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Ricchezza e povertà tra Savona e Italia. Grido d’allarme della Camera del Lavoro


Il grido d’allarme lanciato dal segretario della Camera del Lavoro Andrea Pasa è stato ampiamente confermato dalle analisi poste su di un piano più generale. Precarietà e bassi salari sono gli unici dati che continuano ad aumentare in Provincia di Savona.

di Franco Astengo

I dati di Eurostat mostrano che, dal 2020 al secondo trimestre 2024, il costo del lavoro in Italia è cresciuto del 5,6%, significativamente inferiore al +17% medio Ue e al +15,1% dei Paesi dell’Eurozona.

Imprenditori e politica locale vogliono prendere coscienza della qualità dell’occupazione in provincia di Savona? Una qualità che continua a peggiorare, come evidenziano i dati INPS nel terzo trimestre 2024. Si perdono oltre 3 mila occupati dipendenti rispetto allo stesso periodo del 2023, oltre il 90% dei nuovi contratti è precario, e quasi la metà (46%) è a tempo parziale. Ciliegina sulla torta: nel 2024, meno 23% di passaggi a tempo indeterminato.

Dati confermati dall’osservatorio di Oxfam che saranno presentati alla “sagra del capitalismo” in programma come ogni anno a Davos, esclusiva località sciistica svizzera.

Nel periodo post-pandemico, l’occupazione in Italia è migliorata, con un tasso di occupazione al 62,4% (grazie soprattutto all’occupazione over-50) e una disoccupazione al 5,7% (in parte dovuta alla crescita degli inattivi). Tuttavia, persistono problemi strutturali, come forti squilibri territoriali e ritardi occupazionali rispetto all’Unione Europea, con giovani e donne che soffrono di sotto-occupazione e bassa qualità del lavoro. A fronte dei miglioramenti occupazionali, i salari rimangono stagnanti e tra i più bassi d’Europa: il salario medio annuale reale è invariato negli ultimi 30 anni. Tra il 2019 e il 2023, le retribuzioni lorde sono aumentate del 6-7%, ma l’inflazione del 17-18% ha ridotto il salario lordo reale di oltre 10 punti percentuali.

In poderosa crescita da oltre un decennio, nel 2023, la povertà assoluta è rimasta stabile, coinvolgendo oltre 2,2 milioni di famiglie italiane (5,7 milioni di persone) che non avevano risorse sufficienti per acquistare beni e servizi essenziali. L’incidenza della povertà familiare è leggermente aumentata dall’8,3% all’8,4%, mentre quella individuale è rimasta al 9,7%.

Il Governo appare poco preoccupato dal fatto che i contribuenti italiani più ricchi versino al fisco, in proporzione al proprio reddito, meno imposte dirette, indirette e contributi, rispetto ai cittadini con redditi più bassi e che l’85% degli italiani, trasversalmente a tutti i partiti, ritenga il nostro sistema fiscale profondamente iniquo.

Il sistema fiscale italiano è frammentato in regimi favorevoli per alcune categorie, garantendo migliori condizioni fiscali a chi ha più potere o appartiene a specifici elettorati. Ciò prefigura  un tradimento del contratto sociale, con le stesse categorie che continuano a finanziare beni e servizi pubblici, come sanità e istruzione, sotto finanziati e permanentemente a rischio di ulteriori tagli. Preservare la frantumazione del sistema fiscale italiano in molteplici regimi preferenziali e scendere, in nome della lotta all’evasione, a patti iniqui con i contribuenti ritenuti meno fedeli al fisco è indicativo della poca attenzione dell’esecutivo per il basso grado di equità del nostro sistema fiscale e la tenuta sociale.

La legge sull’autonomia differenziata ha rappresentano nel 2024 un ulteriore elemento di forte preoccupazione e sconcerto, ponendosi in netta antitesi ad un’azione di contrasto alle disuguaglianze. Il regionalismo competitivo cui è improntata la legge Calderoli, invalidato alla radice dalla Corte Costituzionale, ha messo ulteriormente a repentaglio l’uguaglianza dei cittadini che già oggi scontano gravi divari nella disponibilità e nella fruizione di servizi pubblici, marcatamente differenziati a seconda del territorio di residenza. In contrasto con l’idea di un regionalismo solidale, le scelte del Governo rischiano di trasferire, senza valide motivazioni, alle Regioni a statuto ordinario molteplici competenze esclusive su temi fondamentali delle politiche pubbliche e prefigurano un passaggio dal bilancio dello Stato a quello delle Regioni di una porzione consistente della spesa pubblica con un incentivo all’utilizzo poco efficiente e trasparente delle risorse.

E’ necessario ripensare profondamente le misure di contrasto a povertà ed esclusione lavorativa garantendo la possibilità di accedere a uno schema di reddito minimo a chiunque si trovi in difficoltà.

Disincentivare l’utilizzo dei contratti non standard.

  • Definire i contratti collettivi principali.
  • Introdurre un salario minimo legale.
  • Perseguire politiche industriali che favoriscano la buona occupazione.
  • Introdurre condizionalità alle imprese per l’accesso agli incentivi pubblici

La legge sull’autonomia differenziata va abrogata in toto attraverso il referendum sul cui esito positivo va posto il massimo impegno da parte delle forze politiche, del sindacato, delle associazione , dei soggetti sociali.

Per chiudere con un ulteriore accenno alla realtà savonese occorre tornare al punto delle politiche industriali: il “cuore” di una possibile ipotesi di nuovo sviluppo per Savona e il suo hinterland dovrà essere formato da una triade di possibilità: 1) quella tecnologica, 2) quella infrastrutturale, 3) quella del ritorno ad una vera e propria “vocazione territoriale” per lo sviluppo,costruendo progettualità e andando ben oltre a confini limitati nello spazio a singole realtà territoriali.

Sul discorso infrastrutturale va tenuto aperto un ulteriore capitolo: la risorsa principale di cui è necessario disporre è quella della realizzazione di infrastrutture in grado di far uscire dall’isolamento la nostra area e velocizzare al massimo la movimentazione.

Franco Astengo

NOTA DI REDAZIONE/ DA EUROSTAT- IL SOLE 24ORE del 15 aprile 2023- Lavoro: in Italia costo medio orario di 29,4 euro, tre volte quello di Bulgaria e Romania. Nel nostro Paese la quota di costi non salariali è pari al 27,8% (terzo valore più alto in Europa dopo Francia e Svezia).

Grandi divari separano i Paesi dell’Unione europa in tema di costo orario medio del lavoro: se la media Ue è di 30,5 euro (34,3 euro nell’intera area dell’euro), Bulgaria e Romania sono lontane con 8,2 euro e 9,5 euro. In cima alla graduatoria Lussemburgo (50,7 euro). E l’Italia? Poco sotto la media con 29,4 euro, un valore che è 3-4 volte più alto rispetto ai due Paesi dell’Est europeo meno cari.

Il confronto con i vicini europei- Se si estende l’analisi ai Paesi più vicini per tipologia all’Italia si scopre il costo del lavoro è decisamente più competitivo in Spagna (23,5 euro) e in Portogallo (16,1 euro), mentre vola a 39,5 euro in Germania e a 40,8 euro in Francia.

I settori- I lavoratori dell’industria sono quelli che costano di più: il costo orario del lavoro è stato di 30,7 euro nell’Ue e di 36,6 euro nell’area dell’euro. Nelle costruzioni i costi registrati sono stati rispettivamente 27,3 euro e 30,8 euro. Per quanto riguarda i servizi, il costo orario del lavoro è stato di 30,2 euro nell’Ue e di 33,3 euro nell’area dell’euro. Nell’economia prevalentemente non imprenditoriale (esclusa la pubblica amministrazione) sono stati rispettivamente 31,3 e 34,8 euro.

Italia terza per i costi non salariali- Le due componenti principali del costo del lavoro – spiega l’istituto di statistica europeo – sono i salari e i costi non salariali (ad esempio i contributi sociali dei datori di lavoro). La quota dei costi non salariali sul costo totale del lavoro per l’intera economia è stata del 24,8% nell’Ue e del 25,5 % nell’area dell’euro. Le quote più basse dei costi non salariali sono state registrate in Lituania (5,4%) e Romania (5,3%) e la più alta in Francia (32%), Svezia (31,9%). In questo caso l’Italia si piazza al terzo posto con un 27,8%.

 

 


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F.Astengo

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