Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Quella montagna tra Liguria e Piemonte ferita da abbandono e burocrazia. Quel bosco di cui nessuno parla che allontana i giovani


A parole si predica il ritorno alla montagna spopolata. In pratica si rende difficile ogni cosa, col rischio di sanzioni anche penali. Si fa presto a dire bosco…! Oggi la montagna si spopola e la natura restituisce al bosco le terre che bene o male gli furono tolte. I boschi sono quelle ricchezze naturali che Iddio ha donato agli uomini per esserne depositari, dovendone però renderne conto ai discendenti. Spesso nella parlata comune si usano le parole bosco e foresta con lo stesso significato. Qualcuno pensa che la foresta non sia altro che un bosco grande e fitto. Il bosco è una foresta in qualche modo maneggiata, coltivata, usata dall’uomo. Si parla di bosco dove l’uomo ha sostituito le piante spontanee con altre a lui più comode, o che, per tanto tempo ha raccolto, tagliato ed usato le piante della foresta stessa. Tra Piemonte e Liguria per la massiccia presenza dell’uomo da millenni, non esistono più vere foreste: il lungo lavoro dei boscaioli ha trasformato e ridotto le foreste esistenti. I castagni, alberi del pane della gente di montagna ad esempio, impiantati probabilmente in epoca etrusca hanno sostituito i faggi. Là dove possibile, le querce ed i faggi venivano tagliati per fare case, attrezzi ed energia per i borghi e le città. Nel medioevo, l’ampio territorio delle Alpi Liguri veniva governato con leggi locali, gli statuti, sanciti concordemente dai consigli comunali e dai feudatari. La maggior parte degli statuti mirava per lo più proprio alla conservazione dei boschi, dei pascoli e dei bestiami locali. Per molti anni dall’Unità d’Italia, di montagne, di boschi e di rimboschimenti si è occupato direttamente lo Stato applicando quella fonte scritta, chiara ed autorevole, rappresentata dalla legge forestale del 1923. Era necessario salvaguardare i boschi e disciplinare i movimenti di terra nei territori sottoposti al vincolo idrogeologico. La legge del 1923 conteneva le disposizioni necessarie per un corretto operare. All’inizio degli anni ’70 sono subentrate le Regioni, hanno cambiato il concetto di bosco. E’ ormai sensazione sempre più diffusa nell’opinione pubblica che le Regioni si siano nel tempo allontanate dall’essere le istituzioni di coordinamento e di legislazione previste dalla Costituzione del 1946. A ben guardare sono divenute spropositati aggregati amministrativi, burocratici e gestionali che assorbono e concentrano tutte le energie nel funzionamento delle propria macchina anziché nella regìa e nella guida di quello che è di loro competenza. Il territorio, la montagna interna, l’assetto territoriale ed il suo sviluppo ne hanno risentito.

In azzurro sono rappresentati i comuni che riscontrano contemporaneamente due requisiti negativi: la popolazione accessibile a 30 minuti ed il forte trend dello spopolamento. Escludendo le aree del Polesine ferrarese (chiaramente non montane), è evidente che il Piemonte e la Liguria devono porre l’attenzione su alcuni comuni dell’area alpina ed appenninica. Il quadro generale della situazione dell’Italia settentrionale mostra una ventina di territori che possono ritenersi davvero in difficoltà. La maggior parte di essi si trova proprio sulle Alpi e sull’Appennino, alla estrema periferia dei relativi capoluoghi dove si esercitano i “poteri” regionali. E’ solo un caso…? O perché si contano solo i “pochi” residenti e i loro “pochi” voti …?

(Elaborazione CAIRE – Reggio Emilia)

Oggi con l’approvazione della legge 158/2017 sulle “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni” siamo al paradosso.

Da un lato i politici e gli amministratori regionali affermano soddisfatti che la residenza nei piccoli comuni, che sono prevalentemente montani, costituisce per la prima volta un interesse nazionale perché promuove l’equilibrio demografico del Paese. Lo stesso Presidente della Repubblica sprona sulla necessità di pensare e guardare ai giovani per dare un futuro a questi territori, a prevedere misure per i piccoli Comuni finalizzate allo sviluppo delle attività produttive, a contenere lo spopolamento, a incentivare l’afflusso turistico. E ancora banda larga, agevolazioni nella rete dei trasporti, servizi postali.

Dall’altro lato, qualunque giovane imprenditore deciso ad insediarsi per poter esercitare un’attività agricola o pastorale in montagna, finalizzata al recupero di terreni abbandonati o ricoperti dal bosco è costretto ad affrontare il difficile percorso che proprio le Regioni gli hanno recentemente preparato.

Gran parte del confine amministrativo tra Piemonte e Liguria si snoda in territori boscati. Il bosco è un bene giuridico con cui è giocoforza necessario confrontarsi. La provincia di Savona ha l’indice di boscosità più elevato d’ Italia, immediatamente seguita dalla Provincia di Imperia. La provincia di Cuneo – relativamente alle aree di confine con la Liguria – ha anch’essa un indice di boscosità molto elevato, intorno al 66%. La superficie boscata è raddoppiata negli ultimi 50 anni!

Il nostro volenteroso giovane imprenditore agricolo dovrà inizialmente capire se la sua azienda interesserà o meno un terreno da considerarsi “bosco” o “non bosco”. L’indagine potrà portare a risultati differenti secondo la Regione interessata.

Ma cosa è un bosco? Cosa non è bosco? Secondo la normativa regionale vigente (art.3, L.R. 4/2009 Piemonte – art 2 della L.R. 4/2009 Liguria):

IN PIEMONTE

IN LIGURIA

Sono bosco:

  • … i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, con estensione non inferiore a
    2.000 mq e larghezza media non inferiore a 20
    m e copertura non inferiore al 20%, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti. Sono inoltre considerate bosco le tartufaie controllate che soddisfano la medesima definizione.
  • … i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, ivi compresa la macchia mediterranea, nonché il terreno temporaneamente privo della preesistente vegetazione forestale per cause naturali o per interventi dell’uomo… che dista da altri appezzamenti boscati meno di 50 metri, larghi mediamente meno di 20 metri, indipendentemente dall’estensione della superficie, o che non superano l’estensione di
    5.000 mq, indipendentemente dalla larghezza media.

Non sono considerati bosco:

  • I castagneti da frutto in attualità di coltura;
  • Gli impianti di frutticoltura,

    L’arboricoltura da legno,

    Le tartufaie coltivate di origine artificiale;

  • I giardini pubblici e privati e le alberature stradali;
  • Le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su terreni agricoli a seguito dell’adesione a misure agro ambientali promosse nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale dell’Unione europea una volta scaduti i relativi vincoli;
  • I terrazzamenti in origine di coltivazione agricola;
  • I nuclei edificati e colonizzati da vegetazione arborea o arbustiva a qualunque stadio d’età;

    I paesaggi agrari e pastorali di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi.

  • I castagneti da frutto purché razionalmente coltivati;
  • Le colture arboree e arbustive specializzate da frutto, da fiore, da fronda, da ornamento e da legno, nonché le tartufaie coltivate;
  • I filari di piante, i vivai, i giardini e i parchi urbani;
  • Le formazioni forestali di origine artificiale realizzate su terreni agricoli a seguito dell’adesione a misure promosse nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale dell’Unione europea una volta scaduti i relativi vincoli;
  • Gli appezzamenti di terreno terrazzati e gli altri appezzamenti agricoli coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, quando sono oggetto di recupero alla precedente finalità produttiva agro-pastorale, salvo che tale attività sia vietata da specifiche misure di conservazione per le aree rientranti nella Rete Natura 2000;
  • Le radure e tutte le altre superfici d’estensione superiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco, ferma restando l’esclusione dalla nozione di bosco delle aree di qualsiasi estensione già identificabili come pascoli, prati e pascoli arborati;
  • I prati e i pascoli arborati il cui grado di copertura arborea non superi il 50 per cento della loro superficie.

Cosa fare per recuperare ad uso agricolo un terreno considerato bosco?

Sono possibili due percorsi: l’Autorizzazione con svincolo o la Pianificazione del regolamento NON BOSCO.

Percorso autorizzativo: occorre ottenere lo svincolo territoriale sia “paesaggistico”, sia “idrogeologico” del bosco.

Esso prevede il procedimento di compensazione o di mitigazione con oneri e costi da sopportare. Si fondano sul principio che ogni intervento in bosco deve essere finalizzato ad un miglioramento della qualità paesaggistica complessiva dei luoghi o, quanto meno, deve garantire che non vi sia una diminuzione delle sue qualità, pur nelle trasformazioni. In parole semplici, per trasformare un bosco anche per finalità agricole occorre mettere in conto anche tali costi!

Quando si evita? Con piccole varianti, secondo la Regione interessata, sostanzialmente quando si tratta di:

  • Superfici inferiori ai 500 m2;
  • Interventi finalizzati alla conservazione del paesaggio o al ripristino degli habitat di interesse comunitario, se previste dagli strumenti di gestione o pianificazione di dettaglio vigenti;
  • Interventi volti al recupero a fini produttivi per l’esercizio dell’attività agro-pastorale svolte da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli singoli o associati, di boschi di neoformazione insediatisi su ex coltivi, prati e pascoli abbandonati da non oltre trent’anni;
  • Interventi per la realizzazione o adeguamento di opere di difesa dagli incendi, di opere pubbliche di difesa del suolo, se previsti dagli strumenti di gestione o pianificazione di dettaglio vigenti;
  • Realizzazione di viabilità forestale in aree non servite.

Percorso del NON BOSCO:

Funziona solo per piani o progetti di iniziativa comunale. Il Comune propone al settore Foreste e Pianificazione Regionale una proposta basata sulle definizioni dell’esclusione per:

  • Nuclei edificati e colonizzati da vegetazione arborea o arbustiva a qualunque stadio d’età;
  • Formazioni forestali di origine artificiale realizzate su terreni agricoli a seguito dell’adesione a misure agro ambientali promosse nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale dell’Unione europea una volta scaduti i relativi vincoli;
  • Terrazzamenti in origine di coltivazione agricola;
  • Paesaggi agrari e pastorali di interesse storico coinvolti da processi di forestazione, naturale o artificiale, oggetto di recupero a fini produttivi.

Mantenendo l’uso boschivo occorre poi valutare la possibilità del Pascolamento in bosco, consentito purché non ne comprometta la conservazione e la rinnovazione:

  • Nei boschi coetanei, quando la rinnovazione abbia raggiunto un diametro medio maggiore di 10 centimetri;
  • Nell’ambito dei sistemi silvo-pastorali, purché vengano preservate le aree in rinnovazione, all’interno delle categorie forestali: 1) lariceti; 2) boscaglie d’invasione; 3) arbusteti montani e subalpini; 4) querceti di roverella.

Il pascolo in bosco è consentito sulle superfici specificamente individuate nei Piani Forestali o nei Piani Pastorali Aziendali, solo se approvati dalla struttura regionale competente in materia forestale.

Si possono ben capire le difficoltà di chi è interessato a dare un contributo per salvare la montagna ferita dall’abbandono e dalla burocrazia. E la montagna non si salva riempiendola solamente di impianti di risalita collegati alle piste da sci, per diventarne il cimitero!

E’ auspicabile, al di là degli annunci demagogici, che lo Stato torni veramente a farsi soggetto attivo e garante, a creare le condizioni per le quali i territori montani possano riorganizzare servizi e investimenti rispettandone le peculiarità.

Gianfranco Benzo


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