Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Cairo M., una scuola pilota regionale
Dove è morto Policarpo Seghino?
E i cairesi accompagnatori di Garibaldi


Ma allora questo Policarapo Seghino è morto o no a S. Antonio del Salto? Domanda apparentemente astrusa, che necessita di una spiegazione e di un contesto. Policarpo Seghino è uno dei quattordici nomi che compaiono su una lapide a Porta Soprana a Cairo Montenotte (anche la lapide, per inciso, ha una storia da raccontare, ma ne parleremo un’altra volta).  I nomi sono quelli dei cairesi che hanno accompagnato il giovane Giuseppe Garibaldi in Sudamerica – accompagnato per modo di dire, visto che molti dei quattordici, in realtà, erano già da quelle parti prima che Garibaldi arrivasse – e che a metà secolo hanno combattuto nella legione italiana per l’indipendenza dell’Uruguay. Comunque, i quattordici partecipano alla famosa battaglia di S. Antonio del Salto l’8 febbraio 1846, si coprono effettivamente di gloria e due di loro ci lasciano anche la pelle. Uno di questi è Policarpo Seghino.

Ma, a una visione più attenta, i conti non tornano. Secondo la lapide Policarpo è “di anni 20”, ma a guardare nel libro dei battesimi della parrocchia di S. Lorenzo (grazie al lavoro dello storico e archivista Ermanno Bellino) si scopre che nessun Policarpo Seghino è nato nel 1826 o giù di lì. È nato, invece, un Giuseppe Seghino che, guarda caso, è il figlio di Policarpo. E che, consultando altre fonti, si scopre essere partito attorno al 1843 per l’Argentina e l’Uruguay. Probabilmente è lui ad essere caduto in battaglia, mentre il padre è morto nel suo letto a Cairo. E allora come mai sulla lapide c’è scritto Policarpo e non Giuseppe?

Va bene, fermiamoci pure qui, il busillis lo sveleremo in un’altra occasione. Ma la storia dei Seghino, oltre ad essere un esempio di quanto possano essere appassionanti le storie individuali dei cairesi d’oltremare, è un segnale di quanto poco si sappia sull’emigrazione dalla Valbormida nei vari momenti storici, e di come da questa povertà possano fiorire, anche su monumenti, storie che confinano con la leggenda. E invece sapere – sapere bene intendiamo – le storie dei tanti migranti che partendo dai paesi sulle rive del Bormida hanno popolato i quattro angoli del mondo è importante.  Perché individuare la dimensione quantitativa e qualitativa dei flussi migratori vuol dire scoprire, ad esempio, quando e come la Valbormida è entrata nella rivoluzione industriale italiana, quali sono state le conseguenze del depauperamento demografico per i paesi di partenza – a partire era una quota importante della popolazione in età da lavoro – e per le località di arrivo, quali sono stati i riflessi economici e sociali dei diversi modelli di integrazione degli Stati che hanno accolto i valbormidesi all’estero. E ancora, com’è cambiata l’emigrazione dal bacino del Bormida negli ultimi duecento anni, che rapporti vi sono tra l’emigrazione e la nascita della grande industria a Cairo, Dego, Cengio e dintorni e così via.

È un lavoro lungo, minuzioso, difficile. E affascinante. Che insegna a “fare storia”, a scoprire cioè che molte delle cose che, magari, fior di storici bennati ci hanno raccontato non sono vere, o almeno non sono tutta la verità. Che la storia delle microaree è ancora in gran parte da scrivere e che per scriverla bisogna cercare, avere un metodo, mettere insieme nel modo giusto testo e contesto, vicende diplomatiche e militari con il substrato economico e sociale da cui sono state causate e così via.

A questo lavoro si sta dedicando l’Istituto di Istruzione Superiore “Federico Patetta” di Cairo Montenotte con un progetto, “Pagine di storia dell’emigrazione in Valbormida”, che ha l’obiettivo dichiarato di fare luce sulla storia, le cause e le conseguenze dei flussi migratori che, partendo dalle sponde del Bormida, sono arrivati ai quattro angoli del pianeta. Un lavoro complesso, si diceva, che vedrà gli studenti alla ricerca in archivi storici comunali, registri consolari e così via.  Ma che vedrà soprattutto il coinvolgimento degli allievi e delle loro famiglie per provare a ricordare se, quanti e quali dei loro antenati sono emigrati dalla Valbormida e per tentare di raccontare le loro storie.

Il progetto ha avuto il pieno avallo del CISEI (Centro Internazionale di Studi sull’Emigrazione Italiana) che inserirà i nominativi ritrovati dagli studenti nell’archivio on – line (probabilmente il maggiore database europeo sull’emigrazione) e che fornirà la collaborazione e il supporto necessario per la piena realizzazione del progetto. Per il CISEI la scuola cairese dovrebbe diventare la scuola-pilota per gli studi di questo genere sul territorio regionale: un risultato importante, che valorizza ulteriormente l’iniziativa e che dimostra come l’istituto tecnico e professionale “Patetta”, oltre a vincere premi su premi in tutte le manifestazioni a cui partecipa e a diplomare professionisti in grado di inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro (vedi classifica EduScopio della Fondazione Agnelli di Torino e Premio IRIS dell’Università di Genova) sappia insegnare cultura e metodo anche nella storia.

Massimo Macciò


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