Il governo giallo-verde, in Liguria e non solo, è legato a doppio filo alle lotte dei No: no Terzo valico, no al raddoppio Finale-Andora, no alla Gronda, in Piemonte con i no Tav, a Parma con i no Inceneritore, in Puglia con il no pipe line gas; comitati di cittadini contrari alla costruzione di una grande opera, supportati da un Movimento che attizza le folle ma che non si chiede il perché; salvo poi fare “marcia indietro”. In Liguria, uno dei progetti da fermare era quello della nuova autostrada di Ponente, la Gronda, che collegherebbe Genova a Vesima, sostituendo così il tratto più pericoloso dell’A10 (dove si passava su Ponte Morandi).
La Gronda è stata concepita per spostare il traffico dei mezzi pesanti dall’attuale tratto autostradale del viadotto Morandi; quando questi è stato progettato in Italia si contavano 4 milioni di autoveicoli comprensivi di autotreni [camion e rimorchi], ora circolano in Italia 40 milioni di autoveicoli, TIR esclusi.
Negli anni ’70 circolava una barzelletta di questo tipo: “Un tedesco tutte le volte che entrava in un negozio o in un ristorante, si presentava dicendo <<Otto, tedesco di Germania>>. Un tale, alla fine gli chiese di questa presentazione così astrusa. Questi gli rispose: <<Appena giunto all’aeroporto di Linate, mi dissero Otto tedesco di m…>>. Gli stranieri ora, che amano l’Italia in qualità di nazione ricca di arte, paesaggi, spiagge, etc…, di fronte alle infrastrutture vecchie ed obsolete, li senti sovente dire: <<Italia di m...>>; e dopo la sciagura di Genova non hanno tutti i torti. Un Paese che si rinnova deve dotarsi di infrastrutture di primo ordine, al di fuori delle esternazioni di quanti vorrebbero conservare il passato.
Passato che permette un trasporto merci su gomma, il più alto d’Europa; nella vicina Confederazione Helvetica, i TIR locali o in transito, vengono caricati su carri ferroviari e portati a destinazione. Ma per fare ciò occorre che le linee ferroviarie siano studiate ed eseguite in modo da permettere questo tipo di operazione; e per questo che in Svizzera vede la luce il San Gottardo, galleria ferroviaria, inaugurata il 1º giugno 2016, che collega le località svizzere di Erstfeld e Bodio; con i suoi 57 km di lunghezza è il tunnel ferroviario ad alta velocità più lungo del mondo. In Italia, e qui “casca l’asino”, al confine con la Francia le infrastrutture ferroviarie sono paragonabili a “Quel treno per Yuma”.
Tra Andora e Finale Ligure la linea ferroviaria, a binario unico, è parallela alla linea di costa. Ciò per dare modo sia ai pendolari che ai turisti di “gustarsi” i paesaggi ameni del litorale ligure, a non più degli 80 km/h in quanto anche i binari per così dire “da corsa“, sono posti su massicciate che la “corsa” proprio non la permettono. E poi, sia ai pendolari che ai turisti, non c’é di meglio, che rimanere fermi per ore sotto il sole o la pioggia, dove nessuna informazione dal personale trapela, perché nei pressi di uno dei tanti passaggi a livello [a Loano se ne contano 7], qualcuno ha pensato di dare fine alla propria esistenza facendosi travolgere dal treno.
Sempre in Liguria, gli intercity Genova – Milano, transitano al “nodo” di Arquata Scrivia, tra “sinistri” scricchiolii a non più di 50 km/h. Il collegamento ferroviario Torino- Lione, così contestato da Alberto Perino rappresentante dei No Tav, il quale ultimamente esprime così il suo pensiero a uno scambio di conversazioni in rete con altri attivisti: “I Si Tav e Telt fanno i fatti, vanno avanti e lanciano gli appalti. I Cinque stelle continuano a fare sterili proclami invece di fare atti amministrativi“, si legge secondo quanto riportato da la Repubblica e confermato a Il Fatto Quotidiano.it. “E pensare che di cartucce da sparare ne avrebbero tantissime per bloccare gli ingranaggi della grande opera. Basta volerlo fare. Ma per non disturbare il manovratore (Telt e Lega) queste cose non non vengono fatte da chi è stato mandato a Roma per bloccare la Tav“. Perino forse si ricorda quando i “treni lumache”, ad ogni paese della Val Susa, sbarcavano migliaia di “vacanzieri” e le merci, anche deperibili, poste su quei carri senza frigo, giungevano in Italia 24/h dopo aver transitato sotto il tunnel del Frejus o meglio ancora, per evitare la “puzza” attraverso l’antica via del Moncenisio, quella parallela alla statale.
No TAV è un movimento di protesta italiano sorto nei primi anni novanta del XX secolo, nel quale si riconoscono gruppi di cittadini accomunati dalla critica alla realizzazione di infrastrutture per l’alta capacità e l’alta velocità ferroviaria (comunemente note come TAV, “Treno ad Alta Velocità”), prese come simbolo ed esempio di una gestione ritenuta inadeguata dei beni comuni, della spesa pubblica, del territorio e della politica. Le linee ferroviarie al centro delle proteste sono contestate principalmente per via del costo ritenuto eccessivo rispetto alla loro utilità, anche a fronte dell’impatto ambientale e dei danni sulla salute umana nei luoghi coinvolti dalle costruzioni; non da ultimo il numero, abbastanza alto, di espropri per pubblica utilità.
Lo scavo della galleria ferroviaria del Frejus venne completato il 25 dicembre 1870 ed il traforo fu inaugurato il 17 settembre 1871. Il 5 gennaio 1872 transitò sotto il tunnel per la prima volta il treno del collegamento Londra-Brindisi, denominato Valigia delle Indie, che fino a quel momento aveva utilizzato la vicina Ferrovia del Moncenisio che valicava l’omonimo Colle superando un dislivello di 1588 metri, costruita in concorrenza con il Tunnel lungo il tracciato dell’attuale Strada statale 25 del Moncenisio con capitali e tecnologie inglesi (Sistema Fell) scommettendo sulla lunghezza dei lavori del Frejus. Al momento dell’apertura il Frejus, tuttavia, più veloce e sicuro in ogni condizione meteorologica rispetto al valico, era il più lungo tunnel ferroviario del mondo e rimase tale fino al giugno 1882, quando fu aperto al traffico quello del San Gottardo, lungo 15 chilometri.
Fra il 2003 ed il 2011 si sono svolti i lavori di adeguamento del tunnel della linea storica alla sagoma internazionale GB1 UIC, con una spesa di 107,8 milioni di euro. Gli interventi, che hanno comportato tra il 2003 e il 2007 uno scavo di abbassamento del fondo del tunnel e la scalpellatura delle pareti e sono riportati anche dal sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,consentono oggi il trasporto di casse e semirimorchi di profilo PC45 (con altezze di 3750 mm) anziché, come in precedenza, del solo PC32 (3620 mm). I risultati non sono stati tuttavia ottimali. Infatti, nella tratta francese, RFF ha effettuato, per ragioni di contenimento della spesa, uno scavo profondo solamente 30–40 cm, contro i 70 cm della parte italiana; di conseguenza, per ottenere la medesima sagoma GB1, i binari sono stati avvicinati al centro della sezione della galleria, con l’esito di una riduzione dell’intervia e dell’interasse tra i binari che rende necessarie «misure restrittive di circolazione e frequenti interventi di manutenzione che dovranno essere effettuati in assenza di traffico e che avranno, pertanto, gravi conseguenze sul normale esercizio della linea».
Dopo il termine dei lavori, il servizio di traffico notturno è rimasto sulla linea del Sempione mentre quello diurno è svolto da tre coppie di TGV. Costruita 150 anni fa non aveva certo le caratteristiche di un moderno tunnel di base. Il problema è che con le norme in vigore oggi andrebbe semplicemente chiusa. I lavori di ammodernamento durati undici anni, tra il 2003 e il 2011, non sono serviti a risolvere i limiti strutturali dell’opera. È stata adattata la sagoma della vecchia galleria per consentire il passaggio di alcuni tipi di carri merci di nuova generazione, è stato ammodernato l’impianto anticendio ma non è stato realizzato un moderno impianto di ventilazione.
I problemi della vecchia galleria tra Bardonecchia e Modane si ripropongono, in alcuni casi aggravati, anche per le gallerie che attraversano la destra orografica della val di Susa e che, complessivamente, sono lunghe 27 chilometri, più del doppio del traforo internazionale. La tratta Torino- Bardonecchia è rimasta a binario unico fino al 1984 tra le stazioni di Bussoleno e Salbertrand. Da poco più di trent’anni è stata raddoppiata affiancando al vecchio tracciato un nuovo percorso. In tutto ci sono sette gallerie di lunghezza compresa tra uno e cinque chilometri ma nessuna ha vie di fuga e solo una ha un impianto antincendio.
La nuova Torino-Lione avrà un collegamento tra le due canne ogni 333 metri, ben al di sotto degli standard previsti dalla legge italiana ed europea sulle vie di fuga. E avrà anche sistemi antincendio a norma. Dopo vent’anni di scontri ideologici si potrebbe scoprire che l’unico modo per tutelare la sicurezza dei viaggiatori e degli abitanti della valle è quello di abbandonare la linea storica e realizzare la nuova Torino-Lione.
Il viadotto Polcevera – Il ponte aveva una lunghezza di 1182 metri, era largo 18 metri, aveva un’altezza al piano stradale di 45 metri
e tre piloni in c.a. che raggiungevano i 90 metri di altezza; la luce massima era di 210 metri. Si trattava di un ponte a trave strallata, dove gli elementi verticali sono cavalletti costituiti da due V sovrapposte: una ha il compito di allargare la zona centrale ove appoggia la trave strallata, mentre l’altra, rovesciata, sostiene i tiranti superiori. Ogni tirante è composto da 352 trefoli, ai quali ne furono aggiunti altri 112 per la precompressione del calcestruzzo.
Il viadotto Polcevera mdell’autostrada A 10 attraversava l’omonimo torrente, a Genova, fra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano. Progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi, il ponte fu costruito fra il 1963 e il 1967 dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua. È, per tale motivo, anche detto ponte Morandi o ponte delle Condotte
Morandi fu non solo uno studioso ma anche, come molti altri costruttori della sua epoca, un estimatore del cemento armato, della sua forza, delle possibilità da questo offerte, con in più il pregio dell’economicità. In qualche modo i suoi brevetti mirano quasi al rapporto funzionalità-forma-funzione: ottenere ciò che di meglio questo materiale può dare attraverso lo studio non solo di nuove soluzioni tecniche ma anche di nuove strutture spaziali. In una delle opere più significative, che acquista un rilievo architettonico nell’ambito del razionalismo italiano, il Salone dell’automobile di Torino, si esprime tutta la logica del linguaggio di Morandi. Strutture, mensole, sbalzi, travi, telai in c.a. sono articolati in forme quasi astratte, che riaffermano una ricerca dell’uso dei materiali, ferro e cemento, in un linguaggio che ne ottimizzi le qualità statiche ed economiche da un lato, e che ne esalti le caratteristiche di espressione architettonica dall’altro. Saggio ha definito le sue strutture come dei “ragni“, un’elaborazione dello spazio che articola un ambiente costruito libero e funzionale alle esigenze dell’uomo [vedi: J.P. Janneret].
Le sue strutture in cemento armato sono state rimesse in causa poiché il naturale degrado del calcestruzzo non era mai stato messo in discussione da Morandi (ma ora si legge che scrisse alcune note sulla necessità di porre rimedio al depauperamento) una leggerezza che ha portato al collasso cinquant’anni dopo di alcune di esse impiegò per il viadotto sul Polcevera la stessa struttura a cavalletti bilanciati che aveva utilizzato pochi anni prima per la costruzione del Ponte General Rafael Urdaneta sul lago di Maracaibo, in Venezuela (poi parzialmente crollato nel 1964 per via dell’urto con una petroliera), e per la quale era divenuto famoso. Le forme delle pile a telaio intrecciato erano infatti viste nei primi anni sessanta come nuova e razionale forma strutturale destinata ad affermarsi. Durante la costruzione i costi aumentarono notevolmente rispetto a quanto preventivato. Il 1º marzo 1964 la Domenica del Corriere pubblicava un disegno del viadotto sul Polcevera, con il titolo “Genova risolve il problema del traffico”. Il viadotto Polcevera venne completato il 31 luglio 1967 e venne inaugurato il 4 settembre alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, esponente nazionale del Partito Socialdemocratico.
Il ponte fu soggetto a interventi di risanamento sin dagli anni settanta per via della fessurazione e del degrado del calcestruzzo e del creep dell’impalcato. Inoltre, per via di un’errata valutazione degli effetti di viscosità del calcestruzzo, che causò spostamenti differiti delle strutture dell’impalcato diversi da quelli previsti in fase progettuale, il piano viario del ponte si presentava con molteplici alti e bassi anziché orizzontale. Solo negli anni ottanta ripetute “correzioni di livelletta” portarono il piano viario a condizioni accettabili di semi-orizzontalità.
La soluzione di costruire gli stralli in c.a.p. e non nel tradizionale acciaio si rivelò problematica, in quanto la precompressione su elementi così esili aveva avuto effetti solo modesti. Verso il 1990, il pilone orientale del ponte fu rafforzato con nuovi cavi di sospensione in acciaio, affiancati agli stralli originari in cemento; non venne fatto altrettanto per gli altri due piloni. Il viadotto era ormai considerato obsoleto anche dal punto di vista della portata di traffico. Secondo lo studio della Società Autostrade il ponte portava 25,5 milioni di transiti l’anno, con un traffico quadruplicato negli ultimi 30 anni e “destinato a crescere, anche in assenza di intervento, di un ulteriore 30% nei prossimi 30 anni“. Lo studio sottolineava come il volume del traffico, con code quotidiane alle ore di punta all’estremità per l’innesto sull’autostrada Serravalle, producesse “un intenso degrado della struttura sottoposta ad ingenti sollecitazioni”, con la necessità di una continua manutenzione. Lo studio ipotizzava che, nella variante della “gronda bassa“, il viadotto di Polcevera venisse demolito e sostituito da una nuova struttura poco più a nord. Fra gli ultimi interventi, nel 2014 alcuni lavori “di routine” da parte della Società Autostrade, e nel 2016 alcune opere di messa in sicurezza per il rifacimento di tutte le strutture in calcestruzzo e la sostituzione delle barriere bordo-ponte in entrambe le direzioni di marcia. Nel 2016 si verificò un cedimento dei giunti, che rese necessari nuovi interventi di manutenzione straordinaria, e portò il senatore Maurizio Rossi – genovese ed editore televisivo – a presentare un’interrogazione parlamentare al ministro Graziano Delrio sulla messa in sicurezza del ponte.
I notevoli costi della continua manutenzione straordinaria del ponte, nel 2016 avevano portato l’ingegner Antonio Brencich (professore associato di Costruzioni in cemento armato all’Università di Genova) a sostenere che “tra non molti anni i costi di manutenzione supereranno i costi di ricostruzione del ponte: a quel punto sarà giunto il momento di demolire il ponte e ricostruirlo”. Il 3 maggio 2018 la Società Autostrade comunicava che era presente un appalto in scadenza l’11 giugno di 20.159.000 € per l’adeguamento strutturale del viadotto. “Un progetto geniale, ma fragile. Un capolavoro di ingegneria, finito su riviste e libri di testo, ma che non teneva conto di un elemento fondamentale: il degrado del materiale. Nel clima ottimista degli anni Sessanta, del boom economico, tutto sembrava possibile per la tecnologia e la creatività italiana. Così nacque il Ponte Morandi di Genova: bello, ardito, ma minato dentro, bisognoso di continua e costosa manutenzione“
Fino al crollo di oggi. “Cemento armato degrada e poi collassa” – “Il problema del ponte è che i tiranti, gli ‘stralli’, sono stati costruiti in calcestruzzo e non in metallo, e che negli anni Sessanta non si metteva in conto che il calcestruzzo si degrada e poi collassa – spiega l’architetto genovese Diego Zoppi, ex presidente dell’Ordine genovese, oggi membro del Consiglio nazionale degli architetti -. Cinquant’anni fa c’era una fiducia illimitata nel cemento armato. Si credeva fosse eterno. Invece si è capito che dura solo qualche decennio“.
“Nel ’67 si aveva tanta fiducia nel calcestruzzo“ – “Il ponte Morandi ha sempre avuto problemi di corrosione degli stralli e di eccessive deformazioni, a causa delle perdita di tensione dei cavi di acciaio dentro le strutture di cemento armato precompresso – racconta il professor Andrea Del Grosso, per anni ordinario di Tecnica delle costruzioni all’Università di Genova -. Ma all’epoca della costruzione le deformazioni del calcestruzzo non erano conosciute come oggi”.
Riccardo Morandi era un grandissimo ingegnere e progettista, geniale e innovativo. Il ponte per la A10 a Genova, scrive il Cnr, “realizzato tra il 1963 al 1967, è un esempio di razionalismo ‘assoluto’: l’intera, essenziale geometria ripercorre le linee di forza che sono capaci di garantire l’equilibrio dell’opera sotto l’azione del peso proprio e del traffico stradale”. Il problema per il Cnr è che “gli stralli in calcestruzzo armato precompresso hanno mostrato una durabilità relativamente ridotta”. Cosa che all’epoca non si sapeva ancora.
L’invenzione di Morandi – Nelle grandi realizzazioni del boom la partecipazione di Morandi è defilata. A Roma progetta il cavalcavia della via Olimpica. A Torino disegna la futuristica monorotaia sopraelevata. Per l’Autostrada del Sole firma alcuni ponti singolarmente sobri. Ma, parallelamente, l’ingegnere romano, alle prese con opere ben più impegnative, ha imboccato un percorso che lo condurrà presto a mettere a punto uno stile architettonico assolutamente unico. Fin dai primi lavori degli anni Trenta è emersa la sua spiccata propensione a ridisegnare le più convenzionali strutture in cemento armato – ad arco, a travata, a telaio – con una maggiore leggerezza ed essenzialità. Nelle sue opere, i setti e le lastre curve delle classiche strutture in cemento armato sono scomposti in fasci di elementi lineari. Dalla continuità di superfici prevalentemente iperstatiche si passa a lineari sistemi di aste, preferibilmente isostatici, scanditi da evidenti cerniere. Applicata al classico ponte ad arco questa strategia conduce agli alleggerimenti dei ponti sull’autostrada Genova-Savona, della passerella sul Lussia, del ponte sullo Storms River (Sudafrica), prima di arrivare all’impressionante esilità del ponte sulla Fiumarella a Catanzaro, con il suo arco di oltre 230 m di luce. Nel frattempo, in una sperimentazione iniziata negli anni della guerra, la strategia della leggerezza viene rafforzata dall’impiego sapiente e appassionato della precompressione. Autore di una serie di brevetti di dispositivi per la tensione dei cavi e di alcune prove sperimentali eseguite nell’ambito dell’impresa F.lli Giovannetti, dopo il pionieristico ponte sull’Elsa, Morandi fa leva sulla nuova tecnica per riproporre versioni ancora più sofisticate e ultraleggere delle tipologie strutturali di base: la travata isostatica Gerber, il telaio incernierato al piede, la trave bilanciata con tiranti sottesi.
È la strada che porta Morandi alla sua più spettacolare invenzione: la trave strallata su cavalletto bilanciato. La prima realizzazione nel grandioso ponte sulla laguna di Maracaibo (Venezuela), il più lungo del mondo con i suoi 9 chilometri, gli procura una fama internazionale paragonabile, tra gli italiani, solo a quella di Nervi. Alla consueta disarticolazione in elementi lineari del pilone e dell’impalcato GERBER si aggiunge il sistema antenna-stralli, che rende le membrature più esili e l’insieme più imponente e spettacolare.
L’originalità del cavalletto strallato non consiste nella scelta della tipologia strutturale, già ampiamente collaudata nel campo della costruzione metallica, ma nella sua esecuzione con la tecnica del cemento armato precompresso, che prevede la modellazione artigianale degli elementi. Dal contrasto fra la leggerezza di struttura tirantata e la natura sostanzialmente muraria nasce la forza figurativa e simbolica del cavalletto strallato. Ne è pienamente consapevole Morandi, che nelle successive realizzazioni italiane – il viadotto del Polcevera a Genova soprattutto, ma poi anche il viadotto nell’ansa del Tevere alla Magliana (Roma) e gli hangar all’aeroporto di Fiumicino – estende l’impiego del cemento in coazione alla struttura complessiva. Appaiono alla fine plasmati in cemento persino gli stralli, evidentemente sollecitati a trazione e dunque di solito ragionevolmente di acciaio. Concettualmente gli stralli sono dei tiranti tesi artificialmente con martinetti idraulici, che sorreggono le travate e contemporaneamente le comprimono assialmente. Il complesso statico risulta quindi simile ad una trave in C.A. precompresso, ma con i cavi di compressione bene in vista. Nel ponte del Polcevera i cavi di strallo sono rivestiti in cemento per ovvie ragioni.
Deficienze strutturali – Nei travi, oltre alle normali sollecitazioni dei flessione e taglio, sono presenti anche sollecitazioni di Torsione e di Pressoflessione, di distorsioni, di ritiro, di cedimenti vincolari, detti semplicemente fenomeni dinamici, e di quei carichi definiti mobili. Oltre all‘incremento dinamico di carichi mobili dovuti ad azioni dinamiche [ϕ,coefficiente dinamico, che per le “Prescrizioni tecniche per la progettazione di ponti stradali secondo la normativa in vigore in Italia dall’agosto del 1991 (D.M. 4 maggio 1990, G.U. 29 gennaio 1991 e circolare n° 34233 del 25 febbraio 1991), vale 1.4 – (L – 10) : 150], occorre prendere in considerazione le azioni: longitudinale di frenata, centrifuga, vento, sismica, resistenza passiva dei vincoli, svio autoveicolo, e azioni variabili se questi hanno contatto con corsi d’acqua.
Il Ponte di Tacoma è un ponte sospeso costruito sul Tacoma Narrows (Washington) per la prima volta nel 1940. I lavori iniziarono il 23 novembre 1938 e la struttura fu poi aperta al traffico il 1 luglio 1940, prima di crollare il 7 novembre dello stesso anno. Presentava una lunghezza complessiva di 1524 (max. campata 850 m) metri per circa 12 metri di larghezza. Verso le 10 del mattino del 7 novembre 1940 iniziò la torsione del tratto centrale del ponte, che collasserà un’ora e dieci minuti dopo. Le immagini del disastro furono riprese da un docente di ingegneria che stava studiando i movimenti della struttura. Le cause del crollo sono da ricercarsi nelle oscillazioni torsionali, che inizialmente vennero attribuite alla risonanza, anche se recentemente sembra più probabile un fenomeno di instabilità aeroelastica autoeccitata dovuta al flutter ; questo perché il vento che avrebbe dovuto produrre oscillazioni della medesima frequenza di quelle del ponte, mancava della periodicità necessaria per instaurare il fenomeno della risonanza. Il ponte venne poi ricostruito nel 1950 con migliori accorgimenti, ma con una struttura molto simile.
Dai giornali dell’epoca [1940] ….“nonostante l’installazione dei cavi ancorati a riva, le oscillazioni continuarono e si resero maggiormente visibili durante le giornate particolarmente ventose. Sfortunatamente intorno alle ore dieci della mattina del 7 novembre del 1940, a poco più di cinque mesi dalla sua inaugurazione, il ponte si mise a oscillare e torcersi paurosamente per via delle forti raffiche di vento, tanto da essere immediatamente evacuato e chiuso al traffico; circa due ore dopo, a seguito delle vistose torsioni della campata centrale che raggiunsero i 70° di inclinazione, si ruppero alcuni tiranti, la struttura raggiunse il punto di rottura e la campata centrale collassò, precipitando in acqua . A documentare l’accaduto vi furono Leonard Coatsworth, un giornalista che rimase sul posto, e Barney Elliott, un commerciante di un negozio di apparecchiature fotografiche che riprese l’episodio con una sua cinepresa; entrambi riuscirono a salvarsi“
Il Ponte di Tacoma – oscillazioni torsionaliil ponte di Tacoma
Da il CORRIERE DELLA SERA [di Cesare Giuzzi]
Secondo i tecnici del ministero dei Trasporti il crollo sarebbe stato causato dal cedimento di uno strallo o da quello di una soletta. «Il ponte si è prima piegato e poi è caduto. Non erano mai pervenuti segnali concreti di pericolo»
La rottura di uno strallo del ponte o il cedimento di una «mensola» dell’impalcato. Sono queste le due cause più probabili che avrebbero portato al crollo del cavalcavia Morandi di Genova. L’indiscrezione è emersa al termine del sopralluogo sul luogo del disastro della commissione ispettiva del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti presieduta dal provveditore ligure alle opere pubbliche Roberto Ferrazza. Lo stesso Ferrazza ha spiegato che anche in base allo stato in cui sono stati trovati i resti del ponte, da una prima e sommaria analisti dell’accaduto, e in attesa di esami strumentali e del parere dei due periti nominati dalla Procura di Genova, è possibile affermare che il crollo del ponte — «che prima si è piegato, poi è crollato» — sia stato generato con tutta probabilità «da due fattori» e in questo senso si sta concentrando l’attenzione della commissione del Mit.
L’ipotesi del cedimento di uno «strallo» – In primo luogo si pensa alla rottura di uno degli stralli del pilone numero 9 (quello crollato) che avrebbe provocato la caduta del piano stradale e il successivo crollo del pilone. Cosa avrebbe provocato però il cedimento dello strallo precompresso (enormi cavi d’acciaio rivestiti in calcestruzzo) è ancora da capire. L’ipotesi è quella di una serie di «concause» che avrebbero portato a un indebolimento del tirante fino alla rottura. Nello specifico, Ferrazza ha parlato di diversi fattori che avrebbero potuto concorrere: «Invecchiamento della struttura e dei materiali, inquinamento locale come umidità e salsedine, e un aumento negli anni del traffico leggero e pesante sul ponte».
L’ipoetsi della rottura di una «mensola» – L’altra ipotesi riguarda invece un cedimento strutturale delle «mensole» o «seggiole» sulle quali appoggia l’enorme piano stradale del Morandi. Si tratta di strutture simili appunto a mensole sulle quali sono posizionati gli impalcati stradali. In questo caso sarebbe stato il cedimento di uno dei tratti di strada ad innescare un effetto domino e a provocare la successiva rottura dello strallo e il crollo del pilone. «Attendiamo le analisi sui materiali e sui campioni di ferro e cemento che sono stati recuperati dai consulenti della Procura sul luogo del disastro – ha spiegato -. Al momento si tratta solo di ipotesi».
La «frustata» sulla strada – Ferrazza ha però spiegato che alcuni tratti di strada crollati sono stati trovati in posizione ruotata rispetto ad una semplice caduta verticale segno che il crollo ha innescato una «rotazione» delle masse del ponte. Quest’ultima sarebbe la conseguenza proprio della rottura degli stralli precompressi che tengono in equilibrio la struttura e che, in pratica, hanno innescato un effetto elastico (tipo frusta) sulla struttura del ponte e provocato la rotazione, l’inclinazione e in alcuni casi anche il ribaltamento delle porzioni di piano stradale durante la caduta. I soccorritori hanno infatti trovato una parte della strada «sottosopra» tra le macerie, con l’asfalto quindi rivolto al terreno segno che i piani stradale hanno avuto una rotazione di quasi 180 gradi durante la caduta. Segno quasi inequivocabile di un effetto di forze generato dalla rottura di uno o più stralli in contemporanea. Ora la commissione sta procedendo all’analisi con speciali droni con telecamere in grado di osservare l’area sottostante al ponte rimasto ancora in piedi e a un sopralluogo congiunto con Autostrade nelle aree del cavalcavia rimaste integre, quelle rivolte verso Ponente, per le verifiche di sicurezza e stabilità della struttura.
«Mai pervenuti segnali concreti di pericolo» – Il presidente della commissione del ministero dei Trasporti ha chiarito che «non erano mai pervenuti segnali concreti di pericolo» relativi al ponte. In particolare Ferrazza si è riferito alla relazione del Politecnico di Milano che indicava la presenza di anomalie agli stralli del pilone 9: «Ho visto parte della relazione perché è contenuta nel progetto di sistemazione predisposto da Autostrade e inviato al ministero ad inizio anno e le cui opere sono state messe a gara a fine aprile. Ora ho chiesto l’acquisizione dell’intera relazione». Tuttavia Ferrazza ha chiarito che non si trattava di allarmi specifici ma la relazione del Politecnico era un «messaggio», che «è stato colto visto che erano in programma dei lavori». Se però Autostrade abbia fatto o meno altri studi su quei piloni dopo la segnalazione del Politecnico non è ancora chiaro. Ieri i vertici della società avevano spiegato che si trattava di problematiche poi risolte.Scuola internazionale dell’ingegneria italiana – All’inizio degli anni Sessanta la fama internazionale dell’ingegneria italiana dilaga in tutto il mondo. Le cupole di Nervi, che fanno da sfondo alla premiazione con la medaglia d’oro di Cassius Clay, ammirate da Grace Kelly durante una celebre visita in Italia, diffondono i simboli del miracolo italiano. Nel cavalletto strallato di Morandi si riconosce uno dei segni più monumentali del made in Italy. Alla mostra Twentieth century engineering al Museum of modern art di New York, nel 1964, in un succinto panorama mondiale, è incluso un numero elevatissimo di opere italiane. Ma quali sono gli elementi fondamentali su cui si basa l’identità così spiccata che è venuta assumendo nel corso di queste vicende l’ingegneria strutturale italiana? L’artefice della Scuola di ingegneria italiana è una figura polivalente di scienziato, costruttore, designer. Figura che, se da una parte resta saldamente radicata nell’alveo del positivismo di stampo ottocentesco, dall’altra, assume una connotazione spiccatamente umanistica. Il singolare positivismo umanistico, che distingue l’ingegneria italiana dalle altre, per es. quella anglosassone, è conseguenza del suo profondo legame con la storia culturale del Paese, dalla quale assorbe i principali caratteri. Il neoidealismo, prima di tutto. Sappiamo bene come non ci sia altro caso al mondo in cui un filosofo abbia influenzato tanto la cultura di un Paese, come Benedetto Croce nei confronti dell’Italia. La sua estetica, in particolare, è penetrata in tutti i settori della cultura, suscitando entusiasmi, alimentando vere e proprie fedi, innescando il più sofisticato dibattito, arrivando a forgiare il buon senso comune (anche di quella professionalità illuminata che si viene riscoprendo come una delle anime più originali del modernismo italiano). Particolarmente sensibile a questa influenza è l’ingegnere. Che anziché opporsi alla subordinazione della scienza rispetto alla cultura umanistica, ne diventa paradossalmente il più convinto assertore.
Poi, il cattolicismo. Anche nel dibattito che porta verso il concordismo tra scienza e fede religiosa, centrale nella cultura italiana, l’ingegnere è parte molto attiva. La tesi della reciproca compatibilità, basata, non sull’indipendenza della scienza (per quel che riguarda la conoscenza), ma sulla sua presunta natura metafisica e spiritualistica, trova nell’ingegnere il più entusiasta sostenitore. Soprattutto tra gli scienziati. Colonnetti parla di ingegnere aiutante di Dio e allude a una sostanziale equivalenza tra giustizia distributiva delle tensioni e giustizia divina. Danusso prospetta «l’ordine fisico (come) specchio analogico dell’ordine morale» (secondo il titolo di un suo saggio del 1965) e non perde occasione per tracciare suggestive analogie tra la meccanica e la vita.
Il futurismo, anche. L’affinità tra l’ingegneria e la più importante avanguardia italiana nasce da un’attrazione reciproca. L’iconografia futurista usa tutti i caratteri dell’ingegneria strutturale: positivismo, scientismo, tecnologismo, artigianalità. La macchina più adatta a evocare velocità, leggerezza, dinamismo è la struttura moderna. Nel dramma di Tommaso Marinetti Poupées électriques (1909) l’ingegnere è metafora non del buon senso comune, ma della genialità futurista. E, d’altra parte, non è nella tensistruttura progettata dall’ingegnere Guido Fiorini (1891-1965) che troviamo la trascrizione più fedele delle visioni di Antonio Sant’Elia (1888-1916) Reciprocamente, infatti, l’ingegneria italiana assorbe dal futurismo il carattere figurativo, il lirismo, il gusto visionario.
Dal complesso di questi caratteri deriva la speciale italianità dell’opera strutturale. Che accomuna l’ingegneria di questi anni con il design, non a caso protagonista di un successo internazionale altrettanto eclatante. D’altra parte, il tavolo e il ponte condividono, oltre alla centralità dell’aspetto strutturale nella morfologia, una delle radici più profonde dell’Italian style: la conservazione della natura artigianale nell’oggetto tecnologicamente avanzato.
Bibiografia – Schema Statico: Ponti Strallati Criteri di … – Ordine Ingegneri Mantova www.ordineingegnerimantova.it/wp-content/…/05/atti-Cenni-storici-PARTE-II.pdf Schema ad appoggio elastico: gli stralli rappresentano appoggi intermedi deformabili. • Meccanismo resistente a …. Il ponte di Mosè, Bergen op Zoom. – Paesi Bassi . … rovescio. Schema Statico: Ponti ad Arco-Trave – (tipo Maillart). Criteri di…
Capitolo 1 Analisi Preliminare www.webalice.it/orrione/File%20pdf/Work/…/Modellazione%20Ponti%20strallati.pdf La definizione della geometria di un ponte strallato è il primo passo di un lungo iter …. G. Quaranta – E. Bianchi – Reazioni vincolari e C.A.P. [ed. Paravia] 1994. Wikipedia – Il Ponte di Tacoma.
IngForum • Normativa carichi anni ’60 – Ingegneri … www.ingegneri.info › Indice › IngForum ›Strutture
Escursus legislativo – La legge n. 1086 del 5 novembre 1971 che disciplina le opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica, nonché, successivamente la legge n. 64 del 2 febbraio 1974 che si occupa delle costruzioni ricadenti in zona sismica rappresentano le prime regolamentazioni imposte a livello nazionale. Seguono una serie di decreti, tra i quali i più importanti sono: il decreto ministeriale del 20 novembre 1987 che disciplina la progettazione, l’esecuzione e il collaudo degli edifici in muratura e il loro consolidamento e il decreto ministeriale del 16 gennaio 1996 che indica i criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi. Oltre a questi vanno ricordati anche il decreto ministeriale del 11 marzo 1988 riguardante aspetti geologici e geotecnici, il decreto ministeriale del 4 maggio 1990 che disciplina la progettazione, l’esecuzione e il collaudo dei ponti stradali, il decreto ministeriale del 3 dicembre 1987 riguardante le costruzioni prefabbricate, per poi giungere al decreto ministeriale del 9 gennaio 1996 che rappresenta l’ultima versione della norma tecnica riguardante il calcolo, l’esecuzione e il collaudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche. Tale corpus normativo risulta a oggi senza dubbio ben conosciuto e ampiamente sperimentato da professionisti e tecnici. È frutto infatti di aggiornamenti periodici direttamente collegati al progredire delle conoscenze in materia e, oltretutto, costituisce un modello realizzabile in cantiere, aspetto, questo, di non poco conto.
Alesben B.