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Cairo Montenotte: La Filippa ora è un modello di ingegneria ecologica 4R. Con cascinali ripristinati, cooperative sociali, studenti del Patetta tra il verde e alberi da frutto. Visitatori cinesi e giapponesi


Forse è solo un pregiudizio. O forse si tratta di quella “pigrizia conservativa” della mente per cui, una volta che un certo fenomeno è stato incasellato in una categoria, “cosa fatta capo ha” e non c’è verso di cambiare opinone.

di Massimo Macciò

Sta di fatto che c’è voluto del bello e del buono per cancellare dall’immaginario collettivo dei cairesi e, più in generale, della popolazione di Valbormida e dintorni l’idea de “La Filippa” come di un immondezzaio da cui tenersi alla larga. Di più: ci sono voluti 43 ricorsi al giudice a vario titolo denominati – e tutti vinti dall’azienda – prima che l’impianto di smaltimento di rifiuti speciali situato sulle pendici di Cairo Montenotte cominciasse a essere considerato non come un problema ma come una risorsa. Un ritardo per certi versi sorprendente, nel momento in cui la “economia circolare” smetteva di essere considerata lo slogan di qualche ambientalista visionaria per diventare materia d’insegnamento universitario e pratica sempre più concreta dell’agire di alcuni imprenditori.

La storia dell’impianto di smaltimento situato in località Pastoni a Cairo Montenotte, del resto, è nota. Quando, ed eravamo nel 2000, Massimo Vaccari aveva presentato il progetto di un impianto di smaltimento rifiuti ecosostenibile da realizzarsi nei pressi della cascina, tutti gli avevano dato del matto. Già da almeno otto anni, infatti, la Filippa era finito nel mirino degli ambientalisti (e dei sindacati) che vedevano con terrore la possibilità di realizzare una discarica in una delle poche zone ancora non (troppo) infestate dai rifiuti in un Comune – Cairo Montenotte – che invece viveva quotidianamente storie di vergogne e di scandali (vedi i casi della Mazzucca, dell’ex Agrimont, delle Bugliole e così via) legate a immondizie più o meno tossico-nocive ma sempre degradanti per l’ambiente.

Le denunce e gli esposti erano fioccate subito e si erano addirittura intensificate quando, a marzo del 2008, l’impianto aveva aperto i battenti. Eppure, la società dei fratelli Carlo e Massimo Vaccari (che con la sorella Anna possiedono la quasi totalità delle quote azionarie) aveva mostrato già da allora due qualità che avrebbero dovuto far riflettere anche i critici più accesi: il “pensare prospettico” e l’obiettivo di dare valore a un territorio degradato. I proprietari dell’impianto avevano subito chiarito che, al termine del ciclo di vita della discarica (stimato tra il 2030 e il 2032) la “Filippa” sarebbe dovuta diventare un centro benessere, con spa e piscina annessa, e che fin dall’inizio avrebbero operato avendo in testa l’obiettivo finale. Quindi, invece di degradare il terreno con opere deturpanti, avevano lavorato con una sorta di “ingegneria ecologica” attenta al rispetto dell’ambiente e alle risorse naturali. Inoltre, la società aveva ristrutturato una serie di cascinali abbandonati e aveva instaurato buoni rapporti col vicinato, promuovendo la nascita di cooperative sociali che collaborano alla gestione delle attività collaterali. Ma, soprattutto, la “Filippa” aveva mostrato – e continua a mostrare – un’estrema attenzione alla tipologia dei rifiuti da trattare (non più di una cinquantina, tra le oltre settecento categorie inserite nel Regolamento Europeo in materia), al loro trattamento preliminare e alle modalità di smaltimento in discarica, così da dare un senso concreto alle “4R” dell’economia circolare (Riduzione, Riutilizzo, Riciclo, Recupero): i camion vengono controllati, pesati e solo dopo tali operazioni sono ammessi all’ingresso in discarica; i rifiuti speciali (non pericolosi e non putrescenti) precedentemente compattati vengono inseriti nelle cavità della vecchia cava di argilla, che vengono poi ricoperte di terra e isolate per evitare possibili puzze.

Il suolo viene infine rianimato con erba e alberi da frutto.  In effetti – e lo hanno potuto sperimentare in prima persona cento studenti dell’Istituto d’Istruzione Superiore “Federico Patetta” che in due diverse occasioni, tra il 27 aprile e il 4 maggio, hanno esaminato l’impianto guidati e accompagnati dai responsabili dell’impresa) non si sente alcun odore e non si vede nessun rifiuto: sembra di passeggiare sui declivi di qualche collina della campagna inglese. Poco più a valle, il vecchio parcheggio della Ligure Piemontese Laterizi (l’azienda originaria della famiglia Vaccari) è diventata una sorta di open space ecologico, con panche da relax in legno e prese per i collegamenti wi-fi: chiunque (quando il parco non ospita riunioni aziendali) può riposarsi o divertirsi in bici all’interno della struttura.Il tutto con un’azienda in attivo e prospettive a medio e lungo termine già definite e programmate.

Alla fine, insomma, i fratelli Vaccari – e con loro il direttore generale Federico Poli, il responsabile dell’Area Comunicazione Sergio Vazzoler e gli altri membri della squadra societaria – possono dire di avercela fatta. Lo certificano non solo le valutazioni d’impatto ambientale e le altre certificazioni di qualità, tutte egualmente positive, e il plauso entusiasta degli ecologisti a partire da Ermete Realacci (presidente di Symbola, patriarca di Legambiente e nume tutelare delle associazioni ambientaliste); lo dicono i visitatori, che arrivano fin dalla Cina e dal Giappone per visitare l’impianto; lo confermano, soprattutto, i proprietari dei siti confinanti e delle aziende prossime alla discarica che dalle denunce e dagli esposti sono passati alla realizzazione di un sito Internet (“I vicini di casa”, e già il nome significa parecchio) nel quale, oltre a plaudere alle iniziative di Vaccari e soci, scambiano con l’azienda consigli, idee, progetti e prodotti. Chi l’avrebbe mai detto?

Massimo Macciò


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