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Presidente Mattarella, giustizia e partiti


Estrapolo, onde fugare timore di fraintendimenti, i due passaggi che il discorso del neo-presidente Mattarella II ha dedicato al problema Giustizia.

di Sergio Bevilacqua

Ecco il primo: “Nella salvaguardia dei principi, irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della Magistratura – uno dei cardini della nostra Costituzione – l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini. È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio superiore della Magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare, superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario. Occorre per questo che venga recuperato un profondo rigore. In sede di Consiglio Superiore ho sottolineato, a suo tempo, che indipendenza e autonomia sono principi preziosi e basilari della Costituzione ma che il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza.”

Data l’importanza della posizione del Presidente della Repubblica, che è anche Presidente del Consiglio superiore della Magistratura, e che si trova ben coadiuvato dal nuovo presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, credo che sia stata opportuno la piena trascrizione del primo passaggio del discorso di Mattarella II. Sarà impossibile che questo sistema si auto-riformi, producendo la necessaria snellezza e affidabilità, dal momento che i vertici si riproducono tali e quali, senza visione creativa delle istituzioni.

Ma vediamo il secondo passaggio.

“I cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone. Va sempre avvertita la grande delicatezza della necessaria responsabilità che la Repubblica affida ai magistrati. La Magistratura e l’Avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei.”

Notare che gli standard europei, se sono di ben altra evidenza di efficienza ed efficacia rispetto a quelli italiani, è perché vedono la mediazione (e non i tribunali) risolvere dal 90 al 50 % dei casi (con soddisfazione di merito e tempi, 3-6 mesi per avere giustizia) in tutti i Paesi europei. Ci mancherebbe, con quello che si ha il discorso del Capo della Magistratura (non dovrebbe per caso essere il popolo?) quadra, ma se ricordiamo la quantità innumerevole di sgambetti fatti alla legge sulla mediazione dalla lobby degli avvocati che temevano di vedere scappare i clienti tenuti al guinzaglio da codici di procedura vetusti, c’è da domandarsi ancora una volta se questa democrazia piramidale, con un vertice (il Presidente della Repubblica, eletto da incapaci di rappresentanza dei cittadini, questi partiti sedicenti e fantasma) autocratico e cripto-monarchico abbia senso oggi. Certo, prima di tutto vanno rifondati i partiti e, visto che non c’è abbastanza cultura civile, questo deve essere fatto per Legge: una legge che regoli il complesso funzionamento di questi organismi a doppia faccia, privata da un lato e pubblica dall’altro.

La democrazia si regge sulla separazione dei 3 poteri pubblici: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario, che devono lavorare senza fare differenze tra i cittadini, per il bene della loro Repubblica, col suo Stato. Da questa concezione storica, ancore oggi valida, forte e necessaria, pur con i cambiamenti storici intervenuti e la trivoluzione (l’era G.A.M. di Globalizzazione, Antropocene e Mediatizzazione estrema) in corso, discendono due modelli istituzionali: 1. che vede il popolo (demos) sia al vertice e sia alla base del potere (crazia) pubblico, in modo da chiudere la democrazia in un obbligo di purezza istituzionale e filosofica; 2. che guardando all’efficienza e qualità del modello democratico, lascia il demos alla base e affida per gradi progressivi di rappresentanza il vertice ad altro soggetto, organo istituzionale, modulato ma sempre non-coincidente col popolo stesso, come, ad esempio, il Presidente della Repubblica in Italia. I dubbi riguardo all’elettività del potere giudiziario (Presidenti dei Fori e Procuratori Capo) certo hanno a che fare con considerazioni sociologiche e culturali (in particolare nel Mezzogiorno per la presenza delle organizzazioni criminali con vasta eco popolare), ma anche devono essere riconosciuti i vantaggi di un sistema che così rischia di essere autoreferenziale, meccanicistico e non organico (come è organica qualsiasi questione giudiziaria per principio) e in conseguenza inefficace per complessità di principio, condizionato dagli altri poteri spesso non puri, perché lo stesso vertice della Magistratura, il Presidente della Repubblica, è eletto non dal popolo ma dal Parlamento. Ad esempio. la nomina dei procuratori internamente al sistema Giustizia, anziché direttamente dal popolo, ha portato all’affioramento di candidature politiche che hanno danneggiato l’esecuzione della giustizia quando si è riguardato di casi con rilevanza politica. Certo è che tra i due impianti democratici “testa-coda” e “piramide”, quello sicuramente più garantito sul piano delle libertà e dei diritti democratici è il primo, ove il popolo determina i vertici dei poteri pubblici. Le vie di mezzo sono delle gradazioni con effetti relativi agli istituti ibridati, che possono essere agite in presenza di particolari condizioni socioculturali, facendo attenzione però alle alterazioni del sistema, che non è una macchina bensì un organismo.

Ciò detto, comunque, una legge sui partiti deve stabilire il dispositivo pubblico-privato del loro funzionamento, missione, funzioni fondamentali, processi operativi, organi fondamentali, modalità di finanziamento di fonte pubblica e di fonte privata. Poi, ad libitum…

Ma non esiste sistema realmente democratico senza definiti organismi di rappresentanza (partiti) e conseguente padronanza, in una Repubblica (anche le confederate americane), dei cittadini della stessa Repubblica sullo Stato. Ciò avviene attraverso dei “fiduciari”, che sono appunto, ancora una volta, i partiti.

La dimostrazione che la nostra Costituzione ispira benissimo ma non definisce per bene i modi e quindi non basta assolutamente, sta negli altri ordinamenti dei Paesi democratici e nello stato di fatto anche storico delle storture e palesi insufficienze degli attuali partiti italiani. Non dimentichiamo che sono organismi necessariamente bifronte, privati ma anche pubblici. La normativa sui partiti desunta dalla sola Costituzione è generica, laconica ed è stata massacrata dal populismo becero, che ha fatto breccia nella gente causando un deficit culturale e sociale.

Occorre una legge ormai. Non si riesce col solo buon senso costituzionale a risolvere la valanga di malattie inoculare nella catena democratica dalla distruzione dell’anello partito: leaderismo, carismatismo, opportunismo, individualismo, bugie nel rispetto della partecipazione, arroganza istituzionale e organizzativa interna, sfruttamento del meccanismo elettorale ai fini promozionali individuali, clientelismo, misconoscimento del ruolo di servizio del partito, e altro ancora … Il tutto a scapito della vera rappresentanza!

Occorre una legge. È proprio una questione politica. Ma “questi” (tutti…) non la faranno perché sono tutti figli di una o dall’altra di quelle malattie.

E nemmeno Mattarella. Non l’I, Temo neppure il II.

Sergio Bevilacqua


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