia (cartucce, zaino e foderi).

CONSIDERATO IN DIRITTO – Il ricorso, trattato ai sensi dell’art. 23 co. 8 del DL n. 137/2020, conformemente alle conclusioni del PG, è    complessivamente infondato.
2. Al fine di meglio comprendere l’approdo cui è pervenuta questa Corte è, peraltro, utile una breve sintesi dei fatti per cui si procede. L’ordinanza impugnata del 30 dicembre 2021 del Tribunale di Siracusa, in funzione di giudice del riesame, ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro probatorio emesso dal PM della Procura della Repubblica presso il medesimo tribunale, che aveva sottoposto a sequestro rispettivamente: a) al Fiorini Carmelo, un fucile marca F.lli Poli sovrapposto matr. 8973 cal. 12, n. 83 cartucce cal. 12 di diverse marche, zaino colore verde militare in cordura, porta fucile in similpelle colore marrone scuro; b) al Pulino Sebastiano, un fucile di marca Beretta cal. 12 matr. AA1217713, porta fucile verde militare in cordura e n. 100 cartucce cal. 12 di diverse marche.
Dagli atti processualmente valutabili da questa Corte risulta, in particolare, che i due ricorrenti venivano sorpresi dagli agenti del Corpo di Polizia Provinciale – Libero Consorzio Comunale di Siracusa (i quali, dopo aver sentito degli spari si erano recati in direzione degli stessi), ad esercitare attività venatoria in località c.da Cardinale in territorio del Comune di Noto. Mentre sottoponevano uno dei due al controllo (il Pulino), l’altro (il Fiorini) si avvicinava spontaneamente e veniva messo al corrente che si trovavano in una zona protetta ove era preclusa non solo la caccia ma, a monte, l’introduzione di armi e munizione e pertanto procedevano al sequestro di quanto rinvenuto nella disponibilità degli stessi. A nulla valeva la dichiarazione di non conoscenza del divieto e il mancato abbattimento di capi di selvaggina.
In sede di riesame, il difensore del Fiorini e del Pulino, articolava due ordini di motivi: la mancanza della motivazione del decreto di sequestro in ordine al fumus commissi delicti e alla finalità rispetto al reato contestato e l’insussistenza del fumus poiché non risultava integrato il presupposto previsto dalla legge ragionale, quale la presenza di apposite tabelle volte a delimitare l’area. Il Tribunale adito riteneva infondati i motivi proposti e gli imputati, a mezzo del loro difensore, proponevano ricorso per cassazione articolando i cinque motivi dianzi illustrati.
3. Tanto premesso, può quindi procedersi all’esame dei motivi proposti.
4. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
4.1. Le censure dei ricorrenti non trovano alcun riscontro nell’ordinanza impugnata la quale si presenta completa sotto il profilo motivazionale, sfuggendo alle doglianze mosse dai ricorrenti.
Giova a tal proposito ricordare l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite, ribadito anche dallo stesso giudice del riesame, secondo cui il decreto di sequestro probatorio deve contenere una motivazione che, per quanto sintetica, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Rv. 273548), trattandosi di prerogativa del Pubblico Ministero quale titolare del potere di condurre le indagini preliminari e di assumere le determinazioni sull’esercizio dell’azione penale. Conseguentemente, il giudice del riesame sarà chiamato a verificare il rispetto dei principi appena ricordati dandone conto nella motivazione del provvedimento cautelare.
4.2. Nel caso di specie, il tribunale di Siracusa non si è solamente limitato ad un simile accertamento ma si è impegnato a chiarire la valenza degli elementi indicati dal PM nel decreto di sequestro quali fondanti il vincolo.
Invero, si legge nell’ordinanza che la “finalità del sequestro probatorio risulta adeguatamente soddisfatta, atteso che la volontà di comprendere se le armi fossero effettivamente funzionanti, risulta dirimente la fine di verificare l’integrazione degli elementi oggettivi del reato”: in mancanza di tale requisito, infatti, non sarebbe integrata la condotta sanzionata dall’art. 11 co. 3 lett. a) ed f), l. 394/91.
4.3. Inoltre, il reato contestato si ritiene integrato con la sola presenza del privato, senza autorizzazione, all’interno dell’area protetta ed in possesso di un’arma e munizioni indipendentemente dalla flagranza dell’attività venatoria (Sez. 3, sen. n. 17611 del 22 marzo 2005): pertanto gli oggetti sequestrati -cartucce, zaino, fucili- sono idonei a dimostrare l’esistenza di una relazione di immediatezza tra il bene stesso e l’illecito penale e quindi rivestono la natura di “corpo del reato” o “comunque cosa pertinente al reato” che giustifica il sequestro perché necessario per l’accertamento dei fatti (Sez. U., sent, n. 20 del 11/11/1994 Cc. (dep. 29/11/1994) Rv. 199172-01).
5. Altresì inammissibili sono il secondo e terzo motivo, i quali possono essere congiuntamente trattati attesa l’omogeneità dei profili di doglianza ad essi sottesa.
5.1. Va premesso che in virtù di quanto dispone l’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione è ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011 – dep. 06/12/2011, Rv. 251616), rientrando in tale nozione la mancanza assoluta o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), c.p.p. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017 – dep. 08/02/2017, Rv. 269119), sicché il giudice di legittimità non può procedere ad un penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato (cfr. Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692, secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e  ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice).
5.2. Tanto premesso, e a dispetto dell’intitolazione dei motivi, non si può che concludere in favore dell’assenza delle censure lamentate dai ricorrenti, i quali non si confrontano con la motivazione dell’ordinanza impugnata che, contrariamente alle loro critiche, si presenta coerente e priva di qualsiasi aporia logica.
Si è innanzitutto al di fuori delle ipotesi per cui è prevista la deducibilità dinanzi alla Corte di Cassazione, per cui i motivi sono inammissibili. La motivazione del provvedimento impugnato non presenta le lacune sopra evidenziate dovendosi ritenere il percorso argomentativo del giudice puntuale e completo nonché conforme ai principi di legittimità vigenti in materia.
Da ultimo, giova ricordare che l’ordinanza emessa in sede cautelare non può peraltro essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601- 01), come i ricorrenti cercano di fare nel presentare l’avvicinamento spontaneo del Fiorini come fatto prevalente e dirimente rispetto agli altri evidenziati dal giudice.
6. Il quarto ed il quinto motivo, invece, la cui trattazione congiunta s’impone attesa l’intima connessione die profili di doglianza ad essi sottesa, sono infondati e devono, pertanto, essere rigettati.
6.1. Orbene, il tribunale non è incorso in alcuna violazione applicando l’art. 11 co. 3 l. 394/91, perché, come correttamente evidenziato, la l. 33/97 della Regione Sicilia -che prevede esplicitamente che la mancata o irregolare tabellazione indicante il divieto di caccia, esclude l’applicazione di sanzioni – si riferisce alle sole sanzioni amministrative (cfr. Sez. 3, sent. n. 32563 del 04/07/2006) poiché la Costituzione riconosce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia penale.
6.2. Ai fini dell’integrazione del reato di cui al capo di imputazione, come ricordato anche per l’esame dei precedenti motivi di ricorso, è sufficiente l’introduzione, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati e la qualificazione di area protetta.
Per quanto concerne la zona cd. Cava Cardinale non v’è dubbio che rientri nella nozione di parchi naturali regionali e riserve naturali, facendo parte della Reta Natura 2000 della Regione Sicilia, codice ITA 090019, riconosciuto con decreto assessoriale 21.02.2005 come sito di importanza comunitaria (SIC), individuato ai sensi delle direttive n. 79/409/CEE e n. 92/43/CEE, elenco proveniente dal Ministero dell’Ambiente relativo alla conservazione degli habitat naturali, seminaturali, della flora e della fauna: pertanto la sola presenza dei ricorrenti nella stessa area, con armi e munizioni, integra la fattispecie di reato per cui si procede.
Si tratta – come correttamente ritenuto nell’ordinanza – di un sito di importanza comunitaria (SIC), della Rete Natura 2000, identificato con il richiamato codice ed inserita nell’Allegato A al D.M. Ambiente 3 aprile 2000, recante: “Elenco dei siti di importanza comunitaria e delle zone di protezione speciali, individuati ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE”. A norma dell’art. 2 di tale decreto, “i formulari standard …….e le cartografie delle Zone di Protezione Speciale e dei Siti di Importanza Comunitaria proposti sono depositati e disponibili presso il Servizio conservazione della natura del Ministero dell’ambiente e, per la parte di competenza, presso le Regioni e dalle Provincie autonome di Trento e Bolzano”.
A tal proposito va ribadito il risalente insegnamento secondo cui il concetto di “aree naturali protette” è più ampio di quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali, parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali, in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette (così, infatti: Cass. pen., Sez. III, 24 marzo 2017, n. 14488; Id., Sez. III, 22 novembre 2003, n. 44409). Ed invero, anche i siti di importanza comunitaria (SIC) sono classificati come aree protette, giusta la previsione di cui alla Delib. Ministero dell’Ambiente 2 dicembre 1996, art. 1 adottata, ai sensi della L. n. 394 del 1991, art. 3, comma 4, dall’allora competente Comitato per le aree naturali protette.
6.3. La giurisprudenza richiamata dalla difesa, peraltro, riguarda decisioni di merito intervenute in sede di plena cognitio, che prevedono una valutazione degli elementi costitutivi del reato ben diversa da quella posta alla sommaria delibazione del Tribunale del riesame, connaturale alla semiplena cognitio della fase incidentale, il cui sindacato non può investire la concreta fondatezza dell’accusa ma è circoscritto all’astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato e al controllo circa la qualificazione dell’oggetto sequestrato come “corpus delicti” e, quindi, all’esistenza di una relazione di immediatezza tra il bene stesso e l’illecito penale (Sez. 3, n. 19141 del 08/04/2014 – dep. 09/05/2014, Rv. 260112-01).
7. In ogni caso, la necessità della perimetrazione non attiene alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, bensì a quella dell’elemento soggettivo e l’ordinanza impugnata si pone il cennato problema e, quantomeno a livello di fumus, lo reputa parimenti sussistente.
7.1. La tabellazione, infatti, consente di presumere la conoscenza del divieto di caccia, mentre, in mancanza di essa, è il Pubblico Ministero che deve dimostrare che il trasgressore fosse a conoscenza del divieto, non essendovi alcuna ragione per esentare dalla sanzione colui che è a conoscenza del divieto, pur mancando la tabellazione (Sez. 3, n. 10926 del 13/03/2019, Del Fiore, nella cui motivazione si legge che la prova della conoscenza deve risultare in base ad elementi di fatto quali, esemplificativamente, la conoscenza della zona dovuta al dimorare nella medesima o in luoghi prossimi ad essa, l’abituale esercizio della caccia in quei siti, la preesistenza di cartelli successivamente rimossi o danneggiati, magari proprio per eludere il divieto normativo e, in genere, le peculiari modalità dell’azione; nello stesso senso Sez. 3, n. 17102 del 08/03/2016 – dep. 26/04/2016, Rv. 266638).
7.2. Nel caso di specie, l’ordinanza ha ritenuto integrato il fumus in base al fatto che la perimetrazione della zona SIC in cui la caccia era vietata risultava dalla cartografia pubblicata sul sito Internet liberamente consultabile (per una fattispecie analoga, confermativa del fumus del reato in esame, sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 settembre 2020 – dep. 14 dicembre 2020, n.35709, che non solo ha reputato corretta la valutazione del tribunale del riesame che aveva ritenuto sussistente la prova della conoscenza in base al fatto che la perimetrazione della zona ZPS in cui la caccia era vietata risultava dalla cartografia pubblicata sul sito internet richiamato nel piano venatorio faunistico regionale, ma ha anche statuito che l’esercizio venatorio in zona destinata a riserva naturale viola il precetto penale di cui alla l. n. 157 del 1992, art. 30 quando una disposizione integrativa del precetto penale – che può essere contenuta anche in una legge regionale o in un provvedimento amministrativo regionale – abbia regolarmente inserito la zona in questione all’interno di una riserva naturale regionale o di un’oasi di protezione o di una zona di ripopolamento regionale e l’abbia di conseguenza qualificata come zona nella quale la caccia sia vietata, escludendo che lo stesso principio trovi applicazione rispetto ai Parchi nazionali, laddove il divieto assoluto di attività venatoria è disposto dalla l. n. 394 del 1991, art. 11).
In secondo luogo, ancora, i giudici del riesame hanno ulteriormente rilevato che i due imputati, in quanto soggetti autoctoni, avrebbero dovuto conoscere il territorio, sussistendo un onere informativo sugli stessi, anche alla luce dell’immagine di cacciatori esperti attesa la licenza per detenere fucili da caccia, l’abbigliamento utilizzato, l’elevato numero di munizioni nella loro disponibilità.
Deve, sul punto, essere ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in sede di riesame dei provvedimenti concernenti misure reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, sicché lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, ma a condizione che esso emerga ictu oculi (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016 – dep. 03/05/2016, Rv. 266896; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008 – dep. 12/06/2008, Rv. 240521) ciò che, per quanto osservato nell’ordinanza, nella specie non può ritenersi emerso in maniera evidente.
7.3. Ciò vale, ad avviso del Collegio, soprattutto ove il reato sia addebitabile a titolo di colpa, come nel caso in esame, trattandosi di contravvenzione punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda (art. 30, comma primo, l. 394 del 1991).
E’ stato, infatti, già affermato da questa Corte che nelle contravvenzioni, la semplice volontarietà dell’azione non è sufficiente ad integrare l’elemento psicologico del reato, occorrendo quanto meno la colpa; ma per escludere la colpevolezza dell’imputato non basta constatare che egli sia incorso in errore circa la sussistenza di un presupposto dell’incriminazione (nella specie, l’assenza di perimetrazione, trattandosi di area protetta “regionale”), ma è necessario dimostrare che l’errore sia scevro da colpa. Nella specie, trattandosi di reato posto in essere da soggetti dediti abitualmente all’esercizio della caccia (dunque non da un quivis de populo, ma da soggetto che, per necessità, ai fini della licenza di caccia, deve essere in possesso di capacità specifiche per l’esercizio venatorio), vale il principio per cui nelle fattispecie contravvenzionali, la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceità del fatto e derivi da un elemento positivo estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto, la prova della sussistenza del quale deve essere fornita dall’imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (Sez. 4, n. 9165 del 05/02/2015 – dep. 02/03/2015, Rv. 262443 – 01). Dimostrazione, nella specie, assente, non essendo sufficiente a in tal senso la mera labiale affermazione dell’essere i due ricorrenti residenti a distanza dal luogo del fatto o l’asserita mancata conoscenza dei luoghi per non aver esercitato prima la caccia in tali luoghi, affermazioni, queste, risolventisi in argomentazioni fattuali necessitanti di un apprezzamento di merito (e che, in quanto tali, sfuggono alla cognizione di questa Corte), dovendosene valutare la rilevanza nel successivo giudizio di merito.
Integra, pertanto, il reato di cui all’art. 11, comma 3, lett. f), l. 394 del 1991, in relazione all’art. 30, comma primo, della medesima legge, l’introduzione, da parte di  privati,  di  armi,  esplosivi  e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati, ove il fatto si verifichi in area protetta regionale, pur in assenza di tabellazione perimetrale dell’area, dovendosi escludere la buona fede in mancanza della dimostrazione di avere compiuto tutto quanto possibile per osservare la norma violata (v., ad esempio, con riferimento all’esercizio abusivo della caccia: Sez. 3, n. 7276 del 03/05/1973 – dep. 23/10/1973, Rv. 125259 – 01).
8. A diverso approdo deve, infine, pervenirsi quanto al sequestro probatorio afferente ai due foderi di fucile e lo zaino in sequestro, unici beni in relazione ai quali– a differenza delle armi e del relativo munizionamento, tenuto conto della motivazione del provvedimento che ne giustifica adeguatamente la pertinenzialità – il provvedimento di sequestro probatorio merita censura, stante l’assenza di una qualsiasi motivazione circa la della necessità delle “res” in sequestro ai fini dell’accertamento del fatto illecito nonché sul nesso di derivazione e di pertinenza di tali res con il reato, ciò comportando la nullità genetica in parte qua del provvedimento, non sanabile in sede di riesame (per tutte, v. Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018 – dep. 27/07/2018, PM in proc. Botticelli e altri, Rv. 273548 – 01).
9. L’impugnata ordinanza dev’essere, conclusivamente, annullata senza rinvio, limitatamente al sequestro probatorio dei due foderi di fucile e dello zaino, con conseguente revoca del provvedimento genetico del PM e restituzione agli aventi diritto, dovendosi invece rigettare nel resto.

P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente allo zaino ed ai due portafucili, beni in relazione ai quali revoca il sequestro probatorio, ordinandone la restituzione agli aventi diritto. Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso, il 12 maggio 2022

 


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