I Liguri, contadini e pescatori hanno prodotto anche cultura, il cibo per l’anima. I Mazzotti, una vita per l’arte e un’arte per la vita. Come i figulinai albisolesi sono entrati nella storia dell’arte.
di Gianfranco Barcella
I CERAMISTI
I ceramisti creano con gli elementi primordiali :
terra, acqua, aria e fuoco e più di tutti gli artisti
si avvicinano al Creatore, primo artefice di vita.
Per questo sono i nipoti prediletti di Dio
e possono assaporare tutte le stagioni
nel campo di Natura che custodisce le verità segrete.
Nulla a loro è celato perché nel creare
donano solo bene con un capriccio di bellezza
ch’è gioia concreta per lenire la tristezza.
(G.B.)
Albisola è una cittadina della Riviera Ligure che sorge in una piccola pianura alla foce del torrente Sansobbia ai piedi della vallata che collega la Liguria al Piemonte. E proprio il Sansobbia che storicamente ha generato Albisola, ironia della sorte, ora ne segna amministrativamente la divisione. Ha trasportato, infatti, attraverso i millenni, il terreno faticosamente scavato dalle sue acque a Madonna del Salto come nei meandri di Ellera, per depositarlo dove adesso sorge l’abitato. Ha lottato anche contro il mare che ha sempre voluto prevalere.
Il Sansobbia ha continuato la sua azione benefica fornendo acqua al contadino che doveva irrigare il campo, alle abitazioni e perfino concedeva sosta e protezione alle folaghe ed ai gabbiani che si posavano alla sua foce, creandovi un’oasi di delizie. Concedeva ancora l’acqua alle massaie che fin verso il 1930 andavano a lavare i panni sulle sue sponde.
Anche questo era un quadretto delizioso. Quando il mattino era soleggiato anche se un po’ ventoso le giovani donne di Albisola si passavano la voce e tutte assieme, si avviavano al fiume con la cesta degli indumenti sul capo protetto dal cercine o dalla paggetta, camminando con la grazia e la solennità delle antiche donne greche della mitologia, con i loro grembiuli variopinti. Strofinavano, sbattevano, strizzavano e quando la biancheria era pulita andavano a stenderla sulla ghiaia della spiaggia, scaldata dal sole. E si concedevano un po’ di tregua, parlando di piccole cose, scambiandosi notizie e confidenze senza confini.
Albisola è stata non solo terra di contadini, di umili pescatori, di artigiani pentolaia ma anche di nobili, di signori altolocati, di papi e di santi. A noi piace ricordarlo come un paese di <spiriti liberi>, di poeti, di artisti che hanno favorito e qualche volta anche subito la profonda trasformazione economica, politica e sociale, avvenuta nel <piccolo borgo dei vasai>, in particolare nell’ultimo secolo.
Ma l’arte dei figulinai albisolesi ha origini antiche. Fu fondata nel 1583. In quel tempo, in particolare ad Albisola Marina, si potevano contare tredici fornaci, sedici maestri d’arte e trentaquattro lavoranti. Ben presto ebbero un loro statuto e la <Carta dell’Arte> sulla quale erano stabiliti principi di solidarietà che dovevano animare gli artigiani in favore degli ammalati e delle loro famiglie.
Devoti di Sant’Antonio da Padova lo elessero a loro patrono. A lui è dedicato un altare nella Chiesa di Nostra Signora della Concordia, a sinistra dell’altare maggiore. E <Monte di Sant’Antonio>si chiamava l’istituto di credito per i figulinai: il suo ufficio era ubicato in Piazza della Concordia, dove attualmente è collocata la fontanella pubblica. Al vertice della Fabbrica di ceramiche c’era il titolare a cui spettava il titolo di Maestro. All’interno lavoravano le figure dei <terranti> cottimisti, chiamati così perché avevano il compito di preparare la terra refrattaria (argilla che abbondava nelle colline circostanti, ed i <tornianti>, cottimisti addetti a modellare la terra sul tornio a pedale; <i giornalieri> lavoravano sulle pentole uscite dal tornio, aggiungendo manici o maniglie e provvedevano anche alla verniciatura, <il fornaciante> giornaliero era l’addetto alla cottura nel forno a legna; il<decoratore> operava solo sui prodotti artistici.
La produzione di terraglia <all’uso inglese> seppur di carattere dozzinale, ha permesso, dopo la peste, la carestia, le mareggiate del finire del ‘700 e per tutto l’800, la sopravvivenza dell’arte figulinaia e una vita dignitosa alla comunità albisolese.
Agli inizi dell’ 800 si fa risalire una produzione ceramica di carattere popolare ma di gran pregio: si producono le figurine del presepe, chiamate <Macachi>. Non vi è casa albisolese nella quale non siano entrate queste statuine di piccole dimensioni, modellate a stampo, rifinite a secco e dipinte a secco con colori vivaci. Purtroppo i vecchi pastori, caratterizzati dalle figure di Gelindo e Gelinda sono stati sostituiti pian piano dalle figure di plastica.
Nel frattempo si sviluppa una produzione di piatti, conche, tegami, acquasantiere rivestiti da una vernice marrone chiara e decorati con pennellate di colore marrone scuro (la ceramica a <taches noires>, ossia a macchie nere. La sua produzione è arrivata a 25 milioni di pezzi l’anno e veniva diffusamente smerciata in tutta Italia ed in Europa. Agli inizi del XIX secolo la <terraglia nera> aveva sostituito progressivamente la produzione a <taches noires>.
Nel 1906, sotto il titolo: “Nel paese delle pignatte“. G. Luigi Cerchiari scrive sul <Secolo XIX>: “….Ben 22 le fabbriche adattate alla produzione delle pentole e vasi da cucina. Ma può darsi che tutta Albisola sia un’immensa fabbrica di pignatte di tondi…. Ogni atrio di casa è una fucina…. La spiaggia è un immenso deposito di pentole…Il mare è rosso di frammenti di terra di pignatte disciolte… La ferrovia corre sopra una linea che non ha più ghiaia ma cocci di pentole, alla stazione v’è sempre una lunga fila di carri, carichi di stoviglie>.
Il giornale <Il Cittadino>, nel numero del 30 ottobre 1910, riporta un’altra interessante notizia: “L’inaugurazione della ricostruzione della Società Cooperativa tra fabbricanti di stoviglie in Albisola Marina“.”Sabato sera ad Albisola Mare, o fabbricanti di stoviglie delle tre Albisole, volendo festeggiar la ricostruzione delle Società Cooperativa, si riunirono in un fraterno banchetto nei locali stessi della lavorazione, situati al Capo. Alla geniale festa, l’egregio presidente della ricostituita società, Marchese Ing Nicolò Gavotti, diramava parecchi inviti e vi intervennero non poche persone di Savona, fra cui il deputato del nostro Collegio, on. Giuseppe Astengo, atteso alla stazione del paese dalla Presidenza e da altre egregie persone. Prima cura fu quella, dopo il ricevimento di visitare i locali per il deposito e per la lavorazione della terra refrattaria, in precedenza benedetti dai reverendi parroci delle tre Albisole. Diremo anzitutto che architetto del caseggiato fu l’ottimo geometra sig. Armando e che costruttore della grande macchina per la lavorazione della terra è l’ing. Robin, della rinomata. Ditta “Lobru e Droger”“.
Per giungere ad apprezzare una fabbrica di ceramica vera e propria dobbiamo arrivare al 1902. E qui dopo questa nota introduttiva un po’ prolissa ma necessaria,inizia la nostra narrazione della storia della famiglia Mazzotti. In Pozzo Garitta, Giuseppe Mazzotti detto <Bausin> fonda la M.G.A. L’ imprenditore si mette in proprio dopo un periodo di apprendistato nella fabbrica di Nicolò Poggi, colui che ha riproposto la <Vera imitazione Savona Antica>.
Adolfo Rossello, detto <u Messettu> fonda in contrada Isola , l’opificio denominato Alba Docilia. E’ da segnalare anche l’attività di un artigiano,<U Tunan>, lavorante in proprio in coppette barilotti a forma di tazza cilindrica con maniglie. Molti ceramisti sono partiti verso terre lontane, per ragioni politiche e molto più spesso per ragioni economiche. Citiamo uno dei primi, un tale Pau Gervasi, probabilmente un Gervasio d’Albisola.
L’elenco sarebbe lungo; lo chiudiamo ricordando che agli inizi del Novecento, Emilio Mazzotti si trasferisce a Vallauris e negli Anni ’50 diventerà il torniante di Pablo Picasso. Se l’attività prevalente in Albisola è sempre stata quella legata alla produzione delle pignatte e alla commercializzazione delle pignatte molti erano anche i contadini che si occupavano dell’attività ortofrutticola.. La piana del Sansobbia era tutta una distesa di orti, frutteti ed uliveti che occupavano i terreni che si estendevano dal piccolo centro abitato e si inerpicavano sulle alture del Monte, dei Bruciati, delle Collette.
“Questa urbanizzazione sostanzialmente cambierà ben poco fino alla metà del ‘900. Le case sono ammucchiate le une sulle altre, divise da strette vie vie dirette e perpendicolari fra loro (i caruggi), come raccolte in un abbraccio per difendersi da un nemico comune: è la tipica struttura dell’antico borgo ligure, quando il nemico effettivamente esisteva e veniva dal mare su navi saracene. Intorno al paese si estendeva una cornice di boschi, vera fonte di ricchezza in anni in cui la legna è l’unico combustibile sia per uso civile, sia per le manifatture” .(da “Albisola… C’era una volta”, prezioso volume curato da Edda Dell’Amico , Francesco Gervasio e Angelo Nicolini )
Pressoché assenti risultavano i pescatori professionisti. La spiaggia di Albisola era il regno incontrastato dei pentolai che concedevano poco spazio ai <pescuei>. Per contro molti cercavano di ricavare dal mare un po’ di carne prelibata per integrare il magro pasto quotidiano. Ma il progresso avanza. Durante gli Anni Trenta, Albisola, soprattutto grazie a Tullio Mazzotti, ribattezzato da Filippo Tommaso Marinetti, Tullio d’ Albisola, diventa un centro artistico di fama internazionale che accoglie in toto e valorizza il credo artistico del Futurismo, il primo e unico movimento d’ avanguardia di origine italiana.
Esaltava la macchina, la velocità della vita moderna, il progresso scientifico, la guerra come sola igiene del mondo. Non a caso il lavoro industriale delle periferie cittadine divenne uno dei soggetti più amati dai suoi pittori. Alla fine degli Anni Venti, quando il movimento approda ad Albisola, in piena epoca fascista e dopo aver rivisitato e stravolto tutta la tradizione artistica, trova un contesto stimolante in cui rapidamente si integra assumendo caratteristiche e contenuti nuovi che vanno sotto il nome di Secondo Futurismo. Tale Movimento Artistico è definito è definito acutamente dalla scrittrice Milena Milani: <Movimento fascista- democratico”.
Vi si ritrova, infatti, l’adesione al regime fascista , permeato di protagonismo guerranfondaio e dell’ideologia della violenza, ma vi si ritrova anche la difesa delle espressioni artistiche delle avanguardie europee e l’accettazione degli artisti senza pregiudizi ideologici o geografici.. Dialoga con il Cubismo e con il Surrealismo ed in particolare ad Albisola come trait d’union fra le esperienze precedenti e le successive,in particolare con lo Spazialismo di Lucio Fontana.
Così in Albisola, negli Anni Venti e Trenta ferve una sorta di cenacolo d’ artisti perennemente impegnati a dibattere ed a <fare arte>. Marinetti, Tullio, Fillia, Farfa, Prampolini, Diulgheroff. Munari, Depero, Strada Passatoil , Pacetti. L’incontro dei Futuristi con la ceramica e con <la fabbrica> portò ad un’esperienza unica di proto design, con la fabbricazione di oggetti d’uso e di arredo, riprodotti in più esemplari,messi a catalogo e brevettati: tali oggetti sono acquisiti da catene commerciali come la Venchi Unica; altri di carattere pubblicitario, sono destinati a grandi aziende quali Cora, Rinascente, Campari, Martini, Pirelli. L’economia legata alla ceramica albisolese prende il volo: ne è in qualche modo testimonianza l’apertura della nuova sede della Fabbrica Mazzotti alla foce del Sansobbia, progettata dall’architetto futurista Diulgheroff; un altro segno dell’importante presenza futurista ad Albisola.
Non a caso il giorno della morte, il 2 Dicembre 1944, a Savona si celebrò una commemorazione funebre nel salone dei Concerti del Teatro Chiabrera nel corso del 41° Quarto d’ora di Poesia“(appuntamento settimanale diretto da Acquaviva e lanciato da Farfa il 3 Aprile 1944 con lo scopo di testimoniare in un momento drammatico la fede indistruttibile della poesia). C’è ancora da sottolineare che nel 1938, in agosto, viene elaborato e presentato ad Albisola, definita la capitale ceramica d’Italia il <Manifesto futurista della ceramica e aerocermica>, pubblicato poi sul giornale torinese .<La Gazzetta del Popolo>. E’ firmato da Marinetti che così conclude: “Scritto in collaborazione con Tullio d’Albisola”, facendo specifico riferimento alle vicende <dell’officina futurista> dei Mazzotti.
Passato il ciclone della seconda guerra mondiale si apre l’epoca delle grandi attività espositive sia in luoghi ufficialmente adibiti alle manifestazioni culturali sia negli spazi più vari ed improbabili. Nel 1954 <L’incontro Internazionale della Ceramica>, cui partecipano Appel, Baj, Corneille, Dangelo, Fontana, Jorn, Tullio, Scanavino con altri artisti e scrittori, ha come sottotitolo:”Mostra temporanea”. Dura due mesi nel cortile all’aperto chiamato<Galleria del vasaio Giuseppe Mazzotti>.
Nello stesso anno, le opere inviate per il <Premio Nazionale Albisola 1954 per la Ceramica>, vengono esposte sul lungomare, ma vengono purtroppo danneggiate. In quell’occasione Lucio Fontana si arrabbiò moltissimo per non essere stato accettato in concorso e l’opera in ceramica che aveva già modellato, dal titolo <Donna con la colomba>, fu regalata al Comune. Per inciso il fulcro di Albisola<città dell’arte> fu Pozzo Garitta,un luogo ammantato di magia, mai corrotto dal tempo. Si è conservato miracolosamente intatto con i suoi muri e le sue scale di pietra, aggraziati dai fiori e le scale di pietra, aggraziati dai fiori, unico angolo di Albisola, sopravvissuto agli anni del boom economico ed edilizio. Tullio d ‘Albisola così lo descrive: “Un vicolo a forma di cavallo, a ridosso dei venti e della legge, dove al gran fuoco delle ceramiche si cossero ceramiche per secoli…. Ci fu una cisterna fiorente,orba orrenda e avara e un fico con foglie morte che parevan mani…Qui la strega beveva acqua piovana dai tetti…”.
Nel 1957 arriva ad Albisola Wilfredo Lam, il cubano di origini afro-cinesi, trapiantato a Parigi, sposato con la svedese Lou, amico di Picasso e pittore già affermato a livello internazionale. Nel 1959 i fratelli Tullio e Torido Mazzotti separano le loro attività, seguendo l’uno la via più spiccatamente legata al mondo dell’arte e l’altro dedicandosi alla tradizione della ceramica artigianale. Questa separazione sembra riconfermare una regola universale, ripudiata dal Futurismo: l’artista lavora per produrre cose che piacciano a se stesso; l’artigiano lavora per produrre cose che siano gradite ai clienti.
Ad Albisola però è sempre stato difficile delimitare il confine fra ceramica artigianale e ceramica d’arte; gli artisti acquisivano capacità tecniche, patrimonio degli artigiani perché da quest’ultimi venivano ospitati a bottega come nel Rinascimento. Ma torniamo ai giorni nostri, il presepe futurista sarà allestito anche quest’anno di pandemia e si ispira al presepe di Tullio d’ Albisola ed alla Sacra Famiglia di Mario Anselmo, realizzati negli Anni Trenta. La tradizione del messaggio cristiano di salvezza, che prende corpo nel Natale ha bisogno di essere ricordata oggi più che mai come dono di luce e di speranza: è nato un bimbo povero ed infreddolito per portare all’umanità il messaggio innovativo dell’amore che vince ogni male..E’ il Piccolo Principe dell’universo che ci invita a guardare il mondo con occhi nuovi.
E il movimento del Futurismo, si prefiggeva di innovare ogni tradizione, per cambiare la storia, pur in un ambito valoriale diverso. Albisola è fedele, anche in questa occasione, alla sua vocazione culturale, unica al mondo, che vuole eternare nella creta, valori universali ed i Mazzotti ne sono ancora una volta, testimoni.
Gianfranco Barcella