Alla corte del Portogallo si parlava castigliano. Tu dissi di no. Ma tu stesso quel pomeriggio all’Hotel NH della Darsena di Savona mi parlavi della zia di Isabella I di Castiglia che era stata regina del Portogallo. Lei ed i suoi figli certamente a corte parlavano castigliano.
Se mi permetti ti invio ora altre mie riflessioni:
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Se nell’anno 2500 alcuni paleografi avessero tra le mani i fogli della tua conferenza del 2 marzo potrebbero concludere che tu eri un fiorentino.
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Cristoforo Colombo (vedi il mio libro “Naviìgare rende curiosi” a pag. 505 e seguenti.) era solito fare una brutta copia come la Bozza della lettera ai sovrani, inclusa nel Libro delle Profezie, piena di cancellature e correzioni. Poi si faceva correggere la bozza
(la brutta copia).
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se in latino (nel periodo portoghese da qualche conoscitore di latino in Portogallo); in Castiglia dal certosino italiano (di Novara) Gaspare Gorricio.
Questi abitava la Certosa di Siviglia e qui conservava tutti i manoscritti e le copie che Cristoforo gli aveva ordinato di custodire nell’archivio di famiglia.
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Se la brutta copia era in castigliano i segretari dell’ammiraglio correggevano queste bozze. Ed infine Cristoforo ricopiava in bella copia il testo corretto.
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Tutti i suoi scritti autografi – compresi anche i pagherò – iniziano con una croce (+), e nella lettera che scrive alla regina Isabella I di Castiglia figura l’intestazione J H S (Iesus hominum salvator ossia Gesù salvatore degli uomini). Talvolta Cristoforo inseriva la croce di Lorena ‡ che era quella di Roberto d’Angiò, duca di Lorena, che significa “obbedienza al Papa”.
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Se aggiunse il BET-HAI (come tu dici) non è detto che Cristoforo fosse di origine ebraica. Anch’io quando studiavo l’ebraico sul mio quaderno annotavo (in alto al capoverso) alcune consonanti ebraiche, ma ciò non fece di me un ebreo. Per favore non scrivere Baruch Hashem (benedetto sia) perché è senza un complemento: è una frase incompiuta e senza senso.
Devi aggiungere Adonai (il Signore): Baruch Hashem Adonai. Altrimenti fai una brutta figura: quella di non conoscere la lingua ebraica, e ti possono ridere dietro. Baruch (ברוך) in ebraico significa Benedetto e significa che Dio è fonte di benedizioni.
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Cristoforo si servì di vari caratteri di scrittura: il librario e il semicorsivo per le annotazioni a margine dei suoi libri: le famose postille. Usava il corsivo nella maggior parte delle lettere e delle brutte copie perché era la grafia corrente del suo tempo, quella da lui preferita o copiata da qualche suo segretario.
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Nelle Historie della vita e dei fatti dell’Ammiraglio Don Cristoforo Colombo, [traduzione in italiano di Alfonso de Ulloa fatta a Venezia nel 1571], tomo I, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990, pag. 274 si legge: “Don Diego, fratello secondo
dell’Ammiraglio“. Ritengo che Giacomo, detto Diego in Castiglia, sia il secondo e Bartolomeo il terzo fratello di Cristoforo. -
Sempre nelle Historie attribuite a don Fernando Colon (secondo figlio di Cristoforo), op. cit., pag. 63 leggiamo: “Pro authore, sive pictore. Ianua, cui patriae est nomen, cui Bartholomaeus Columbus de Terra rubra: opus edidit istud Londiniis anno domini 1480 atque insuper anno Octavo [1488]: decimaque die cum tertia mensis Februarii / Laudes Christo cantentur abunde“.
Bartolomeo non si firmò Colom, ma “Columbus cui patriae est Ianua“.
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Nel testamento di don Fernando Colon di sabato doze del mes de jullio 1539 si legge che “en qualquier lugar destos sepa sy ay ginoves merceder e aviendolo le diga como es sumista de la libreria fernandina que ynstituyo don fernando colon hijo de don christoual colon ginoves primero almirante que descubrio las india e que por razon de ser de la patria del fundador“.
Don Fernando non si fece mai chiamare Colom, ma Colón. e aggiunse che: “Verdaderamente fue Colombo… y en version latina Christoforus Colonus“.
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Negli anni 1487-1488 i re di Spagna concedettero un rimborso spese a Cristoforo Colombo e, come scrive la Guadalupe Chocano Higueras, La cuna y orígenes de Christóbal Colón, Madrid, Palafox-Pezuela, 2004, pag. 27: “en el registro de cuentas del tesorero sevillano Francisco González; concretamente en la primera entrega de 5 de mayo dice: este dicho día dí a Cristóval de Colomo extrangero tres mil maravedis que está aquí… Otro manuscrito de la época da cuenta de otra ayuda real concedida al portugués, supuestamente el futuro almirante así identificado en consideraciőn al acento extranjero que sería fácilmente apreciable en esos primeros tiempo de estancia en tierra españolas“. E nella nota n° 13 aggiunge: “es el portugués que estava en el real… El aludido portugués lo identifica Rumeu con Colón “.
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Ciò che ho sottolineato, nella mia presentazione del venerdì 2 scorso, è stato il cittadino milanese Pietro Martire d’Anghiera. Questo milanese aveva conosciuto personalmente Cristoforo e da lui riceveva delle lettere dalle Indie. Nel suo Opus epistolarum scrisse nelle lettere n° 134 e 135 che Cristoforo Colombo era Ligure (quidam Colonus, vir Ligur), ma mai lo qualificò come Genovese. Pietro Martire d’Anghiera viveva alla corte dei re di Spagna insieme a Catalani ed incontrava regolarmente vari ambasciatori compresi quelli del Comune di Genova.. Ma da buon milanese sapeva distinguere un Ligure da un Genovese, ed un Ligure da un Catalano. Preferisco la sua testimonianza perché era quella di un italiano che aveva incontrato personalmente l’ammiraglio ed aveva riconosciuto in lui, nelle sue fattezze fisiche e nel suo accento, un Ligure. Ė per me più rilevante dello studio dei paleografi catalani sulla scrittura di Cristoforo Colombo con la grafia gotica corsiva catalana.
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Quando ti chiesi: “Se Colombo fosse stato un Colom di Valéncia perché non lo comunicò al papa Alessandro VI Borgia originario di Valéncia”. Tu non risposi alla mia domanda, ma feci una disquisizione sull’Inquisizione spagnola e catalana. Se Cristoforo era figlio di una conversa di Valencia poteva comunicarlo al papa valenciano. Luis de Santangel converso residente a Valencia era stato scelto come amministratore del re Ferdinando II d’Aragona.
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Ė vero che le Capitolazioni di Santa Fé sono quelle dell’Archivio aragonese.
Vedi nel mio libro “Naviìgare rende curiosi” a pag. 338: “Quando il 15 settembre 1505 i funzionari della Casa de la Contratación di Siviglia chiedono al re Ferdinando una copia del trattato di Tordesillas il re Ferdinando constata che alla Corte di Castiglia non ne esiste nemmeno una copia“.
Ciò significa che nell’Archivio reale di Castiglia non c’era una copia del trattato di Tordesillas e nemmeno una copia delle Capitolazioni del 17 e 30 aprile 1492. L’ammiraglio dovette richiederne una copia all’Archivio reale d’Aragona. Non puoi concludere che Colombo dipendeva dal re d’Aragone, ma semplicemente che gli archivi castigliani erano mal organizzati, e quelli del regno di Aragona erano ben gestiti ed efficienti.
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Vedi infine nel mio libro “Naviìgare rende curiosi” a pag. 46: “Nel Libro de las Profecías Cristoforo Colombo scrive: <L’abate calabrese Gioacchino disse che doveva venire dalla Spagna colui il quale doveva riedificare la Casa sul monte di Sion>“. Colombo riferisce una affermazione dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore che riteneva la fine del mondo prossima, ma prima si doveva riedificare la Casa sul monte di Sion. Non è una frase di Cristoforo Colombo.
Ma questi aderì a tale eresia calabrese, e l’ammiraglio riteneva che l’oro delle Indie potesse armare una crociata dei re di Spagna, (dopo la cacciata dei mori da Granada), e potesse liberare Gerusalemme dai musulmani e permettere così la fine del mondo secondo l’eresia di Gioacchino da Fiore.
L’ammiraglio era arrivato incatenato a Cadice in Spagna il venerdì 20 novembre 1500. La regina Isabella I di Castiglia-Leőn aveva stabilito perentoriamente l’esclusione degli stranieri dal governo delle Indie ed i fratelli Colombo furono esclusi dal governo delle Indie. Erano appena passati 8 anni dalla scoperta delle Indie e l’ammiraglio venne escluso dai suoi privilegi di Santa Fé che erano stati decisi come eterni. Il mondo di Colombo gli crollò in testa e cadde in una crisi depressiva che si manifestò nella Bozza della lettera ai sovrani, inclusa nel Libro delle Profezie, piena di cancellature e correzioni. Ormai Colombo vedeva vicina la fine del mondo e aderì all’eresia dell’abate Gioacchino da Fiore ed al desiderio del calabrese di “riedificare la Casa sul monte di Sion“. Ma non possiamo affermare che questo calabrese fosse ebreo.
12) Se Colombo avesse avuto come madre una conversa-marrana (una ebrea convertita al cristianesimo) non avrebbe potuto scrivere, nel maggio 1499, ai re di Spagna che i loro peggiori nemici erano i conversi, “porque conversos enemigos son de la prosperidad de Vuestras Altezas y de los christianos“.
A te devo dire ciò che penso. Ricevi queste mie riflessioni. Franco Icardi.
L’esposizione dell’ing. Francesc Albardaner i Llorens di venerdì 2 marzo 2018 nella sede della Società Savonese di Storia Patria mi ha permesso di vedere i documenti a sostegno della sua ipotesi di un Cristoforo Colombo catalano di Valencia (nel sud est della Spagna).
- Ė stata la sua un’esposizione in ottimo italiano leggendo un testo corretto da un cugino di Firenze.
- Ma mi sono reso conto subito che la sua documentazione storica non teneva. Era basata sulla sua speranza di trovare a Savona dei tessitori di seta nel Quattrocento. La sua ricerca sulla famiglia Gavotti di Savona che avrebbe portato nel primo Quattrocento (nell’anno 1445 o poco prima) dei tessitori di seta savonesi a Valencia veniva contraddetta dall’affermazione chiara del dr. Angelo Nicolini: “Non credo esista uno studio sui tessitori di seta savonesi del primo Quattrocento, per il semplice motivo che (come almeno pare a me) non ce n’erano”.
La tesi valenziana si basa su due documenti riguardanti i fratelli Bartolomeo e Diego Colom (Colombo in catalano è detto Colom) che erano due tessitori di seta a Valencia. Il primo documento risale al 1479 e riguarda “Bartholomeus Colom genoensis”. Il secondo riporta l’inquisizione di Francisco de Bobadilla del 1500 che asserisce che i fratelli Colombo avevano esercitato in gioventù il mestiere di tessitori di seta. Inoltre Cristoforo ed i fratelli Bartolomeo e Diego Colom sarebbero nati a Valencia come figli di un tessitore di seta di Savona emigrato e di una donna conversa-marrana (ebrea convertita al cristianesimo) valenciana.
Feci notare all’ing. Francesc Albardaner che Cristoforo secondo i documenti delle udienze reali spagnole era certificato come “natural de Saona (nato a Savona” e che Bartolomeo Colombo nel 1479 non era un tessitore di seta a Valencia, ma si trovava in Portogallo perché in un autografo di Cristoforo, scritto in latino dopo il febbraio 1477, i due fratelli fecero insieme un viaggio dal Portogallo a Galway in Irlanda dove videro (vidimus) molte cose sorprendenti.
- Feci inoltre notare che Cristoforo Colombo si servì di vari caratteri di scrittura: il librario e il semicorsivo per le annotazioni a margine dei suoi libri: le famose postille in latino ed in italiano. Usava il corsivo nella maggior parte delle lettere e delle brutte copie perché era la grafia corrente del suo tempo, quella da lui preferita o copiata da qualche suo segretario.
Per me lo studio dei paleografi catalani sulla scrittura di Cristoforo Colombo, qualificata come grafia gotica corsiva catalana, non era sufficiente per dimostrare che l’ammiraglio Colombo fosse di madre lingua catalana.
- Infatti nella mia presentazione del venerdì 2 scorso ho mostrato il cittadino milanese Pietro Martire d’Anghiera che aveva conosciuto personalmente Cristoforo e da lui aveva ricevuto delle lettere dalle Indie. Il milanese, nel suo Opus epistolarum e precisamente nelle lettere n° 134 e 135, scrisse che Cristoforo Colombo era Ligure (quidam Colonus, vir Ligur), ma mai lo qualificò come Genovese. Pietro Martire d’Anghiera visse alla corte dei re di Spagna insieme a Catalani ed a vari ambasciatori compresi quelli del Comune di Genova. Ma da buon milanese sapeva distinguere un Ligure da un Genovese, ed un Ligure da un Catalano. Preferisco la sua testimonianza perché è quella di un italiano che incontrò personalmente l’ammiraglio e riconobbe in lui, nelle sue fattezze fisiche e nel suo accento, un Ligure. Ciò per me è più rilevante dello studio dei paleografi catalani sulla scrittura di Cristoforo Colombo.
- Chiesi all’ing. Francesc Albardaner perché Cristoforo Colombo, quando era un giovane comandante corsaro al soldo del francese Renato d’Angiò, cercasse di assaltare una galeazza aragonese, la Fernandina, che navigava da Napoli a Barcellona e Valencia, la città della presunta madre conversa.
Metà della Fernandina era proprietà di mercanti fiorentini e l’altra metà della città di Valencia dove viveva la presunta madre di Cristoforo.
Perché Cristoforo cercava di assaltare una nave della sua città?
- Quando chiesi: “Se Colombo fosse stato un Colom di Valéncia perché non lo comunicò al papa Alessandro VI Borgia originario di Valéncia”?
L’ing. Francesc Albardaner non rispose alla mia domanda, ma fece una disquisizione sull’Inquisizione spagnola e catalana. Se Cristoforo era figlio di una conversa di Valencia poteva comunicarlo al papa valenciano. Luis de Santangel era converso residente a Valencia e ciò non gli impedì di fare l’amministratore economico delle finanze del re Ferdinando II d’Aragona.
Conoscendo l’ammiraglio Colombo che, alla fine del suo primo viaggio oltre Atlantico, comunicò a tutta l’Europa la sua scoperta e ci teneva che anche il papa Alessandro VI Borgia originario di Valéncia ne fosse al corrente. Perché non gli rivelò la sua origine valenziana? Avrebbe certamente usufruito del sostegno papale che gli sarebbe stato molto utile in terra di Spagna.
- Certo le copie originali della Capitolazioni di Santa Fé, che conferivano a Cristoforo Colombo i privilegi di Ammiraglio del Mare Oceano, di vicerè e governatore delle terre che aveva scoperto, tali Capitolazioni erano conservate nell’Archivio aragonese, ma erano state compilate per gli Archivi di Castiglia.
- Infine se nel Libro de las Profecías Cristoforo Colombo scrisse: <L’abate calabrese Gioacchino disse che doveva venire dalla Spagna colui il quale doveva riedificare la Casa sul monte di Sion>”. Significa che Colombo riferì una affermazione dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore. Questi riteneva che la fine del mondo fosse prossima, ma che prima si doveva riedificare la Casa sul monte di Sion. Quest’ultima non è una frase di Cristoforo Colombo. L’ammiraglio aderì a tale eresia calabrese, e ritenne che l’oro delle Indie potesse armare una crociata dei re di Spagna, (dopo la cacciata dei mori da Granada), e potesse liberare Gerusalemme dai musulmani e permettere così la fine del mondo secondo l’eresia di Gioacchino da Fiore. Quando l’ammiraglio riportò la frase del calabrese era dopo il suo arrivo in catene a Cadice in Spagna il venerdì 20 novembre 1500. La regina Isabella I di Castiglia-Leőn aveva stabilito perentoriamente l’esclusione degli stranieri dal governo delle Indie ed i fratelli Colombo vennero esclusi dal governo delle Indie.
Erano appena passati 8 anni dalla scoperta delle Indie e l’ammiraglio venne escluso dai suoi privilegi di Santa Fé che erano stati decisi come eterni. Il mondo di Colombo gli crollò in testa e cadde in una crisi depressiva che si manifestò nella Bozza della lettera ai sovrani, inclusa nel Libro delle Profezie, piena di cancellature e correzioni. Ormai Colombo vedeva vicina la fine del mondo e aderì all’eresia dell’abate Gioacchino da Fiore e condivise il desiderio del calabrese di “riedificare la Casa sul monte di Sion”. Ma per tale affermazione non possiamo affermare che questo calabrese fosse ebreo, tanto meno Cristoforo Colombo.
Franco Icardi direttore della Biblioteca comunale di Cengio