Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

‘Roma e Parigi mai così vicine. Non certo in treno. E Finale Ligure-Andora: peccato sia un progetto surreale. Perché i sindaci muti


“Roma e Parigi mai così vicine” hanno titolato esultanti i media dopo la firma del Trattato del Quirinale tra i Presidenti Mattarella, Draghi e Macron. Sarà ma, sotto il profilo ferroviario, Italia e Francia non sono state mai così lontane come in questi mesi, con la necessità di cambiare a Ventimiglia, dopo la cessazione della società Thello, che ha comportato la cancellazione anche dell’unico collegamento notturno Venezia – Milano – Parigi, sopravvissuto fino alla pandemia.

di Massimo Ferrari*

Massimo Ferrari è Presidente Assoutenti/UTP, esperto e storico dei Trasporti. É stato assessore ai trasporti e viabilità nella città di Monza nel 1993 – 1994, autore di articoli su riviste specializzate

E a dispetto delle intenzioni ripetute pure alla Cop26 di Glasgow circa il rilancio delle relazioni ferroviarie internazionali per contenere il traffico aereo, almeno sulle rotte in cui il treno potrebbe costituire una valida alternativa.

Perché di questo si tratta, ma purtroppo grande è la confusione nelle menti di chi dovrebbe assumere decisioni sia sugli investimenti infrastrutturali, sia sulla gestione dei collegamenti. Cominciamo dai primi. Come è noto, da oltre trent’anni si da per certa una nuova galleria di base per surrogare il più antico traforo alpino, quello del Fréjus, che risale al 1871, ossia alla Breccia di Porta Pia ed al trasferimento della capitale del neonato Regno d’Italia da Firenze a Roma.

Un secolo e mezzo che ha logorato quella galleria ottocentesca al punto di imporre – per le solite ragioni di (presunta) sicurezza – il senso unico alternato al passaggio dei treni, pur ospitando la canna del tunnel il doppio binario. La nuova linea è stata da sempre sostenuta quale strumento indispensabile per riequilibrare il traffico delle merci, ora sbilanciato eccessivamente sulla strada, arrivando a prefigurare un fantomatico corridoio transeuropeo da Lisbona a Kiev. E fornendo, così facili argomenti a sostegno del delirante movimento “No Tav” che ha imperversato per anni in Valsusa anche con modi violenti. Come è facile intuire, pochi sono entusiasti della prospettiva di veder passare pesanti treni merci nelle valli alpine, mentre qualcuno – anche tra i leader della rivolta – pare colluso con gli interessi degli autotrasportatori.

Nessuno tra i sostenitori dell’opera si è invece soffermato sul principale vantaggio che potrebbe scaturire dalla realizzazione di una linea veloce tra Italia e Francia. Ossia poter viaggiare tra Milano e Parigi in 4/4h30‘, contro le 7h30′ dei convogli attuali più veloci, che non sono per nulla competitivi con l’aereo lungo una delle rotte internazionali più trafficate del continente. Che poi significherebbe anche poter viaggiare in 2h30′ da Milano a Lione, in 3h30‘ da Torino a Parigi e aprire prospettive interessanti per i collegamenti tra le città padane quelle del mezzogiorno francese (Avignone, Nimes, Montpéllier) e – perché no? – Barcellona e Londra (magari con treni notturni adeguati alle esigenze dei viaggiatori del XXI° secolo).

In attesa dei tempi biblici previsti per il completamento dell’opera (dove non si capisce se a frenare di più siano le resistenze degli antagonisti o la neghittosità dei costruttori, interessati soprattutto a varare cantieri per poi tenerli aperti quanto più a lungo possibile), poco o nulla si è fatto per migliorare le relazioni attuali. Non solo si sono cancellate quelle notturne – le uniche che, offrendo la possibilità di viaggiare dormendo, potevano essere competitive per lo meno con il costo dell’albergo – ma si sono boicottate pure quelle diurne.

Per esempio non consentendo per oltre dieci anni ai TGV francesi di utilizzare la linea veloce Torino – Milano (cosa che taglierebbe di un’ora il tempo di viaggio), in attesa del lancio dei Frecciarossa internazionali che solo ora sembrano pronti a partire. Della serie: dispetti tra società (pubbliche) litiganti per lo stesso (misero e calante) mercato, non considerando come il vero concorrente del treno tra Milano, Torino e Parigi sia l’aereo.

E passiamo allora al valico di Ventimiglia, dove l’alternativa – per ora largamente vincente – al treno non è rappresentata dall’aereo, ma dall’auto privata e persino dalle corse Flixbus. Qui siamo in presenza di una linea storica ancora in parte a binario unico, i cui lavori di raddoppio si susseguono stancamente da oltre mezzo secolo. Nel frattempo le prestazioni dignitose di un TEE come il “Ligure”, che, fino agli anni Ottanta del secolo scorso, collegava Milano a Marsiglia ed Avignone sono un lontano ricordo.

E’ notizia degli ultimi giorni che finalmente è stato ratificato il programma di raddoppio del binario nel tratto mancante tra Finale Ligure e Andora. Peccato si tratti di un progetto surreale che, sotto la spinta dei sindaci desiderosi di liberarsi della servitù dei binari e degli immobiliaristi ansiosi di accedere ad ulteriori lottizzazioni, riduce la capillarità del servizio ferroviario, eliminando numerose stazioni o allontanandole, come ad Albenga, di sei chilometri dal centro abitato. Ed azzoppando, così, il trasporto pendolare verso Genova e Savona, con la conseguenza di riversare ulteriori flussi di veicoli sull’Aurelia perennemente intasata e sull’Autofiori afflitta da cronici cantieri.

Ci sarà almeno un vantaggio per il traffico internazionale? Beh, questo è tutto da vedere. Come si è detto, con la chiusura di Thello, da qualche mese non circolano più convogli internazionali. Una situazione che si era già verificata alcuni anni fa, quando, sotto la regia dell’ing. Moretti, il gruppo FS si concentrò solo sul mercato nazionale. Al meeting EPF (European Passengers Federation) tenutosi a Milano nel 2014 uno dei responsabili commerciali di Trenitalia arrivò a sostenere che al valico di Ventimiglia non ci fosse sufficiente domanda per giustificare il servizio.

Non ci sarebbe mercato lungo una città lineare che tra Genova e Nizza inanella centri del calibro di Savona, Albenga, Alassio, Imperia, Sanremo, Mentone, Monaco-Montecarlo. Senza parlare, oltre Nizza, di Antibes e Cannes? Ma non scherziamo. Il vero problema è che nessuno vuole accollarsi il rischio di sostenere finanziariamente un servizio pubblico che non si sa se debba essere in capo a Roma o a Parigi. Bene, quale occasione migliore dell’odierno Trattato del Quirinale per affrontare congiuntamente la questione.

Oppure si pensa che gli eventuali treni diretti, anziché ai frontalieri ed ai turisti italiani diretti nelle località della Costa Azzurra – ed ai corrispondenti francesi che vengono in Riviera – siano appannaggio soltanto di migranti clandestini (i quali, comunque, trovano lo stesso il modo di varcare la frontiera anche a piedi, sotto gli occhi impotenti delle guardie di confine)? Di questo passo tanto varrebbe allora costruire un muro a Villa Hanbury, come già sta avvenendo tra Polonia e Bielorussia. “Quando  si riesce più a difendere il limes” scriveva Indro Montanelli a proposito della fine dell’Impero Romano “allora sorgono i limites”. Verso un medioevo prossimo venturo?

Certo, con il raddoppio (seppur demenziale) del binario sul Ponente si risparmierebbe mezz’ora di tempo, da aggiungere ad un’altra ora dopo la realizzazione del Terzo Valico tra Milano e Genova. Si potrebbe allora viaggiare in tre ore o poco più (dipende dal numero di fermate intermedie) da Milano a Nizza. Sempre che non si perda mezz’ora a Genova Principe tra cambi di banco e precedenze. C’è qualcuno che ci sta pensando? Chissà.

C’è poi un terzo valico ferroviario tra Italia e Francia, quello di Tenda. Una linea negletta anche se la più votata dal FAI tra i “luoghi del cuore” 2021, da salvaguardare per il suo interesse architettonico ed ambientale. Servirebbe anche per far viaggiare qualche corsa diretta da Torino a Nizza via Cuneo, come era accaduto per qualche tempo nei lontani anni Ottanta. Offrirebbe una valida alternativa alla parallela strada dissestata che ha subito gravi interruzioni per eventi meterologici.

Peccato che anche la ferrovia, afflitta da scarsa e sporadica manutenzione, sia spesso colpita da interruzioni che bloccano il paio di coppie di automotrici programmate in orario. Altro che “luogo del cuore”, qui rischiamo di scivolare nell’archeologia ferroviaria.

Massimo Ferrari*

Presidente Assoutenti/UTP

—————————————–

COLDIRETTI E CONFAGRICOLTURA: I DANNI DEI BINARI A MONTE

COMUNICATO ‘AMBIENTALISTI’: NON SIAMO PIU’ SOLI  CON I PENDOLARI

Spostamento a monte della ferrovia nel Ponente Ligure: non solamente da ambientalisti e pendolari, anche dal settore agricolo arrivano forti contrarietà. Apprendiamo con soddisfazione della presa di posizione da parte di due importanti organizzazioni a tutela del comparto agricolo, Coldiretti e Confagricoltura, che palesano i danni che questo progetto di “spostamento a monte” porterà.
Insomma, non sono più “solo” ambientalisti, comitati a salvaguardia del territorio e comitati di pendolari (che
qualcuno ritiene – non si capisce perché – non rappresentativi) ma anche organizzazioni preposte a
salvaguardare sia il lavoro sia un bene non rinnovabile come il territorio e le sue risorse che intervengono in
modo forte per esprimere obiezioni a questo progetto.
Che il comparto agricolo sia da sempre sensibile alla difesa del territorio è una cosa che non deve stupire. Anzi: da un’agricoltura sostenibile viene la difesa dell’ambiente e del territorio. Ma non è solo – si fa per dire – questo. L’intervento delle due organizzazioni ci ricorda anche i danni permanenti che verranno da questo spostamento, ad esempio ad un bene essenziale come l’acqua, con i danni irreversibili alle falde acquifere, che si aggiungono a quelli ambientali e paesistici più generali, con la compromissione di di aree naturali protette. E giustamente viene messo in risalto il danno economico e al lavoro, con ettari ed ettari persi e conseguenze dirette su decine di aziende.
E’ strano: in questa regione viene sempre portato il tema del lavoro e dell’occupazione a sostegno anche di opere devastanti per l’ambiente e il territorio, ma poi quando emerge che per queste opere ci saranno ricadute occupazionali negative il tema sembra divenire meno importante? Forse che ci sia un lavoro degno di tutela e un altro meno?
Riteniamo che sia necessario da parte di alcuni settori della politica una profonda riflessione sulle ricadute di una serie di opere su cui non c’è adeguata informazione e condivisione, che vengono da tempo indicate acriticamente come strategiche, anche rispetto al lavoro e alle ricadute occupazionali negative che portano con sé, oltre che ai danni enormi che ne vengono per l’ambiente e per la vita quotidiana dei cittadini. Lo spostamento a monte della ferrovia è una di queste.
Gli interessi dei Liguri del Ponente e di tutta la regione, pendolari o no, il suo fragile territorio, il suo equilibrio ambientale, la sua coesione sociale e l’economia agricola non hanno bisogno di questo spostamento a monte, ma hanno invece bisogno di un progetto serio di autentico raddoppio, stante il fatto, peraltro, che più di 1/3 della tratta tra Andora e Finale Ligure è già a doppio binario, cosa che una certa politica un po’ distratta non menziona molto. E si può partire con quegli interventi infrastrutturali e tecnologici puntuali fattibili già adesso e iniziando a fornire sempre da adesso un servizio ferroviario maggiormente adeguato alle esigenze degli utenti e di tutti i cittadini.

DOCUMENTO DIFFUSO DA CONFAGRICOLTURA:

addio 100 ettari di aree coltivate nella piana di Albenga e Borghetto S. Spirito

“Il progetto di spostamento della ferrovia andrebbe a occupare e compromettere irrimediabilmente circa un centinaio di ettari di terreno agricolo. Negli ultimi decenni la perdita di terreno agricolo è la principale minaccia che ha il territorio. Uno spazio agricolo, nel caso un prodotto non abbia più mercato, può essere facilmente convertito a nuove colture, e la piana albenganese ha saputo storicamente reinventarsi periodicamente, garantendo reddito e lavoro con i propri prodotti. Uno spazio edificato abbandonato non produce più reddito ed è difficilissimo da riconvertire all’agricoltura. Di più, la perdita di spazio coltivabile fa perdere massa critica alle produzioni ingaune, mettendole a rischio di progressiva marginalizzazione a vantaggio di zone produttive con spazi maggiori.  “Si fa un gran parlare degli effetti positivi e negativi del futuro, possibile, raddoppio ferroviario Finale – Andora – proseguono -. Molto probabilmente, per quello che riguarda il florovivaismo e l’agricoltura nelle sue varie attività, le ricadute in positivo saranno limitate. Al momento non sussiste all’interno della filiera florovivaistica a livello europeo nessun esempio significativo di trasporto organizzato stabile via ferrovia e probabilmente non esiste ne è prevedibile una tratta con valori che giustifichino treni completi. Tale tipo di trasporto, che pure ha fatto la storia del florovivaismo sanremese e albenganese da fine ‘800, è oggi inutilizzato con la fine del trasporto merci a collettame. La stragrande maggioranza dei mezzi pesanti sull’Autostrada dei Fiori sono inoltre mezzi che sono in transito, senza avere né origine né destinazione finale in Liguria. Allo stesso modo i treni merci oggi in transito sulla linea hanno queste caratteristiche”.

“E’ discutibile inoltre il beneficio che ne potrebbe trarre la comunità residente di cui gli agricoltori fanno parte. I benefici maggiori, dal lato ferroviario, sono infatti attesi per il trasporto passeggeri, dato che la diminuzione del tempo di percorrenza effettivo può rendere maggiormente attrattivo il trasporto ferroviario sulla media e lunga percorrenza e incentivare l’apertura di nuovi servizi. Tali però sono solo previsioni ottimistiche”.

“Il rischio maggiore delle nuove stazioni di Pietra, Borghetto e soprattutto Albenga è la distanza dal centro di riferimento. Nei precedenti raddoppi c’è sia l’esempio positivo di Taggia, che pur fuori dal centro abitato, serve meglio della precedente stazione di Arma un comprensorio vasto. All’estremo opposto, la stazione di Diano è mal collegata e mal servita e fa molto rimpiangere il passato. Alcune limitazioni sarebbero in teoria facilmente risolvibili riorganizzando e integrando il trasporto pubblico su gomma con quello ferroviario, ma l’attenzione che si dà a questi servizi è al momento limitata”.

“Le aziende sono inoltre preoccupate per gli impatti diretti dei lavori: le polveri sollevate rischiano di danneggiare le colture, lo smarino può avere un impatto ambientale sia in fase di scavo che di smaltimento, i lavori possono rendere difficile l’attività logistica di export primaverile e inoltre già in passato lo scavo di tunnel autostradali e ferroviari ha causato profonde mutazioni del tessuto idrogeologico, incluso prosciugamento di fonti e pozzi. Questo per tacere delle imprese che saranno costrette a chiudere perché attraversate dal tracciato. L’agricoltura savonese e ingauna nello specificonon è nemica del progresso, ma non può essere sempre l’unica a pagare il conto”.


Avatar

Trucioli

Torna in alto