Non scriviamo per vana gloria, ad una certa età non si sente la mancanza. Sono anni – le cronache del Secolo XIX prima, poi di trucioli savonesi, infine trucioli – che andiamo ripetendo una noiosa litania. Le logge, in un’Italia sempre più allo sbando nei valori, nel potere e strapotere terreno, sono l’unica affiliazione laica che alle parole preferisce i fatti. La fratellanza massonica accomuna anche concittadini che come diceva l’amato Pertini, quando incontri un socialista vecchio stampo di ‘togli il cappello’. La degenerazione non poteva fare eccezioni, neppure tra massoni, e soprattutto visto il proliferare, si è fatta strada la necessità di dare vita a ‘super logge’ (in gergo coperte), che non risultano alle prefetture, sfuggono pare ai servizi di intelligence (un po’ meno, ad ascoltare talune fonti, a servizi segreti stranieri, vedi Israele, Russia di Putin, Francia, forse ha ripreso quota la Cia). Eppure c’è voluta la ‘scoperta di Genova’ per portare alla ribalta il vecchio e inquietante, scomodo, tema.Sarebbe ora un errore dare fiato allo scandalismo, alla caccia al massone ‘deviato’. Invece sarebbe interessante andare a fondo per scoprire davvero quante sono le ‘logge coperte’. Se sia o meno fantasia di un vecchio cronista di provincia che nel 1981 si era imbattuto in un’inchiesta giudiziaria, nata per caso, seguita da un allora giovanissimo magistrato, Filippo Maffeo, di Loano, ex consigliere comunale Dc, in un palazzo di giustizia (allora a Santa Chiara), dove almeno tre ‘magistrati anziani’ erano in logge riservate e dunque il lavoro investigativo non era dei più semplici. E che nel corso degli anni, dall’esperienza e soprattutto dalle fonti (le più affidabili ed accreditate erano appunto in terra massonica), avevamo avuto ‘sentore’ che nel ponente ligure operasse una ‘élite’ massonica esclusiva, riservatissima. Non più di cinque – sei persone che, per prudenza, sceglievano ‘incontri e riunioni’ fuori dai confini liguri. Per un periodo nel ‘Basso Piemonte’, poi abbiamo perso il presunto filo conduttore.
Non meno importante, comunque, la ‘rete’ di protezione e reciproca ‘assistenza’ di chi frequenta abitualmente le logge delle tre maggiori obbedienze (oltre 150 affiliati in tutta la provincia, in sonno inclusi), si aggiunga che nel lavoro della commissione d’inchiesta presieduta dall’on. Bindi, tra gli atti ‘secretati’, di cui noi ignoriamo il vero contenuto, emergerebbero interessi e rapporti di logge finite nel mirino dell’antimafia con ‘realtà’ savonesi ed imperiesi, in particolare parrebbe nel ‘pianeta immobiliare’, investimenti e ristrutturazioni e appalti che arrivano dal Sud.
Non dobbiamo descrivere quale sia e con quali conseguenze, ad esempio, la presenza massonica negli ospedali, nelle Asl, nelle professioni, nell’imprenditoria, il ruolo dei ‘venerabili’ e ‘fratelli’. I primi testimoni sono gli stessi medici e gli stessi primari che non hanno aderito alla libera muratoria. Sono testimoni coloro che sono stati discretamente contattati ed hanno trovato una scusa per dire ‘no grazie‘. Sono testimoni della ‘riservatezza’ quei mariti che in molti casi non rivelano alla moglie (in certe obbedienze ci sono anche donne), la loro affiliazione e trovano una scusa per le serate (solitamente) in cui è un dovere presenziare ai ‘riti’ e alle ‘orazioni’ in loggia. E dagli ospedali possiamo passare ad enti statali di una certa importanza, ai Comuni, alla provincia, alle banche, a gangli dello Stato.
Per dare un’idea possiamo, a distanza di decenni, raccontare quale può essere la forza della massoneria che conta, ovviamente c’è anche quella che un tempo si chiamava ‘formaggiara’ (un paio, forse tre, sono attive tra Savona e Imperia). Accadde che con le prime fasi dell’inchiesta che poi provocherà il ‘ciclone Teardo’ (il primo caso in Italia in cui si contestava a pubblici ufficiali l’associazione a delinquere e l’associazione mafiosa, accusa poi caduta per un vuoto legislativo); ebbene subimmo un processo per diffamazione a mezzo stampa, richiesta di risarcimento di alcuni miliardi e inizialmente, causa un errore obiettivo nell’attribuire una perquisizione domiciliare al presidente della Regione Liguria, finimmo in quarantena pure al giornale. Lavoro da redattore di giudiziaria, ma senza più firma. Una precauzione ? Probabile. Sta di fatto che durante il processo, di cui abbiamo già dato conto, sul banco degli imputati col il direttore responsabile, udienza dopo udienza, sotto i riflettori di Tv e qualche giornale allineato ai teardiani, trattandosi di una direttissima, ricevemmo la visita di un collega anziano, molto quotato e preparato.
Il discorso cadde sul processo e sul rischio di condanna, di risarcimento. Si aggiunga che il vice direttore dell’epoca, Giulio Anselmi, firmò una raccomandata in cui a scopo precauzionale mi riteneva responsabile del danno di immagine al giornale, anche perché prima di pubblicare lo scoop in prima pagina, alle 23 di sera, volle sincerarsi al telefono che la fonte delle notizie pubblicate fosse ‘a prova di bomba’. Sta di fatto che quel collega ‘visitatore’, dopo un lungo ragionamento, consigliò che ‘per il mio bene, il mio futuro’, sarebbe stato utile rivelare la fonte della notizia. Cosa era infatti accaduto ? Il giudice istruttore (compianto) Antonio Petrella ( 6 aprile 1946 – 22 marzo 1992 ) che inizialmente aveva deciso sei avvisi di reato e sei perquisizioni domiciliari ed uffici, contestuali, dopo un colloquio, in tarda mattinata, con il presidente del tribunale, Guido Gatti (defunto), dovette ‘correggere’ il tiro. In pratica al presidente della Regione in carica (a due e più anni dagli arresti che arriveranno nel giugno 2013 ed io scelsi le ferie) andava bene la ‘comunicazione giudiziaria’, ma allo stato degli atti, no alla perquisizione domiciliare – ad Albisola Capo dove Alberto Teardo abita tuttora con grande discrezione- e tanto meno nel suo ufficio presidenziale di Genova. Non dimentichiamo che erano gli anni del massimo potere di Bettino Craxi. Il ‘fraterno’ consiglio del collega, allora cinquantenne, firma di punta, era dunque si svelare ai giudici che mi processavano, in pubblica udienza, la fonte del mio errore, mi sarei salvato da una possibile condanna e dal rischio di cambiare mestiere. Manco a dirlo decisi l’esatto contrario.
Ci lasciammo senza che, neppure a lui, rivelassi quella che oggi si chiamerebbe ‘talpa’ utile alla comunità. Una cosa però era certa con la confessione: sarebbe crollato il vertice investigativo a palazzo di giustizia. Perchè questo racconto a posteriori e che forse non interesserà più a nessuno, men che meno le giovani generazioni ? Tra le carte processuali dello scandalo Teardo trovai, in quel della Riviera di Levante pur abitando a Genova, il nome dell’illustre collega. Un massone forse con una carica importante nella scala di comando. E quell’iniziativa – consiglio, difficile immaginare fosse personale, avesse a cuore, pur vivendo a chilometri di distanza, la mia sorte professionale, i danni da pagare, essere ridotto in miseria. C’era uno zampino ‘massonico’: Teardo ed altri finiti sotto inchiesta, a Savona, risultavano iscritti alla P 2, con un ex questore, poi ucciso in una stanza di albergo di famiglia ad Andora, che pare facesse il doppio gioco, sostenendo con gli uni che era un infiltrato (e col cronista), con gli altri che era un amico fidato.
Non vogliamo commentare quanto i bravi colleghi del Secolo XIX (meglio se con memoria storica) hanno scritto e scriveranno sulla ‘regia’ e sorte della presunta logia coperta di Genova. Leggiamo con interesse perché c’è sempre da imparare e scoprire nuovi capitoli della ‘massoneria story’ ligure, oltre a quanto in tutti questi anni abbiamo cercato, forse senza riuscirci, di spiegare, di informare il lettore anche sbagliando.
L.C.
ARTICOLI DEL SECOLO XIX DEL 24 E 25 APRILE 2018:
E C’E’ ANCHE IL MEDICO CHIRURGO DI VENTIMIGLIA E CONSIGLIERE COMUNALE